Se c’era bisogno di ulteriori prove del vuoto pneumatico calcistico prodotto dai guardiani di un vecchio gioco speculativo e sparagnino, in cui ciò che conta è solo il risultato a prescindere, lo scontro tra Inter e Juve nelle semifinali di Coppa Italia ha rappresentato la definitiva conferma dei danni irreparabili arrecati alla succursale italiana di uno spettacolo che – pure – continua ad avvincere le platee mondiali. Mentre qui da noi registra crescenti segni di disaffezione da parte dei followers.

Del resto a officiare il rito pallonaro del 26 aprile trovavamo in panchina due dei più accreditati officianti del sacrificio dissipatorio di talento, passione e virtù agonistiche: il trainer nerazzurro Simone Camomilla Inzaghi e il rieccolo bianconero sub specie aeternitatis Massimiliano Nosferatu Allegri; specialista del trascinare nel sacello giovani talenti dissanguati dalle sue cure vampiresche, come Rodrigo Betancur e Dejan Kulusevski. E se proprio non riesce a stroncarne la carriera sul nascere (obbligandoli a riprodurre il suo curriculum di perenne vagabondo tra squadre di modesta caratura: da Pisa a Pescara, Cagliari o Perugia), allora si premura di farli intristire vagolando negli spazi desertificati di una metà-campo avversaria dove non è previsto che vengano raggiunti da qualche palla giocabile. Talenti perduti chiamati Federico Chiesa, che nell’Italia campione europeo si era conquistato lo status di giovane star internazionale, o Dusan Vlahovic, acquisto milionario dalla Fiorentina, dove l’allenatore Vincenzo Italiano gli cuciva addosso un gioco che lo aveva collocato nella triade dei migliori attaccanti della sua leva a suon di gol. Spariti appena giunto nel laboratorio di smontaggio della Continassa. Lo Juventus Training Center.

Va ricordato che, nell’epico scontro “a chi fa meno” di quel 26 aprile, a uscire vincitore fu il Camomilla; riprova che la sua rosa di eccellenti calciatori, quando ci sono importanti occasioni di mettersi in mostra, preferisce autogestirsi dimenticando di avere un trainer. Mentre la luciferina protervia del Nosferatu annichilisce persino il suo ricco parco campioni, impedendo loro di dare quel che pur sarebbero in grado di offrire.

A seguito dell’ennesimo flop era corsa voce che la nuova dirigenza del club si stava orientando a defenestrare Allegri, nonostante un contratto che prevede la durata del rapporto ancora per un biennio (alla modica cifra di 13 milioni di euro lordi l’anno).

Notizia che ha suscitato l’entusiasmo dello sparuto gruppo di rivoluzionari calcistici raccolti nello spazio virtuale della Bobo TV: dal ruspante Antonio Cassano al mistico Lele Adani, che su Allegri ha dismesso per una volta gli ecumenismi dorotei che pratica da quando è asceso alla poltrona di commentatore RAI. I paladini delle nuove frontiere calcistiche intuite da Johan Cruijff a Barcellona e raggiunte in questi anni da Jürgen Klopp a Liverpool e Pep Guardiola in giro per l’Europa; praticate senza troppi strombazzamenti in Italia (stante il mainstream tuttora egemone del calcio avaro e opportunistico) da Giampiero Gasperini a Roberto De Zerbi e magari Luciano Spalletti, con il suo bel gioco spesso argomentato in analisi tortuose e politichesi.

Ma la lieta novella, che sembrava promettere l’uscita dello sport nazionale dal cerchio stregato che lo soffoca, è stata rapidamente smentita. È di ieri l’annuncio di riconferma dell’attuale guida tecnica da parte della nuova dirigenza juventina. Forse per risparmiare la spesa aggiuntiva di un nuovo allenatore (oltre al vecchio)? Più probabile pesi l’ortodossia dell’Allegri-pensiero, organico all’establishment footballista nazionale. Il credo monetizzato dei filistei che popolano il sinedrio Figc. Non a caso in questi giorni Tutto-Juve.com pubblica l’intervista di un personaggio esemplare quale Aldo Spinelli, già presidente di Genoa e Livorno Calcio (ma anche “fu” referente in affari dell’ex presidente di Regione Liguria Claudio Burlando e oggi finanziatore del nuovo Giovanni Toti), secondo cui il suo amico Allegri “non ha responsabilità, anzi bisogna elogiarlo”.

Quindi, sopire e troncare, senza disturbare il manovratore. La regola a cui si attiene il pompiere Alberto Rimedio nel sacrario della Domenica Sportiva, quando smentisce Carolina Morace rea di aver fatto presente che il monarca-calcio è nudo.

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