Per ora niente limiti alle emissioni che arrivano dalle stalle dei bovini in Europa, come invece chiedeva la Commissione europea. Sembrerebbe la conferma dello status quo, ma quello appena vinto dalle organizzazioni e dalle aziende del settore zootecnico è solo un round della battaglia in cui si è trasformata la revisione della direttiva sulle emissioni industriali. La normativa stabilisce quali siano i criteri perché un impianto, allevamenti compresi, debba essere ritenuto altamente inquinante e, quindi, rispettare obblighi e vincoli più stringenti. Per capire quanto forti siano gli interessi in gioco e quanto sia alta la tensione basta ricordare che, a novembre scorso, il segretario generale di Coldiretti, Vincenzo Gesmundo, è arrivato a dare del “gran cornuto” a Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione Europea, per il testo di revisione presentato un anno fa. Ad aprile 2022, infatti, Bruxelles ha proposto di includere anche gli allevamenti di bovini tra quelli soggetti alle regole della direttiva. Attualmente ricadono nel campo di applicazione della normativa (e devono ottenere specifiche autorizzazioni dalle autorità nazionali) solo gli allevamenti di suini con più di 2mila capi o 750 scrofe e quelli di pollame con più di 40mila capi. La proposta abbassava di molto anche queste soglie. A marzo 2023, il Consiglio dei ministri dell’Ambiente ha approvato un testo di compromesso. Pochi giorni fa, poi, l’ultimo atto. Gli eurodeputati della Commissione Agricoltura (Comagri) hanno bocciato la principale novità che Bruxelles voleva introdurre, proponendo che i bovini rimanessero esclusi dagli obblighi della direttiva. Il parere, che confluirà nel rapporto principale dell’Europarlamento affidato al Popolare bulgaro Radan Kanev della commissione Ambiente, è stato approvato con 36 voti a favore, 8 contrari e 2 astenuti. Ma la strada per l’approvazione definitiva è ancora lunga.
La Commissione prova a cambiare lo status quo – La proposta originaria della Commissione partiva dal fatto che, ad oggi, solo una piccola parte degli allevamenti intensivi devono richiedere permessi specifici, come la Valutazione di impatto ambientale o comunicare le emissioni annuali di gas inquinanti come ammoniaca e metano, ma questi impianti ricoprono solo il 18% delle emissioni di ammoniaca e il 3% di quelle di metano europee. Da qui la proposta di Bruxelles di applicare una nuova soglia che valesse anche per i bovini e in base alla quale sarebbero stati soggetti agli obblighi che la direttiva prevede per le industrie inquinanti tutti gli allevamenti con almeno 150 Unità di bestiame adulto (Uba): significa 150 bovini adulti o 375 vitelli, 500 suini o 300 scrofe e 10mila galline ovaiole. “Secondo le stime della stessa Commissione questa modifica avrebbe permesso di intercettare il 60% delle emissioni di ammoniaca e il 43% di quelle di metano, coinvolgendo il 10% degli allevamenti bovini, il 18% di quelli suini e il 15% di quelli di pollame” spiega a ilfattoquotidiano.it Federica Ferrario, responsabile della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. Già per arrivare a questo testo, la Commissione (che inizialmente puntava alle 100 unità di bestiame adulto) aveva dovuto superare i veti incrociati delle lobby agricole.
Il testo di compromesso – A marzo 2023, però, si è abbassata ulteriormente l’asticella. “Il Consiglio dei ministri dell’Ambiente ha approvato, con il voto contrario dell’Italia e del ministro Gilberto Pichetto Fratin – aggiunge Federica Ferrario – la proposta di modifiche della IED, ma con alcune modifiche rispetto al testo della Commissione”. Pur lasciando l’inclusione dei bovini proposta da Bruxelles, i ministri hanno alzato la soglia di unità di bestiame adulto precedentemente stabilita: non più 150, ma 350 unità di bestiame adulto. Significa 350 bovini (stessa soglia per gli allevamenti misti), 875 maiali e 700 scrofe. Per il pollame la soglia è di circa 21.500 galline ovaiole o polli. Questo significa far rientrare meno allevamenti tra quelli considerati altamente inquinanti, eppure le reazioni non si sono fatte attendere. Di “disastro” ha parlato Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, mentre per Copa e Cogeca, le associazioni che rappresentano circa 22 milioni di agricoltori europei “l’approccio a soglia proposto inizialmente dalla Commissione europea è principalmente politico, punitivo e avrà conseguenze impreviste quando sarà applicato alle aziende agricole”. Per il settore la proposta di Bruxelles (anche se annacquata) rischiava di equiparare aziende anche familiari, ponendo le stalle sullo stesso livello degli impianti che estraggono carbone o producono prodotti chimici. Di fatto, però, come sottolineato da Greenpeace “per la prima volta i ministri dell’Ambiente europei hanno preso in considerazione non solo il numero di animali allevati, ma anche la loro densità, per distinguere le attività zootecniche intensive da inserire tra gli impianti industriali inquinanti e quelle estensive, che invece rimangono fuori”. Centrando, dunque, il cuore del problema (“troppi animali allevati in aree agricole insufficienti per nutrirli in modo sostenibile”) la proposta, sottolinea la ong, “lascia fuori dalla direttiva i grandi allevamenti con meno di 490 mucche da latte, 1.500 maiali o 13.500 polli”. I ministri dell’Ambiente hanno anche chiesto di prevedere la sola registrazione e non la richiesta di specifici permessi per avviare l’attività.
Il parere della Commissione Agricoltura e le pressioni – L’ultimo atto pochi giorni fa. La Commissione Agricoltura del Parlamento europeo ha bocciato a larghissima maggioranza la proposta della Commissione Ue di includere gli allevamenti dei bovini. E in molti hanno tirato un sospiro di sollievo. Almeno per ora. D’altronde, le pressioni non sono mancate neppure in questa occasione. In una lettera indirizzata agli eurodeputati, l’Associazione di organizzazioni produttori bovini da carne e carne bovina Italia Zootecnica ha chiesto esplicitamente l’esclusione di questi allevamenti dalla normativa. E lo ha fatto citando uno studio dell’Università di Sassari nel quale si utilizzano nuove metriche per calcolare le emissioni, proposte da un pool di fisici di Oxford. In pratica, si tiene conto non solo delle emissioni, ma anche della differenza di permanenza in atmosfera: “Il metano dopo 50 anni è praticamente sparito – scrivono – mentre l’anidride carbonica (quella delle industrie, ndr) resta in atmosfera per oltre mille anni”. E così, dopo il voto, diverse le reazioni positive. “Condividiamo pienamente l’obiettivo dell’esecutivo Ue di ridurre i gas serra e l’inquinamento – ha detto Paolo De Castro, relatore per il Gruppo S&D in Comagri – ma gli obblighi di sottomettersi a un regime di autorizzazioni e a implementare pratiche produttive sempre più stringenti derivanti da questa proposta, rischiano di mettere a repentaglio la sostenibilità dei nostri allevamenti, soprattutto quelli di minori dimensioni”. Filiera Italia sostiene che sia un bene “il ritorno allo status quo” e che sia “giusto lasciare fuori i bovini”, ha commentato il consigliere delegato Luigi Scordamaglia. Per il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, la decisione della Commissione Agricoltura “salva un settore cardine del Made in Italy e va incontro alle richieste della Coldiretti, che per prima aveva denunciato l’assurdità scientifica di paragonare le stalle alle fabbriche”.
Il nodo delle sostanze inquinanti. Pochi gli allevamenti monitorati – Ma la direttiva monitora e regola l’inquinamento dovuto a diverse sostanze: oltre a metano, anche ossido di azoto, mercurio, anidride carbonica e ammoniaca. “L’Agenzia Europea per l’Ambiente stima che l’agricoltura europea sia responsabile del 56% delle emissioni di metano e del 94% di quelle di ammoniaca, in gran parte imputabili alla zootecnia” ribatte Federica Ferrario, ricordando che “le emissioni di ammoniaca e di ossidi di azoto provenienti dagli allevamenti intensivi, concorrono alla formazione del particolato fine (PM) che si stima causi più di 300mila morti premature all’anno in Europa”. Ad oggi, però, meno dell’8% delle emissioni italiane di ammoniaca derivanti dalla zootecnia è registrato nell’E-PRTR, il registro europeo emissioni e trasferimenti delle sostanze inquinanti. Questi allevamenti, tra l’altro, ricevono anche fondi pubblici. Ma sono meno di mille quelli che rientrano nel campo di applicazione della direttiva, su circa 213mila presenti sul territorio nazionale a dicembre 2020. “La revisione della direttiva non vuole distruggere il settore, ma vuole regolamentarlo” dice ancora Federica Ferrario. Per ora, però, i bovini restano fuori. Mancano, però, diversi step per l’approvazione definitiva: a fine maggio è atteso il voto della Commissione Ambiente del Parlamento Europeo e poi ci sarà quello in plenaria, prima che i negoziati tra Parlamento Ue, governi nazionali e Commissione europea arrivino a un compromesso finale.