È un’altra giornata di paura sui mercati statunitensi, scossi dal fallimento della banca First Republic. Il fatto che il colosso Jp Morgan abbia comprato i depositi e gran parte degli asset non è stato sufficiente per calmare gli animi degli investitori. Le banche regionali, che presentano caratteristiche più o meno simili a quelle fallite nelle ultime settimane sono scaricate dai portafogli. PacWest sprofonda del 26%, Western Allience il 20%, Metropolitan Bank il 19%. Non sono immuni dalle vendite neppure i colossi. Bank of America va giù del 4%, Wells Fargo del 4,6%, Citigroup del 2,6%, Goldman Sachs del 2,5%, la stessa Jp Morgan arretra del 2%. Flessioni che zavorrano tutti gli indici. L’S&P500 arretra dell’1,5%, il Nasdaq dell’1,2%. Non aiutano i mercati i dati diffusi ieri sul rallentamento economico di Cina e Stati Uniti. Cifre che abbattono anche le quotazioni del petrolio, in calo di quasi il 5% a 75,5 dollari il barile (brent).
Sul Nasdaq c’è anche il caso Icahn Enterprise che precipita del 20% in quello che sembra una sorta di scontro tra avvoltoi. La società del finanziere Carl Icahn è nel mirino del fondo ribassista Hindenburg, già artefice del tracollo del colosso indiano Adani. Hindenburg specula al ribasso sulla holding e accusa Icahn di “gettare sassi dalla propria casa di vetro”. La valutazione della sua holding, che capitalizza 18 miliardi di dollari a Wall Street e di cui Icahn e il figlio Brett detengono l’85% del capitale, è infatti “gonfiata” di oltre il 75%, afferma Hindenburg in un rapporto rapporto appena pubblicato. Icahn Enterprises viene infatti scambiata a un premio del 218%, “molto più alto delle società simili”, rispetto al valore netto dei suoi asset (nav), la società ha nel corso dell’anno registrato “ulteriori perdite di performance” e Hindenburg ha rinvenuto “chiare prove di valutazioni gonfiate” delle sue partecipazioni illiquide e non quotate.
Per sostenere queste quotazioni, sostiene Hindenburg, Icahn offrirebbe agli investitori retail che investono nella sua holding (dove non sono presenti investitori istituzionali) un dividend yield del 15,8%, il più alto tra le grandi società americane. Un dividendo che né i flussi di cassa né le performance delle sue controllate sarebbero in grado di sostenere e il cui pagamento è reso possibile solo grazie al continuo collocamento sul mercato di pacchetti azionari delle sue divisioni. “In breve, Icahn sta usando i soldi presi dai nuovi investitori per pagare dividendi ai vecchi investitori. Queste strutture economiche simili a uno schema Ponzi sono sostenibili solo fino al punto in cui il nuovo denaro è disponibile ad assumersi il rischio di essere l’ultimo a restare con il cerino in mano”, ammonisce Hindenburg.