Nel 2019 hanno attraversato lo Stretto di Messina 2,5 milioni di veicoli, un terzo in meno rispetto al 1991 quando erano 3,9 milioni. Basterebbero questi numeri per chiarire al governo che sarebbe meglio affrontare con maggiore prudenza il falso mito del ponte sullo Stretto. Purtroppo anche dalla Ue non arrivano segnali confortanti visto che in questi giorni ci ha riproposto la vecchia logica dei corridoi multi-modali Ten-T.
Le valutazione per le grandi opere non si fanno per priorità, per valutazioni complesse e per approfondite analisi della domanda, dell’impatto ambientale, della sicurezza di esercizio e sull’analisi finanziaria, ma per righe sulla carta geografica (ve lo ricordate Berlusconi?) come spiegava Paolo Beria del Politecnico di Milano su Twitter. Che aggiungeva: dovrebbero essere invece tra mercati rilevanti, cioè su fattori economici e di domanda, non geografici-geometrici come le direttrici Ten-T. Una di queste è tra Helsinki e Malta… la stessa della Lisbona-Kiev della Tav”.
Solo tre settimane fa il ministro Matteo Salvini diceva che il ponte sullo Stretto costa la metà del reddito di cittadinanza (circa 4,5 miliardi). Ora il governo Meloni dice nel Def che il solo ponte costerà 13,5 miliardi di euro: il triplo di quanto detto dal ministro delle Infrastrutture. Le bugie, anche quelle istituzionali, hanno le gambe corte. Il Ministro cita a sostegno del ponte sullo Stretto un dato di risparmio di emissioni che non viene né dal Mit né dal progetto. Ma da un privato, sostenitore del ponte stesso. E ovviamente la stima lascia perplessi per almeno tre buoni motivi:
1) assume che il ponte eliminerà tutti i traghetti, ma questo certamente non avverrà;
2) assume che sul ponte passerà prevalentemente traffico di lunga distanza, non locale, molto improbabile;
3) ignora le emissioni della costruzione, che potrebbero essere 10 volte superiori ai risparmi previsti.
Ma al di là della stima casalinga del privato cittadino, può un ministro delle Infrastrutture non avere una stima propria (Mit) fatta seriamente degli impatti ambientali dell’opera che supporta… per motivi ambientali? E inoltre: quale sarà lo schema finanziario che il governo userà per il ponte sullo Stretto? Non c’è, perchè meno si parla di costi è meglio.
Non è da escludere che il prossimo passo di Salvini sarà firmare qualche contratto capestro con un’impresa di costruzioni (magari un consorzio nazional-popolare con i soliti noti) e ipotecare la provincia di Enna per finanziare il progetto. Sarebbe invece interessante simulare una ipotesi di finanziamento del progetto e vedere se il mercato risponde all’enorme quantità di risorse necessarie per la sua realizzazione. Il raddoppio del canale di Suez fu finanziato quasi interamente da investitori egiziani (banche e cittadini) che in otto giorni hanno raccolto 6,8 miliardi di dollari sugli 8,3 miliardi necessari, tramite l’emissione di obbligazioni. L’Eurotunnel è stato finanziato al 50% da capitali privati. Anche per il traforo ferroviario del Gottardo è stato finanziato con una tassa sui transiti in Svizzera dell’autotrasporto, cioè dalla domanda, non dallo Stato svizzero. Tutte strade fuori dai radar del ministro Salvini, perché dimostrerebbero la non finanziabilità del ponte sullo Stretto.
E infatti la formula del project financing è stata respinta dal gruppo di lavoro di esperti nominati da Salvini per valutare il progetto del ponte. “Sarebbe un errore recuperare quel modello economico e non tentare invece il finanziamento pubblico anche alla luce delle nuove risorse Pnrr e Pnc: il project financing è più oneroso per lo Stato e per gli utenti, incluso Rfi, che devono comunque coprire un costo dell’investimento più alto perché finanziato sul mercato dei capitali a tassi più elevati”, dicono. Il finanziamento pubblico a fondo perduto è sempre il faro della nostra spesa pubblica. Si evitano intoppi e si sposta sulle future generazioni il debito dello Stato, sempre più grazie ad un’altra grande opera non necessaria.