Secondo Evgheny Prigozhin, padre-padrone dei tristemente famosi mercenari della Wagner che ogni giorno lancia annunci intimidatori e improbabili ultimatum per terrorizzare il fronte nemico dell’Occidente e allertare quello interno, sempre meno monolitico, del dispotismo putiniano, le prossime date cruciali della guerra dovrebbero essere due: il 9 maggio termine ultimo per la caduta di Bakhmut, ennesimo trofeo di annientamento in occasione della ricorrenza della “guerra patriottica”, e il 15 maggio come inizio della controffensiva ucraina.
Contestualmente l’ex galeotto – da cui dipende sempre di più l’esito di quella che doveva essere l’operazione speciale-lampo per la “denazificazione” e che si è trasformata dopo oltre 14 mesi in un’umiliazione senza riscatto per l’aggressore – minaccia di ritirare i suoi mercenari a causa “di perdite che sarebbero cinque volte il necessario in primo luogo per la mancanza di rifornimenti”.
E se a Bakhmut i russi contano “le pile di migliaia di morti che mettiamo nelle bare e inviamo a casa” mentre i battaglioni ucraini in poche settimane sotto il fuoco inesorabile degli assedianti perdono oltre la metà degli effettivi, la strage di civili in un raid missilistico russo che dopo quasi due mesi è ritornato a colpire anche Kiev ha segnato un nuovo record di accanimento. Nella notte tra il 27 e 28 aprile, senza apparenti motivazioni strategiche o tattiche, sono stati bersagliati i quartieri residenziali di diverse città nel centro del paese, lontanissime dalla linea di contatto tra l’esercito russo e quello ucraino, come Uman, dove il bilancio provvisorio è di 23 morti a cui si aggiungono le 2 vittime di Dnipro. A queste incursioni, mentre il ministro della difesa ucraina dichiara che “la controffensiva è in dirittura d’arrivo” si sono aggiunti la notte del 1° maggio bombardamenti massicci nelle regioni orientali, da Pavlograd a Sumy, con almeno 25 feriti, così come al Nord.
Per il ministro degli Esteri Dymitro Kuleba si è trattato “della risposta della Russia a tutte le recenti iniziative di pace”. Zelensky, discendente della comunità ebraica ucraina di cui Uman ha sempre rappresentato un centro nevralgico, ha precisato: “Il terrore russo deve ricevere una risposta adeguata dall’Ucraina e dal mondo. E la riceverà. Non dimenticheremo nessun crimine, non permetteremo a nessun occupante di sfuggire alle sue responsabilità”. Contemporaneamente da Mosca si sono limitati a sostenere, contro ogni evidenza, di aver colpito “obiettivi militari”.
E mentre la guerra continua senza tregua a “martirizzare” l’Ucraina, per usare un’espressione di Papa Francesco e non si intravvedono “sforzi creativi di pace”, Putin ha ribadito l’appartenenza indiscussa alla Russia, in quanto “terre storiche”, delle regioni annesse con i referendum farsa. Ma non si è limitato alla dichiarazione di rito: con un decreto ha stabilito che i cittadini ucraini delle regioni occupate che non chiederanno la cittadinanza russa entro il 1° luglio 2024 diventeranno “stranieri” e potranno essere espulsi e incriminati se ritenuti dal Cremlino “una minaccia alla sicurezza”, anche per aver partecipato ad una manifestazione.
Si tratta in pratica di un decreto attuativo della legge marziale introdotta lo scorso 19 ottobre all’indomani dell’annessione illegittima delle quattro regioni “contese”, condannata con una granitica maggioranza anche dall’Assemblea generale dell’Onu. Qualcosa che non ha precedenti nella Russia post-sovietica e risale alla seconda guerra mondiale, ma che soprattutto dice molto delle reali intenzioni di Putin di sedersi ad un tavolo negoziale per “trattare” da invasore quale è – e conferma di essere ogni giorno dal fatidico 24 febbraio 2022 con determinazione implacabile, al di là dei risultati.
Finora è abbastanza nota la fine di “chi si è aperto al dialogo con Mosca”, da Macron a Papa Francesco, che sono stati accantonati più o meno bruscamente nonostante fossero animati, pur con intenti che vanno tenuti ben distinti, dall’imperativo categorico di “non umiliare Putin”.
Da ultimo, dopo una lunga e non casuale ponderazione, si è autocandidato come mediatore Xi Jinping, “amico senza limiti” per autodefinizione e socio di fatto di Vladimir Putin. Della vicinanza fanno fede tra l’altro il voto contrario della Cina alla risoluzione Onu sulla responsabilità della Russia per l’invasione dell’Ucraina, la sintonia totale durante la recente visita di Xi a Mosca e, stando alle rivelazioni di Der Spiegel, le trattative dell’esercito russo per droni cinesi kamikaze da impiegare in Ucraina.
Per chi comprensibilmente vuole vedere la fine delle ostilità e apprezza qualsiasi iniziativa che non provenga dall'”Occidente guerrafondaio” i riferimenti generici al riconoscimento della sovranità nazionale, auspicabilmente anche quella dei paesi baltici negata dall’ambasciatore cinese a Parigi, al superamento della “mentalità da guerra fredda” e al “cessate il fuoco” sono già sufficiente garanzia di “equilibrio tra le parti”. La lettura complessiva dei 12 generici e indefiniti punti, con la molto rilevante eccezione del punto in cui si pretende che le uniche sanzioni ammissibili siano quelle del consiglio di sicurezza dell’Onu dove Cina e Russia hanno il potere di veto, può trovare largo consenso. Ma si può parlare di un vero piano di pace?
Analogamente la “cordiale” telefonata di Xi con Zelensky a lungo rimandata, dopo 14 mesi di sostanziale appoggio al partner con cui intende ridisegnare l’equilibrio mondiale, e che è stata comunicata ufficialmente senza che vi siano incluse le parole “guerra” e “Putin”, è così significativa per la risoluzione del conflitto?
Indubitabilmente Xi Jinping è il mediatore più importante e più influente intervenuto sulla scena internazionale e probabilmente in grado di far valere la sua forza e il suo potere per fermare l’aggressione di Putin, primo ed imprescindibile obiettivo di qualsiasi tavolo negoziale che non sia inscenato ad uso e consumo dell’aggressore. Ma non è per niente scontato che la Cina voglia uscire dalla sua politica ambigua di proverbiale e opportunistica cautela e che ritenga conveniente mettere Putin davanti alle sue devastanti responsabilità.