Cinema

Alessandro D’Alatri morto, dall’esordio con la pubblicità (Ciribiribì Kodak e non solo) al cinema con Fabio Volo e Kim Rossi Stuart

Dal cinema alla fiction Rai più popolari, iniziando con un ruolo da attore e poi da regista con alcuni spot rimasti nell'immaginario degli spettatori

di Davide Turrini

Alessandro D’Alatri è morto. Il regista romano celebre per il sodalizio con Kim Rossi Stuart e Fabio Volo, e per titoli come Casomai e La Febbre aveva 68 anni. Quando era ancora bambino D’Alatri venne scoperto come attore in una recita scolastica nientemeno che da Luchino Visconti. Il piccolo Alessandro iniziò così a recitare in sceneggiati tv, nelle pubblicità degli anni sessanta e finì poi per interpretare a 15 anni il protagonista Giorgio da ragazzino – da grande è Lino Capolicchio – ne Il giardino dei Finzi Contini (1970) di Vittorio De Sica. Prima di esordire come regista su grande schermo con Americano Rosso (1991) – Fabrizio Bentivoglio e Burt Young protagonisti e un discreto successo di critica e pubblico – D’Alatri girò decine e decine di spot pubblicitari tra cui i celebri Paraflu e Ciribiribì Kodak, la memorabile sequenza per Telecom con Massimo Lopez condannato a morte, e ancora tutto il filone del paradiso per la Lavazza con Bonolis protagonista e che diventerà suo attore al cinema.

Dicevamo dell’esordio che lascia traccia senza esagerare. Ecco allora D’Alatri girare il minimale Senza pelle (1995) inizio del sodalizio con Kim Rossi Stuart, qui psicopatico che si innamora di un’impiegata delle poste (Anna Galiena) immersi in un racconto impastato di sano realismo. Il film finisce nientemeno che alla Quinzaine di Cannes in un Concorso in cui erano presenti Manoel De Oliveira e Michael Haneke. Solo che D’Alatri subisce una sorta di folgorazione spirituale e scrive con lo scrittore e poeta di origine ebraica Milo Silvera I Giardini dell’Eden (1998) dove troviamo Rossi Stuart nei panni di Gesù dai dodici ai trenta anni. Il film va in Concorso al Festival di Venezia ma viene impallinato da diversi critici, tra cui Paolo Mereghetti che lo definisce “una specie di ecumenismo new age fitto di ammiccamenti indecifrabili per lo spettatore non esperto di storia delle religioni”.

D’Alatri che si definirà “cattolico distratto” girerà poi Casomai nel 2001 con Fabio Volo e Stefania Rocca, storia di una coppia verso il matrimonio in un’atmosfera un po’ plumbea con un prete (il futuro regista Gennaro Nunziante) che suggerirà ascissa e ordinata del loro futuro compreso tutto il capitolo della colpa rispetto all’aborto della protagonista. D’Alatri diverge parecchio dalla vulgata filosofico tematica più di “sinistra” dei registi italiani anni novanta/inizio duemila, eppure i suoi film hanno sempre una certa fluidità di scrittura e una regia vivace e tenace nel far correre il racconto in ogni pertugio possibile.

A seguire, infatti, ecco La febbre (2005) che con il coevo Caterina va in città di Virzì e tutta la filmografi di Ligabue sembra un po’ una sorta di cinema populista ante litteram, con Nunziante e Starnone allo script. Ancora Volo protagonista del film, geometra comunale con ben altri sogni nel cassetto, ma anche con una critica non proprio sottotraccia alle pastoie e follie del sistema burocratico italiano, tanto che sul finale appare pure il presidente della Repubblica (Arnoldo Foà) a cui il protagonista ridà in segno di protesta la carta d’identità. L’anno successivo è ora di Commediasexi, strano e bizzarro prodotto in forma di commedia di costume/politica che ha come protagonista Paolo Bonolis e ancora Nunziante pre Zalone allo script.

Di fondo, alla reiterata scappatella dell’onorevole cattolico Bonfili (Bonolis), sua una legge sulla difesa della famiglia, con una valletta (Elena Santarelli) invece che vedere sviluppate linee drammaturgiche da pochade (Bonolis recita esasperato e folle vagamente banfiane), segue uno sviluppo del racconto ipermoralista che inchioda l’onorevole ad una colpa mastodontica e incancellabile che fa virare la commedia in una farsa vagamente tragica. Fatto sta che il film guadagna oltre sette milioni di euro al box office e D’Alatri afferma definitivamente quella sua presenza politicamente trasversale nel cinema italiano afflitto da sperimentalismi e intellettualismi, e mai (ancora all’epoca) interessato ad una forma di racconto più culturalmente conservatrice e meno di libertaria o di sinistra, sicuramente più predisposta per i grandi numeri in sala (vedi l’uso di Volo e Bonolis).

Successivamente arriverà una commedia romantica praticamente invisibile – Sul mare, 2010 – e un discreto thriller modello Fincher intitolato The Startup nel 2017. Anche se in questi anni D’Alatri si è dedicato definitivamente alla fiction tv, diventando uno dei registi di punta della serie Rai, I Bastardi di Pizzofalcone e Il commissario Ricciardi.

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