Una volta il mantra era “ce lo chiede l’Europa”, ma una volta tanto che Bruxelles non avrebbe avuto nulla da chiedere, l’Italia è pronta ad andare in direzione opposta e contraria. La direttiva per “estirpare la corruzione” come la definisce il vicepresidente della Commissione Europea Margaritis Schinas contiene un pacchetto di interventi sul reato testi ad armonizzare la lotta al fenomeno nei paesi membri. Dalle pene – tra i 4 e i 7 anni – alla prescrizione che l’Europa vuole rafforzare allungando i tempi, passando per l’incandidabilità degli eletti. Quindi mentre l’Europa vuole ingaggiare una battaglia, finora persa a dire il vero, ovvero depotenziare o eradicare bustarelle e mazzette in cambio di favori, appalti e altro, l’Italia prima con la riforma Cartabia ora con la riforma annunciata dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, si appresta a uscire di fatto dall’Europa grazie alla smantellamento definitivo della Spazzacorrotti che aveva messo dei paletti al fenomeno che proprio l’Europa aveva elogiato. Il governo Meloni si appresta a sfasciare i progressi in tema di lotta alle tangenti.

E così lo scorso dicembre mentre finivano in manette l’ex eurodeputato italiano Antonio Panzeri, l’allora vicepresidente Eva Kaili per uno scandalo di corruzione internazionale senza precedenti, in Italia il Senato votava per salvare i corrotti dal carcere con il famigerato Decreto rave con un regalo ai detenuti per corruzione, concussione, peculato e altri reati contro la pubblica amministrazione: ovvero ottenere i benefici penitenziari che preclusi dalla legge Spazzacorrotti, approvata nel 2019 (sotto il primo governo Conte) per iniziativa dell’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede. Cioè ad avere la garanzia di non fare mai nemmeno un giorno di carcere, proprio come accadeva prima di quella legge. C’è poi la inossidabile volontà di portare a termine la stretta sulle intercettazioni, di limitare le misure cautelari, il ritorno della prescrizione dopo il primo grado, abrogazione dell’abuso d’ufficio, inappellabilità delle sentenze di assoluzione e un bavaglio ancora più stretto alla cronaca. Senza contare la separazione delle carriere.

C’è quindi la richiesta e l’ipotesi di cancellare il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, introdotto nel 2019 dalla legge Spazzacorrotti. Una mozione approvata alla Camera con i voti del centrodestra e dell’ex terzo polo, infatti, chiede “il ripristino della disciplina della prescrizione sostanziale in tutti i gradi di giudizio“, abrogando quindi sia la Bonafede sia il meccanismo dell’improcedibilità introdotto dalla riforma penale Cartabia (per cui, a regime, il processo “morirà” dopo due anni in Appello e un anno in Cassazione), che non ha ancora prodotto i suoi effetti, visto che si applica solo ai procedimenti per reati commessi dal 1° gennaio 2020. Ma proprio da Bruxelles arriva la volontà di intervenire in senso opposto: negli Stati membri dell’Ue “ci sono oggi poche condanne” per reati di corruzione, anche perché le indagini sono spesso “lunghe” e complicate. Per questo “proponiamo tempi di prescrizione più lunghi e di armonizzarli” a livello comunitario dice la commissaria europea agli Affari Interni Ylva Johansson, in conferenza stampa a Bruxelles.

Nonostante le inchieste dimostrino giorno dopo giorno l’importante delle intercettazioni per perseguire i reati si vuole “inibire la pubblicazione, anche parziale, del contenuto”. con la richiesta anche di limitare la diffusione delle conversazioni “soprattutto se riguardano terzi non indagati e vengono estrapolate dal contesto generale”. Nonché di “rafforzare il controllo sull’impiego dei trojan“, i virus-registratori installati negli smartphone che necessitano, scrive, “di una rigorosa disciplina ad hoc” (che però esiste già: lo strumento può essere utilizzato solo per indagare su reati molto gravi e con limiti molto stringenti). Sulle misure cautelari un altro pasticcio per la mozione del centrodestra impegna Nordio “ad adottare le opportune iniziative in materia di misure cautelari personali (…) incidendo sui presupposti per la loro applicazione e, nello specifico, su quello previsto dall’articolo 274, comma 1, lettera c) del codice di procedura penale”. Di cosa si tratta? Di quella norma che consente di applicare le misure cautelari per il rischio di reiterazione di reati simili a quello per cui si procede: cioè la motivazione usata dai giudici nel 90% dei casi. Il referendum-flop voleva abolirla, rendendo di fatto impossibile disporre la custodia in carcere o ai domiciliari per tutta una serie di reati: quelli dei colletti bianchi (corruzione, concussione, turbativa d’asta), ma anche lo spaccio di stupefacenti, i furti, le estorsioni. Ora il centrodestra e il suo ministro vogliono riprovarci con una legge. Non solo: nella mozione di renziani e calendiani si chiede che qualsiasi misura cautelare debba essere disposta da un collegio di tre giudici, e non più da un solo gip.

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