di Riccardo Mastrorillo
La definizione di trasformista per l’onorevole Enrico Borghi e per l’onorevole Caterina Chinnici potrebbe essere un complimento. Il termine richiama in realtà ad una pratica politica molto italiana di cooptare in maggioranza gruppi politici fino a quel momento schierati all’opposizione. Corre alla memoria il “connubio” tra Cavour e Rattazzi, ma soprattutto la capacità di destreggiarsi nei meccanismi parlamentari da parte di Giolitti o infine l’attitudine, nella prima repubblica, della Democrazia Cristiana di aggregare a turno i vari partiti minori per garantirsi la maggioranza, evitando così di consentire l’assunzione di responsabilità di Governo da parte del Pci o del Msi.
Borghi e Chinnici hanno commesso un’azione di tradimento dell’elettorato e di nefasto opportunismo personale. Non si capisce cosa sia cambiato nel Partito democratico tale da giustificare il passaggio a Italia Viva da parte di Borghi, o a Forza Italia da parte della Chinnici. Ma alla base di questi vergognosi cambi di casacca c’è un problema di fondo della politica: la ricerca di candidati “bandiera” e il ruolo indecente delle Segreterie di Partito nella scelta dei parlamentari.
Non ci dovrebbe sorprendere se i parlamentari “nominati” da Letta, una volta sostituito il segretario del Pd con un’altra personalità, si sentano liberati da qualsiasi coerenza, lealtà e appartenenza, certificando chiaramente la nefandezza di questa legge elettorale, in cui gli elettori non possono scegliere gli eletti, ma se li trovano scelti dal segretario di turno, che inevitabilmente li individuerà in base alla fedeltà personale, più che alla capacità e la lealtà nei valori del Partito.
Per la Chinnici, che nonostante tutto ha preso 112.526 preferenze, il discorso è in parte diverso. La scelta di candidare delle figure “iconiche” alle Elezioni Europee, prive di una chiara storia politica, prive anche di una visione “europea”, scelte solo per la notorietà del cognome, pensando così di raccogliere, grazie alla fama familiare (si tratta della figlia di Rocco Chinnici, assassinato da Cosa Nostra), qualche voto in più, a prescindere dalle caratteristiche delle persone che auspichiamo di mandare al Parlamento Europeo. Caterina Chinnici, oltre che “figlia”, è un magistrato. Tra i suoi primi incarichi è stata nel Gabinetto dei Ministri Mino Martinazzoli, Virginio Rognoni e Giuliano Vassalli; dal 2009 al 2012 è Assessore Regionale della Giunta Lombardo (Centro destra). Nel 2014 Matteo Renzi decise di candidarla al Parlamento Europeo, probabilmente convinto di “recuperare” così voti “a destra”; rieletta nel 2019, qualche giorno fa si è “trasferita” in Forza Italia. Finalmente è tornata a casa: nel Partito popolare europeo, a cui, probabilmente, ha sempre culturalmente appartenuto.
Non possiamo esimerci da una considerazione di etica politica su questi passaggi “agevolati” da un partito all’altro, caratteristica da qualche anno dilagante nel panorama politico italiano, favorita dalla “liquefazione” di ogni cultura politica, ma soprattutto da un sistema elettorale sciagurato. L’assenza di un minimo collegamento tra la volontà popolare e l’eletto, che come diciamo da anni è scelto esclusivamente dalle segreterie di partito, porta appunto ad una deriva di irresponsabilità da parte dei parlamentari, più interessati alla ricerca di un rapporto di fedeltà con un leader per garantirsi la rielezione che mantenere un leale rapporto di fiducia con i propri elettori.
Considerata la diffusione di questa pratica politicamente immorale, sarebbe saggio, pur nel rispetto dell’articolo 67 della Costituzione, prevedere un sistema di verifica della fiducia, da parte degli elettori, nel caso di cambio di partito o gruppo parlamentare, piuttosto che ricorrere a strane alchimie regolamentari, come ha fatto il Senato della Repubblica e come vorrebbe fare la Camera dei Deputati, privando di fatto i parlamentari che cambiano gruppo di alcune prerogative, in questo caso incidendo sostanzialmente sul dettato Costituzionale: “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Un’altra riflessione va fatta sul fatto che nella tanto vituperata “prima repubblica” i cambi di casacca erano quasi inesistenti.
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