Giorgio Airaudo, segretario della Cgil Piemonte, una lunga carriera di sindacalista con i metalmeccanici della Fiom, è stato deputato per Sinistra e Libertà. Facciamo il punto con lui su quello che (non) sta accadendo in Italia. In mezza Europa cittadini, lavoratori e sindacati si mobilitano per rivendicare diritti, un nuovo e meno oppressivo modo di rapportarsi al lavoro e adeguamenti salariali di fronte ad un’inflazione che morde. L’Italia è uno dei paesi in cui il problema delle retribuzioni è più acuto, gli stipendi sono bassi e secondo l’Ocse sono gli unici tra quelli dei paesi membri a non salire da 30 anni. Perché questa timidezza nelle rivendicazioni?
Penso che la situazione italiana abbia delle sue specificità. Le persone che lavorano sono state colpite molto duramente dai processi di ristrutturazione e della precarizzazione delle loro occupazioni. I lavoratori italiani sono quindi più isolati e più ricattabili rispetto a quelli di altri paesi, penso soprattutto a Francia e Germania ma anche alla Spagna, dove il governo ha azzerato i contratti precari. Qui si fa esattamente il contrario, con un Consiglio dei ministri convocato nel giorno della festa dei lavoratori che ha eliminato le causali dai contratti a termine. E mancano le politiche industriali. Al di là della retorica, abbiamo di fatto perso la nostra più grande azienda manifatturiera e oggi siamo gli ottavi produttori di auto in Europa.
Che clima si respira nelle fabbriche?
È un clima di attesa e di preoccupazione. Attesa per vedere cosà farà il governo, paura per quelle che sono le prospettive. Di sicuro c’è una forte domanda di tutela e il sindacato deve dare delle risposte adeguate. Credo che serva una maggiore e più energica iniziativa sindacale. Non abbiamo bisogno di sindacati che svolgano un ruolo di intermediazione o di consulenza ma che rappresentino le istanze dei lavoratori e riescano a tradurle in risultati concreti. Questo non si ottiene con fiammate e iniziative sporadiche, per quanto intense, ma con l’avvio del percorso di quella che sarà una lunga battaglia per cambiare l’agenda della politica.
Per adesso però ci sono solo tre manifestazioni interregionali, Nord, Centro e Sud, la prima sabato a Bologna…
Mi auguro che questo sia solo l’inizio. È giusto tenere aperta la possibilità dello sciopero che è innanzitutto uno strumento di protesta ma è anche un modo per veicolare solidarietà tra lavoratori e rafforzare la credibilità sindacale. Ma, ripeto, parliamo di un’azione di lungo termine che il sindacato deve dimostrare di essere in grado di dispiegare con efficacia. Le organizzazioni dei lavoratori devono essere attente a non ritenersi immuni da una crisi di rappresentanza che abbiamo visto colpire molte istituzioni. Devono dare delle risposte soddisfacenti a quella che per le persone che lavorano sta diventando una situazione insopportabile.
Quali dovrebbero essere i punti al centro di questa nuova agenda politica?
Ne indico tre. Il primo è il pieno recupero del potere d’acquisto dei salari, falcidiato dall’aumento dei prezzi. Con la stessa somma i carrelli della spesa si riempiono la metà rispetto a due anni fa e non si può scaricare l’inflazione su stipendi da 1.200 euro al mese. Lo dice anche la Banca centrale europea, ci sono tante imprese che, in questa situazione, stanno facendo grandissimi guadagni. Assistiamo ad un fenomeno che ha dell’incredibile, l’inflazione da profitti che, a casa mia, si chiama speculazione. Invece i salari restano al palo e si riducono in valore reale. È ora che i guadagni vengano redistribuiti ai lavoratori che questa ricchezza hanno contribuito a produrla.
Gli altri due?
L’azzeramento della precarizzazione. Lo ha fatto la Spagna e con buoni risultati, possiamo farlo anche noi. E poi c’è quello che io ritengo un tema fondamentale, ovvero il salvataggio della sanità pubblica. Il sistema è vicino al collasso, per un esame ci sono liste da attesa di 18 mesi. L’alternativa è pagarselo privatamente ma per chi ha uno stipendio da operaio si capisce bene cosa voglia dire spendere 200 euro per un’ecografia o una visita specialistica. Dobbiamo quindi mobilitarci e agire subito per salvare la sanità universale che assicura a tutti, indipendentemente dal censo, l’accesso alle cure di cui ha bisogno. Il sistema che negli anni ci ha garantito questa possibilità ormai è allo stremo.
Come giudica l’azione del governo Meloni?
Mi pare che si vada esattamente nella direzione opposta e devo dire che questo accade in continuità con il precedente governo. Si fanno iniziative simboliche, di facciata, temporanee. Cosa vuole che siano pochi euro in più in busta paga che si ottengono con un taglio, peraltro temporaneo, del cuneo fiscale se poi devo spenderne il doppio o il triplo per una visita? O se, nel frattempo, la spesa al supermercato è aumentata in ben altra misura?
Da sindacalista di lungo corso che effetto le fa guardare quanto accade in Francia?
Mi lasci premettere che quello a cui stiamo assistendo è una ripresa della lotta sociale che interessa gran parte dell’Europa. La Francia è il caso più evidente ma ci sono anche la Spagna, dove la gente scende in piazza per la sanità pubblica, la Gran Bretagna con i lavoratori che si mobilitano e scioperano a difesa del servizio sanitario nazionale e per avere aumenti che compensino l’inflazione. Lo stesso si verifica in Germania dove il sindacato dei dipendenti pubblici ha da poco ottenuto il recupero dell’inflazione nelle buste paga e l’Ig Metall dei metalmeccanici pone il tema della settimana da 4 giorni lavorativi a parità di salario. Molte cose insomma si stanno muovendo. In questo quadro, la Francia ha naturalmente la sue specificità. Il paese ha una lunga tradizione di questo tipo di lotta e mobilitazioni e i cittadini sono meno ricattabili. La precarietà è meno feroce che in Italia, hanno un salario minimo, in passato si sono fatte politiche industriali. Per intenderci, Stellantis in Francia ha 12 stabilimenti e nel paese si producono 1,6 milioni di auto l’anno. Si vede molta rabbia che, in parte, era già sfociata nelle mobilitazioni dei gilet gialli. È giusto riconoscere la qualità della protesta e la tenacia di chi vi partecipa ma bisogna anche considerarne i possibili limiti. Questa rabbia, queste mobilitazioni, avranno la capacità di portare a dei risultati concreti? Questo non è scontato, in Francia i sindacati sono meno rappresentativi che in Italia. C’è però una maggiore rappresentanza politica di queste istanze.
L’Italia è diversa o è solo in ritardo?
Ci sono nubi che si stanno addensando e sono tante. Potremmo definirla una situazione di quiete prima della tempesta anche se non sappiamo se sarà una tempesta piccola o grande. Questo dipenderà anche dalla capacità del sindacato di organizzare le richieste di chi lavora, veicolarle alla politica e tradure in risultati concreti. Se questo non accade è probabile che di situazioni “alla francese” ne vedremo tante.