Il decreto lavoro del Primo maggio è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale e si è portato dietro le peggiori conferme di quanto era circolato nelle bozze. Tra queste, l’articolo 26, una norma che cerca di rendere praticamente impossibile per i lavoratori e i sindacati stessi conoscere il funzionamento degli algoritmi che sulle piattaforme assegnano e valutano il “lavoretto” dei rider o di altri lavoratori della gig economy determinandone frequenza d’impiego e guadagni e basandosi solitamente sulla performance. L’ex ministro del lavoro, il dem Andrea Orlando, è stato il primo a dare l’allarme su una norma che mina “il diritto alla trasparenza sull’uso degli algoritmi nei posti di lavoro”. L’accusa era in un tweet: “Questo governo non sa guardare al lavoro che cambia e si schiera dalla parte delle grandi piattaforme”. Secondo i giuristi consultati dal Fatto il tentativo di assist alle piattaforme potrebbe però rivelarsi un flop.
L’articolo in questione è il 26 e prevede che il datore di lavoro o il committente sia sì “tenuto a informare il lavoratore dell’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio” ma solo se “integralmente automatizzati” per “fini della assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni nonché la valutazione, le prestazioni”. Poi inserisce un’altra eccezione. Si prevede infatti che questi “obblighi non si applichino ai sistemi protetti da segreto industriale e commerciale”. E nel mondo delle piattaforme poche cose sono considerate più segrete del funzionamento degli algoritmi. “In questo modo crolla completamente l’impianto che avevamo costruito finora”, ha spiegato al Fatto l’ex ministro.
Gli obblighi del decreto trasparenza – Di fatto, con il Decreto trasparenza approvato la scorsa estate e sulla base delle norme Ue, sia i lavoratori che i sindacati potevano richiedere l’accesso al funzionamento degli algoritmi per capire come funzionino e assegnino il lavoro, mentre stava alle piattaforme dimostrarne inaccessibilità e relative motivazioni: “Così invece è un liberi tutti che potrebbe avere una portata maggiore se in futuro si dovessero gestire in questo modo anche altre forme di lavoro subordinato”, aggiunge Orlando. “È una norma intollerabile, pericolosa, che ci fa tornare indietro anche rispetto alle sentenze sulla trasparenza algoritmica che abbiamo vinto – ha spiegato la Cgil nazionale – In un tempo in cui è sempre più diffuso l’utilizzo di sistemi algoritmici e l’Europa stessa si muove per rendere la trasparenza l’elemento cardine del loro utilizzo, il Governo decide di fare un passo indietro garantendo i datori di lavoro, accettando di non contrastare l’opacità dell’algoritmo e privando lavoratori e loro rappresentanze di uno strumento essenziale per esercitare diritti”.
La condanna di Uber Eats – A fine marzo, ad esempio, Uber Eats è stata condannata per non avere voluto informare la Cgil sui criteri con cui, attraverso il sistema di funzionamento dell’algoritmo, vengono organizzati gli incarichi ai lavoratori. Il giudice del lavoro Santina Bruno ha condannato l’app a comunicare alle organizzazioni sindacali “le informazioni sull’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati” e ha riconosciuto la “natura antisindacale” del diniego di Uber di fornire indicazioni. Una causa simile è stata presentata in questi giorni, sempre dai sindacati di trasporto, commercio e atipici della Cgil dell’Aquila, questa volta contro Glovo, sempre per spingere l’app a rendere chiari e trasparenti i meccanismi di assegnazione del lavoro.
L’assist nel decreto Lavoro – Ora però la norma contenuta nel decreto Lavoro fornirà un assist alle multinazionali del food delivery, garantendo il segreto industriale. “Si tratta di un vestito su misura che ricalca al millimetro le difese delle società dei rider nelle cause che sono in piedi – spiega l’avvocato Carlo De Marchis che con Giorgia Lo Monaco e Sergio Vacirca promuove diversi procedimenti contro le piattaforme – le quali spesso e volentieri si difendono dicendo che le norme sulla trasparenza a loro non si applicano perché i loro sistemi non sono integralmente automatizzati e perché c’è segreto industriale”.
Nell’ordinanza contro Uber Eats, il giudice cita proprio il decreto 104 trasparenza del 24 giugno 2022, che applica la direttiva europea sulle condizioni di lavoro eque, trasparenti e prevedibili e che impone ‘al datore di lavoro di informare il lavoratore dell’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati, deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini dell’assegnazione di compiti o mansioni…’.
Il giurista: “Non modifica la portata della norma” – Manca il termine “integralmente” che, nell’ottica del governo, dovrebbe favorire le piattaforme. Ma non è proprio così. “Ad esempio, il fatto che il comma 2 intenda semplificare gli obblighi di trasparenza sull’impiego di sistemi decisionali e di monitoraggio dei lavoratori precisando che si applicano solo a quelli ‘integralmente’ automatizzati non modifica affatto la portata pratica che la norma aveva anche prima della modifica”, spiega Alessandro del Ninno, avvocato e docente di Informatica Giuridica e di Intelligenza Artificiale, Machine Learning e Diritto all’Università LUISS Guido Carli di Roma ed esperto del Comitato europeo per la protezione dei dati personali.
Già una circolare esplicativa del Ministero del Lavoro (la n. 19 del 20 Settembre 2022) specificava infatti che “nella sostanza, il decreto legislativo richiede che il datore di lavoro proceda all’informativa quando la disciplina della vita lavorativa del dipendente, o suoi particolari aspetti rilevanti, siano interamente rimessi all’attività decisionale di sistemi automatizzati’”. L’elenco include chatbots, profilazione automatizzata dei lavoratori, utilizzo di software per il riconoscimento emotivo e test psicoattitudinali, strumenti di data analytics o machine learning, rete neurali, deep-learning.
Il Gdpr prevale sul decreto – Come non bastasse, l’impiego di strumenti decisionali o di monitoraggio interamente automatizzati deve coordinarsi con il divieto di trattamento – sempre completamente automatizzato – dei dati personali (inclusa la profilazione degli interessati, non solo i lavoratori) che è contenuto nell’articolo 22 del Regolamento Ue sui dati personali (n. 679/2019), ovvero l’ormai noto Gdpr. Il divieto è derogabile solo in tre casi particolari: se cioè il trattamento completamente automatizzato è previsto da un contratto o dalla legge o si fonda sul consenso dell’interessato. “Tuttavia, il lavoratore – precisa Del Ninno – non può prestare un consenso valido al trattamento dei suoi dati poiché è un soggetto debole o vulnerabile (per lo squilibrio del rapporto con il datore di lavoro). Né un contratto individuale di lavoro può ‘obbligare’ il lavoratore ad accettare l’impiego di sistemi interamente automatizzati che trattano i suoi dati per scopi decisionali o di monitoraggio”. Su tutto, vigono sempre insomma le tutele del Gdpr “che tra l’altro è una fonte di rango normativo sovraordinato ai decreti, che come norme ordinarie non possono violare o derogare il Gdpr” continua Del Ninno.
Difficile escludere in toto gli obblighi informativi – E il segreto industriale? “Senza norme interpretative – che magari successive circolari forniranno – , le informazioni da rendere al lavoratore potranno non includere aspetti specifici idonei a rivelare profili di know-how o di IP dei sistemi, ai sensi del Codice della Proprietà Industriale. Tuttavia, ammettere una lettura della norma – la cui portata appare generica e ambigua – che escluda in toto gli obblighi informativi solo per il rischio di violare l’IP appare esorbitante. E d’altra parte, i sistemi automatizzati avranno sempre una proprietà industriale da proteggere, non potendo divenire il richiamo alla protezione del segreto una sorta di alibi generale che depotenzia le garanzie di trasparenza per i lavoratori”.
Nel caso del cosiddetto lavoro algoritmico che interessa le grandi piattaforme (e su cui la Ue ha presentato una specifica proposta di direttiva il 9 dicembre 2021), il riferimento alla tutela del segreto industriale e commerciale richiama la protezione degli algoritmi proprietari, che le piattaforme potrebbero decidere di non rivelare, respingendo le richieste di accesso. “Ma anche in tali casi – spiega Del Ninno – soccorre la normativa data protection e le norme specifiche sul diritto di accesso ai propri dati”. Il Gdpr precisa che se è vero che il diritto di accesso ‘non dovrebbe ledere i diritti e le libertà altrui, compreso il segreto industriale e aziendale e la proprietà intellettuale’ tuttavia, “tali considerazioni non dovrebbero condurre a un diniego a fornire all’interessato tutte le informazioni” “E inoltre – conclude Del Ninno – la proposta di Regolamento generale UE sull’Intelligenza Artificiale in corso di approvazione fa della trasparenza algoritmica uno dei pilastri fondamentali proprio per evitare discriminazioni”. Anche su questa base, nel 2021 l’Autorità garante per la protezione dei dati personali ha multato Deliveroo Italy per aver trattato in modo illecito i dati personali di circa 8.000 rider (2,5 milioni di euro).
Il peso degli algoritmi sul lavoro tramite piattaforma – “Non ci interessa la stringa informatica, il segreto tecnico – spiega De Marchis – bensì la logica, il dataset, i parametri e il peso nello scegliere il rider che fa la consegna, che è l’elemento più opaco. Perché se ne sceglie uno e non un altro?” La difesa delle piattaforme è che di solito ci si basi sul ‘più vicino’. Ma spesso i rider sono tutti nella stessa zona. “Allora viene fuori che c’è anche il criterio della velocità – continua De Marchis – e quelli che definiscono ‘altri fattori’ che garantiscono l’efficienza della consegna. Quali sono? Non si sa. E quanto pesano nella valutazione algoritmica? Non si sa. Non va bene. Potrebbero essere però discriminatori ed è fondamentale saperlo”.
Anche se ormai si sta insinuando in molti settori della nostra economia, l’utilizzo degli algoritmi è un tratto caratterizzante del lavoro su piattaforma digitale. Settore che di solito viene associato univocamente alle consegne a domicilio, sebbene vi siano molte attività che oggi vengono svolte tramite app. Secondo un’indagine Inapp, i platform worker in Italia sono 570mila e, di questi, 274mila dichiarano che il lavoro svolto tramite piattaforma è la principale fonte di reddito. Metà di chi agisce tramite app fa consegne di prodotti o cibo, gli altri svolgono attività online o fanno servizio di trasporto persone. Secondo l’osservatorio di JustEat, nel 2020 il fatturato del food delivery è arrivato a 1,5 miliardi di euro, spinto in quell’anno anche dalla pandemia.
Lavoro & Precari
Assist del governo alle società di food delivery in causa con i rider sull’algoritmo. Ma secondo i giuristi il tentativo potrebbe fallire
Il decreto lavoro del Primo maggio è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale e si è portato dietro le peggiori conferme di quanto era circolato nelle bozze. Tra queste, l’articolo 26, una norma che cerca di rendere praticamente impossibile per i lavoratori e i sindacati stessi conoscere il funzionamento degli algoritmi che sulle piattaforme assegnano e valutano il “lavoretto” dei rider o di altri lavoratori della gig economy determinandone frequenza d’impiego e guadagni e basandosi solitamente sulla performance. L’ex ministro del lavoro, il dem Andrea Orlando, è stato il primo a dare l’allarme su una norma che mina “il diritto alla trasparenza sull’uso degli algoritmi nei posti di lavoro”. L’accusa era in un tweet: “Questo governo non sa guardare al lavoro che cambia e si schiera dalla parte delle grandi piattaforme”. Secondo i giuristi consultati dal Fatto il tentativo di assist alle piattaforme potrebbe però rivelarsi un flop.
L’articolo in questione è il 26 e prevede che il datore di lavoro o il committente sia sì “tenuto a informare il lavoratore dell’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio” ma solo se “integralmente automatizzati” per “fini della assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni nonché la valutazione, le prestazioni”. Poi inserisce un’altra eccezione. Si prevede infatti che questi “obblighi non si applichino ai sistemi protetti da segreto industriale e commerciale”. E nel mondo delle piattaforme poche cose sono considerate più segrete del funzionamento degli algoritmi. “In questo modo crolla completamente l’impianto che avevamo costruito finora”, ha spiegato al Fatto l’ex ministro.
Gli obblighi del decreto trasparenza – Di fatto, con il Decreto trasparenza approvato la scorsa estate e sulla base delle norme Ue, sia i lavoratori che i sindacati potevano richiedere l’accesso al funzionamento degli algoritmi per capire come funzionino e assegnino il lavoro, mentre stava alle piattaforme dimostrarne inaccessibilità e relative motivazioni: “Così invece è un liberi tutti che potrebbe avere una portata maggiore se in futuro si dovessero gestire in questo modo anche altre forme di lavoro subordinato”, aggiunge Orlando. “È una norma intollerabile, pericolosa, che ci fa tornare indietro anche rispetto alle sentenze sulla trasparenza algoritmica che abbiamo vinto – ha spiegato la Cgil nazionale – In un tempo in cui è sempre più diffuso l’utilizzo di sistemi algoritmici e l’Europa stessa si muove per rendere la trasparenza l’elemento cardine del loro utilizzo, il Governo decide di fare un passo indietro garantendo i datori di lavoro, accettando di non contrastare l’opacità dell’algoritmo e privando lavoratori e loro rappresentanze di uno strumento essenziale per esercitare diritti”.
La condanna di Uber Eats – A fine marzo, ad esempio, Uber Eats è stata condannata per non avere voluto informare la Cgil sui criteri con cui, attraverso il sistema di funzionamento dell’algoritmo, vengono organizzati gli incarichi ai lavoratori. Il giudice del lavoro Santina Bruno ha condannato l’app a comunicare alle organizzazioni sindacali “le informazioni sull’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati” e ha riconosciuto la “natura antisindacale” del diniego di Uber di fornire indicazioni. Una causa simile è stata presentata in questi giorni, sempre dai sindacati di trasporto, commercio e atipici della Cgil dell’Aquila, questa volta contro Glovo, sempre per spingere l’app a rendere chiari e trasparenti i meccanismi di assegnazione del lavoro.
L’assist nel decreto Lavoro – Ora però la norma contenuta nel decreto Lavoro fornirà un assist alle multinazionali del food delivery, garantendo il segreto industriale. “Si tratta di un vestito su misura che ricalca al millimetro le difese delle società dei rider nelle cause che sono in piedi – spiega l’avvocato Carlo De Marchis che con Giorgia Lo Monaco e Sergio Vacirca promuove diversi procedimenti contro le piattaforme – le quali spesso e volentieri si difendono dicendo che le norme sulla trasparenza a loro non si applicano perché i loro sistemi non sono integralmente automatizzati e perché c’è segreto industriale”.
Nell’ordinanza contro Uber Eats, il giudice cita proprio il decreto 104 trasparenza del 24 giugno 2022, che applica la direttiva europea sulle condizioni di lavoro eque, trasparenti e prevedibili e che impone ‘al datore di lavoro di informare il lavoratore dell’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati, deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini dell’assegnazione di compiti o mansioni…’.
Il giurista: “Non modifica la portata della norma” – Manca il termine “integralmente” che, nell’ottica del governo, dovrebbe favorire le piattaforme. Ma non è proprio così. “Ad esempio, il fatto che il comma 2 intenda semplificare gli obblighi di trasparenza sull’impiego di sistemi decisionali e di monitoraggio dei lavoratori precisando che si applicano solo a quelli ‘integralmente’ automatizzati non modifica affatto la portata pratica che la norma aveva anche prima della modifica”, spiega Alessandro del Ninno, avvocato e docente di Informatica Giuridica e di Intelligenza Artificiale, Machine Learning e Diritto all’Università LUISS Guido Carli di Roma ed esperto del Comitato europeo per la protezione dei dati personali.
Già una circolare esplicativa del Ministero del Lavoro (la n. 19 del 20 Settembre 2022) specificava infatti che “nella sostanza, il decreto legislativo richiede che il datore di lavoro proceda all’informativa quando la disciplina della vita lavorativa del dipendente, o suoi particolari aspetti rilevanti, siano interamente rimessi all’attività decisionale di sistemi automatizzati’”. L’elenco include chatbots, profilazione automatizzata dei lavoratori, utilizzo di software per il riconoscimento emotivo e test psicoattitudinali, strumenti di data analytics o machine learning, rete neurali, deep-learning.
Il Gdpr prevale sul decreto – Come non bastasse, l’impiego di strumenti decisionali o di monitoraggio interamente automatizzati deve coordinarsi con il divieto di trattamento – sempre completamente automatizzato – dei dati personali (inclusa la profilazione degli interessati, non solo i lavoratori) che è contenuto nell’articolo 22 del Regolamento Ue sui dati personali (n. 679/2019), ovvero l’ormai noto Gdpr. Il divieto è derogabile solo in tre casi particolari: se cioè il trattamento completamente automatizzato è previsto da un contratto o dalla legge o si fonda sul consenso dell’interessato. “Tuttavia, il lavoratore – precisa Del Ninno – non può prestare un consenso valido al trattamento dei suoi dati poiché è un soggetto debole o vulnerabile (per lo squilibrio del rapporto con il datore di lavoro). Né un contratto individuale di lavoro può ‘obbligare’ il lavoratore ad accettare l’impiego di sistemi interamente automatizzati che trattano i suoi dati per scopi decisionali o di monitoraggio”. Su tutto, vigono sempre insomma le tutele del Gdpr “che tra l’altro è una fonte di rango normativo sovraordinato ai decreti, che come norme ordinarie non possono violare o derogare il Gdpr” continua Del Ninno.
Difficile escludere in toto gli obblighi informativi – E il segreto industriale? “Senza norme interpretative – che magari successive circolari forniranno – , le informazioni da rendere al lavoratore potranno non includere aspetti specifici idonei a rivelare profili di know-how o di IP dei sistemi, ai sensi del Codice della Proprietà Industriale. Tuttavia, ammettere una lettura della norma – la cui portata appare generica e ambigua – che escluda in toto gli obblighi informativi solo per il rischio di violare l’IP appare esorbitante. E d’altra parte, i sistemi automatizzati avranno sempre una proprietà industriale da proteggere, non potendo divenire il richiamo alla protezione del segreto una sorta di alibi generale che depotenzia le garanzie di trasparenza per i lavoratori”.
Nel caso del cosiddetto lavoro algoritmico che interessa le grandi piattaforme (e su cui la Ue ha presentato una specifica proposta di direttiva il 9 dicembre 2021), il riferimento alla tutela del segreto industriale e commerciale richiama la protezione degli algoritmi proprietari, che le piattaforme potrebbero decidere di non rivelare, respingendo le richieste di accesso. “Ma anche in tali casi – spiega Del Ninno – soccorre la normativa data protection e le norme specifiche sul diritto di accesso ai propri dati”. Il Gdpr precisa che se è vero che il diritto di accesso ‘non dovrebbe ledere i diritti e le libertà altrui, compreso il segreto industriale e aziendale e la proprietà intellettuale’ tuttavia, “tali considerazioni non dovrebbero condurre a un diniego a fornire all’interessato tutte le informazioni” “E inoltre – conclude Del Ninno – la proposta di Regolamento generale UE sull’Intelligenza Artificiale in corso di approvazione fa della trasparenza algoritmica uno dei pilastri fondamentali proprio per evitare discriminazioni”. Anche su questa base, nel 2021 l’Autorità garante per la protezione dei dati personali ha multato Deliveroo Italy per aver trattato in modo illecito i dati personali di circa 8.000 rider (2,5 milioni di euro).
Il peso degli algoritmi sul lavoro tramite piattaforma – “Non ci interessa la stringa informatica, il segreto tecnico – spiega De Marchis – bensì la logica, il dataset, i parametri e il peso nello scegliere il rider che fa la consegna, che è l’elemento più opaco. Perché se ne sceglie uno e non un altro?” La difesa delle piattaforme è che di solito ci si basi sul ‘più vicino’. Ma spesso i rider sono tutti nella stessa zona. “Allora viene fuori che c’è anche il criterio della velocità – continua De Marchis – e quelli che definiscono ‘altri fattori’ che garantiscono l’efficienza della consegna. Quali sono? Non si sa. E quanto pesano nella valutazione algoritmica? Non si sa. Non va bene. Potrebbero essere però discriminatori ed è fondamentale saperlo”.
Anche se ormai si sta insinuando in molti settori della nostra economia, l’utilizzo degli algoritmi è un tratto caratterizzante del lavoro su piattaforma digitale. Settore che di solito viene associato univocamente alle consegne a domicilio, sebbene vi siano molte attività che oggi vengono svolte tramite app. Secondo un’indagine Inapp, i platform worker in Italia sono 570mila e, di questi, 274mila dichiarano che il lavoro svolto tramite piattaforma è la principale fonte di reddito. Metà di chi agisce tramite app fa consegne di prodotti o cibo, gli altri svolgono attività online o fanno servizio di trasporto persone. Secondo l’osservatorio di JustEat, nel 2020 il fatturato del food delivery è arrivato a 1,5 miliardi di euro, spinto in quell’anno anche dalla pandemia.
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Tel Aviv, 4 mar. (Adnkronos) - Il Ministero degli Esteri israeliano afferma che la dichiarazione del vertice arabo tenutosi al Cairo per discutere della ricostruzione di Gaza non ha affrontato la realtà della situazione successiva al massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023. "È degno di nota che il feroce attacco terroristico di Hamas non venga menzionato e che non vi sia nemmeno una condanna di questa entità terroristica omicida, nonostante le atrocità documentate", afferma la dichiarazione.
il ministero elogia invece il piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di trasferire i cittadini di Gaza, sostenendo — nonostante Trump parli di trasferire tutta la popolazione della Striscia — che in base a questo, "c'è un'opportunità per i cittadini di Gaza di scegliere liberamente. Questo deve essere incoraggiato".
Sana'a, 4 mar. (Adnkronos) - Gli Houthi hanno abbattuto un drone statunitense nei cieli della città portuale di Hodeidah nello Yemen. Lo ha dichiarato portavoce del gruppo, Yahya Saree, in un post su Telegram.
Washington, 4 mar. (Adnkronos) - Secondo due fonti informate sui colloqui, gli Stati Uniti e l'Ucraina potrebbero firmare l'accordo sui minerali già oggi. Lo rende noto Abc News, secondo cui Trump ha indicato ai suoi principali consiglieri che vorrebbe concludere l'accordo prima del suo discorso congiunto al Congresso.
Il Cairo, 4 mar. (Adnkronos) - Il vertice arabo convocato al Cairo ha adottato un piano egiziano per la ricostruzione di Gaza. Lo ha affermato il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi in una dichiarazione conclusiva. Il piano mira a contrastare le proposte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per una "Riviera mediorientale" con un piano per ricostruire la Striscia devastata senza sfollare la sua popolazione.
Parigi, 4 mar. (Adnkronos/Afp) - Il presidente francese Emmanuel Macron ha accolto con favore la volontà del suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky “di riprendere il dialogo con gli Stati Uniti d'America”, secondo quanto riferito dall'Eliseo.
Il capo di Stato “ha ribadito la determinazione della Francia a lavorare con tutte le parti interessate per attuare una pace solida e duratura in Ucraina”, ha dichiarato la presidenza.
Roma, 4 mar. (Adnkronos) - Elly Schlein è netta sul piano lanciato oggi da Ursula Von der Leyen. "Noi non ci stiamo", la posizione della segretaria del Pd. Una linea che, pur con sfumature diverse, trova d'accordo anche l'area riformista dem. Servono "modifiche", dice Lorenzo Guerini. In particolare, a mettere tutti d'accordo è la bocciatura della proposta della presidente della Commissione Ue sulla possibilità di dirottare i fondi di Coesione sulle spese per la difesa. E non solo. Anche la deroga al patto di Stabilità da parte dei singoli Stati, fuori da regia e investimenti comuni sulla difesa, è giudicata un errore trasversalmente tra i dem.
Schlein ha già annunciato che porterà la posizione del Pd alla riunione dei Socialisti e Democratici giovedì mattina a Bruxelles, il pre-vertice che precede il Consiglio europeo straordinario. In vista dell'appuntamento Schlein oggi ha sentito il premier spagnolo Pedro Sanchez. "Una lunga conversazione sullo scenario internazionale e la complicata situazione mondiale", fanno sapere fonti dem. Quella del Pd è la delegazione più numerosa nella famiglia socialista europea. Senza l'ok dei socialisti il piano Von der Leyen traballa. "È il momento delle scelte e della chiarezza. Abbiamo bisogno di una risposta all'altezza della sfida globale - strategica, economica, politica - al ruolo dell'Europa nel mondo. E questa risposta non è quella presentata oggi", rimarca Schlein.
Negli equilibri interni al Pd, la sollecitazione dei riformisti è quella di lavorare per modificare il piano Von der Leyen, "aiutare ad andare nella direzione giusta" ed evitare che ci si arrocchi in un "no a tutti i costi". L'importante, si spiega, "è non mettere in discussione la necessità dell'aumento di risorse per la difesa europea". Per Guerini si tratta di un'esigenza "ineludibile". Quindi la sollecitazione del presidente del Copasir: "Ora bisogna mettersi al lavoro, innanzitutto all’interno del Pse, per confermare in maniera convinta il nostro impegno per maggiori investimenti e capacità militari europee provando a dare un indirizzo più coerente agli strumenti per farlo".
Per Schlein "quella presentata oggi da Von Der Leyen non è la strada che serve all’Europa. All’Unione europea serve la difesa comune, non il riarmo nazionale. Sono due cose molto diverse". Anche il titolo 'Rearm' ha fatto sobbalzare più di uno e anche la segretaria lo mette in evidenza. "Il piano Von Der Leyen, a partire dal titolo, punta sul riarmo e non emerge un indirizzo politico chiaro verso la difesa comune".
Quindi elenca i nodi: "Indica una serie di strumenti che agevolerebbero la spesa nazionale ma senza porre condizioni sui progetti comuni, sull’interoperabilità dei sistemi. Ci sono molti aspetti da chiarire, ad esempio su come funzionerebbe il nuovo meccanismo in stile Sure, per capire se finanzia progetti comuni o spesa nazionale. Ma questa -avverte- non è la strada giusta. Manca ancora la volontà politica dei governi di fare davvero una difesa comune e in questo piano della Commissione mancano gli investimenti europei finanziati dal debito comune, come durante la pandemia. Così rischia di diventare il mero riarmo nazionale di 27 paesi e noi non ci stiamo".
"Noi -insiste- abbiamo un’idea precisa. Quello che serve oggi è un grande piano di investimenti comuni per l’autonomia strategica dell’Ue, che è insieme cooperazione industriale, coesione sociale, transizione ambientale e digitale, sicurezza energetica e anche difesa comune. Anche, ma non solo! Magari cancellando le altre cruciali priorità su cui i governi sono più divisi. È irrinunciabile contrastare le diseguaglianze che sono aumentate. Per questo è inaccettabile utilizzare i fondi di coesione per finanziare le spese militari nazionali".
Punti critici che vengono rilevati anche dai riformisti. Per Guerini "la proposta Von der Leyen definisce giustamente l’obiettivo in termini di risorse", ma "così come è stata prospettata necessita di essere modificata: è sbagliato l’utilizzo dei fondi di coesione e c’è poco coraggio a sostenere un vero salto in senso europeo delle spese per la difesa". Avverte Alessandro Alfieri: gli strumenti "che mettiamo in campo devono portare ad una maggiore integrazione delle principali aziende della difesa europea. In questo senso, se non vengono messe condizionalità alle deroghe al patto di stabilità, l’aumento dei bilanci dei singoli Paesi verrà speso prevalentemente su mercati extra Ue, da cui oggi dipendiamo per l’80%. Aumentando la dipendenza strategica dagli Usa anziché diminuirla".
Per il coordinatore della minoranza dem, il Pd non dovrà far "mancare il proprio contributo in tutte le sedi così come spiegheremo che serve una narrazione diversa che convinca le opinioni pubbliche europee a sostenere la sfida ineludibile della costruzione della difesa europea. Magari chiamando questa sfida Protect Europe invece di Rearm. Perché anche il linguaggio ha la sua importanza...”.
Interviene anche Giorgio Gori a sollevare criticità: sarebbe "un errore - ritengo, da parte della Commissione Europea - autorizzare maggiori spese per la difesa dei singoli Stati membri, in deroga al patto di stabilità, fuori da una comune regia. Ciò finirebbe per approfondire la frammentazione, senza apprezzabili benefici per la sicurezza comune. La deroga dal patto dovrebbe invece essere autorizzata solo per gli investimenti comuni: così si porrebbero le condizioni per l'avvio di un vero sistema di difesa europeo". E poi "ugualmente discutibile appare poi la contrapposizione tra spesa per la difesa e spesa sociale, suggerita dalla facoltà per gli Stati membri di attingere ai fondi per la coesione". Intanto questa mattina la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno ha lanciato un appello via social per un'Europa 'Libera e forte' in 5 punti, difesa comune compresa. Oltre duemila, finora, le adesioni.