“Eccomi, sono qui per voi”. Il corpo di Berlusconi va ancora una volta in onda. Malato, sofferente, simulacro color blu elettrico di una leadership partitica, e di una presenza fisica politica, non più replicabile, procrastinabile, proponibile. Sembra di ri-vedere le claudicanti, svuotate, tremanti apparizioni di Giovanni Paolo II. Quell’osservazione oltre il limite del pudore della malattia fino all’ultimo istante. Quell’insistenza prima di tutto visiva di rifondare la fiducia della folla attraverso il corpo del leader, del capo, della guida spirituale di un credo. Qualcosa a metà tra la presenza dinanzi al re taumaturgico di Bloch e l’inevitabilità della coperta di Linus.
La domanda che si pongono oramai da anni gli analisti politici e i guru della comunicazione rimane identica: ma Forza Italia senza la presenza in pubblico, la sostanzialità di quel soggetto che trascende l’esperienza come il Cavaliere, che cosa è, sarà, diventerà? Perché il video in cui Berlusconi riappare durante l’ultima complicata degenza all’Ospedale San Raffaele di Milano, e che viene spiattellato alla convention di Forza Italia per una prolungata standing ovation, lacrimazione immacolata con fazzoletti di stoffa, striscioni pro o contro la corrente più vicina o lontana dal Cav, sembra una necessità prima di tutto dei suoi deputati, senatori, accoliti, dei componenti di quel partito nato nel vuoto del trapasso tra prima e seconda repubblica, oramai pugile suonato tra gli exploit elettorali salviniani e poi da quelli meloniani. Ed è in questa sorta di arzilla fisicità reiterata, incontro eternamente rinnovabile e rifondante con la storia, di un Berlusconi pietra filosofale irrorato ad ogni pit stop zangrilliano da elisir di lunga vita, che si affaccia l’immortalità di un corpo sovraesposto a futura memoria come fu per il protagonista assoluto della rivoluzione d’ottobre, il Lenin conservato al Mausoleo della Piazza Rossa di Mosca, o di un altro misconosciuto caso, ai più, della storia appena post risorgimentale.
Come scrisse lo storico Sergio Luzzatto ne La mummia della Repubblica (Einaudi) fu sulla salma di Giuseppe Mazzini che nel 1871 si tentò un esperimento di imbalsamazione immediatamente postuma che ha dell’incredibile. Tra i tentativi a dire il vero piuttosto vani di conservazione effettuati dallo scienziato Paolo Gorini, “i repubblicani speravano”, spiega Luzzatto, “imbalsamando Mazzini ed esponendone la mummia, di far coincidere corpo fisico e corpo politico, il mortale cadavere e l’effige immortale”.
Per carità il Cav sarà lì a toccare ferro, e cento di questi giorni a lui, ma è la finalità simbolica della pietrificazione del corpo del capo che ci interessa. Un fenomeno psico-sociale che vige dalla notte dei tempi che con l’avvento delle democrazie parlamentari a discapito dell’astratta raffigurazione “sacra” di re e regine pareva scomparso, e che invece si ripresenta in forma di affettività verticistica o come diceva lo storico Kantorowicz del “doppio corpo del re”. “Il corpo puro e semplice del re non coincide con il suo corpo politico, le vicissitudini del secondo non riguardano il primo”, scrive Enrico Pozzi nel saggio Il corpo malato del leader (in realtà testo che analizza il caso di Bettino Craxi ndr). “Al corpo naturale del sovrano può accadere qualsiasi cosa – la malattia, la morte, il regicidio – senza che questo intacchi in alcun modo la sua parte «angelica», il suo corpo politico”.