“Il Napoli gioca all’italiana”. E di quell’italianità se ne beava Ottavio Bianchi dopo la semifinale di Coppa Uefa, vinta, contro il Bayern Monaco nell’89. Giocava all’italiana e vinceva quel Napoli: difesa solida, centrocampo di qualità e quantità e davanti…beh davanti Careca e soprattutto Maradona. Modello, l’italianità, considerato imprescindibile praticamente fino a ieri, fino a quando Spalletti ha vinto e fatto parlare di sé e del suo Napoli in Europa anche per un gioco non propriamente all’insegna di difesa e contropiede marchio di fabbrica italico. Perché sì, il Napoli ha devastato il campionato almeno fino a fine marzo con la potenza di Osimhen, le giocate di Kvaratskhelia, le geometrie di Lobotka e l’attenzione di Kim, ma non si può parlare di scudetto dei singoli se quello che è balzato agli occhi prima di tutto è stato il gioco bello, intenso e pure divertente.
Non divertente come quello di Sarri, magari, primo a contrapporre il modello “giochista” per usare un termine in voga oggi a quello più utilitaristico e considerato magari meno bello e godibile, ma più funzionale per vincere. A quel palleggio Spalletti ha aggiunto un’intensità e una fisicità maggiore: la ricerca quasi spasmodica della conquista del pallone sulla trequarti avversaria a costo di dare campo aperto agli avversari, anzi, accettando apertamente questo tipo di situazioni e prendendo calciatori in grado di gestirle. Un modello molto vicino a quello di Klopp e molto diverso da quelli che hanno garantito le vittorie, praticamente sempre, in Italia: basti pensare ai cicli di Lippi, Allegri e Capello alla Juve o di Mourinho all’Inter. Con l’unicum del Milan di Sacchi naturalmente e del suo dominio del mondo con un gioco rivoluzionario (e con i migliori calciatori al mondo di gran lunga).
E tuttavia il trionfo del Napoli in Italia va in linea con ciò che accade nel resto d’Europa: in Inghilterra vincerà una tra il Manchester City (verosimilmente) e l’Arsenal. Il primo è la creatura di Guardiola, punto di riferimento assoluto dell’approccio “giochista”, amato da chi celebra l’estetica del pallone e per contro visto come la kryptonite per quelli che “le partite conta vincerle e basta, non importa come”. Il secondo è guidato da Arteta, che è semplicemente lo storico vice di Guardiola, quindi per quanto sarebbe suggestivo a livello narrativo che vincesse la Premier una squadra come l’Arsenal, più giovane e soprattutto molto meno costosa rispetto al Manchester City non si può certo parlare di modelli opposti.
E per restare sempre nell’ambito “Pep e i suoi fratelli” vincerà in scioltezza la Liga, avendo 13 punti di vantaggio a cinque giornate dalla fine, il Barcellona di Xavi. Qualcuno dice che gente come Pedri e Gavi, due fuscelli di scarsi 60 chili, in Italia non potrebbero affatto giocare: sarà, intanto vincono la Liga con 60 gol fatti e 11 subiti dando spettacolo, davanti all’Atletico del Cholo Simeone, forse massimo esempio del modello contrario a quello che si sta analizzando, e al Real di Ancelotti. In Bundesliga il Borussia Dortmund di Terzic sta insidiando, con una squadra molto meno attrezzata, il dominio del Bayern, con un modello molto molto vicino a quello di Klopp, da cui pure Spalletti ha attinto. Certo, è doveroso dire che probabilmente lo stesso stile che ha permesso al Napoli di stracciare il campionato e di arrivare in scioltezza ai quarti di Champions gli è stato fatale per il prosieguo nella massima competizione europea: Pioli, allenatore bravissimo nell’adattare le proprie squadre al gioco avversario neutralizzandone i punti di forza ha arginato Lobotka vincendo tre gare in quindici giorni (una in campionato) alla stessa maniera, e ciò col pallone recuperato sulla trequarti in fase d’attacco avversario e ripartendo con la velocità di Diaz o Leao.
Resta però un Napoli che ha centrato il miglior risultato nella sua (breve) storia in Champions, in un’annata che resta memorabile e che a lungo ha visto gli uomini di Spalletti dettare legge in Italia e in Europa con un gioco apprezzato ovunque. Sulla continuità, sia di testa che di gambe, che ad aprile è venuta meno e sui (pochissimi) errori dovrà lavorare Spalletti se vuole accontentare De Laurentiis che ha già dichiarato di puntare alla Champions adesso. Impossibile? Anche lo scudetto sembrava un miraggio quando in estate il patron azzurro ne parlava: lo ha vinto e anche con un gioco spettacolare.Chissà che non gli riesca anche questa.