di Giulia Capitani*

Il Decreto Cutro è legge, nonostante la battaglia della società civile e delle opposizioni, di fatto inutile in un sistema malato, che rende subito operative le norme volute dal governo attraverso la decretazione d’urgenza, e poi le blinda con il voto di fiducia. Con buona pace dei sostenitori di una cosa che una volta si chiamava dibattito parlamentare.

Si è più volte detto, in queste settimane, che queste norme ci avrebbero riportato ai tempi dei Decreti Salvini. Non siamo d’accordo: questa legge ci spinge molto più indietro, a una forma di cultura giuridica pre-moderna, che attacca violentemente, attraverso il corpo dei migranti, alcuni capisaldi del diritto e della convivenza civile. E quindi riguarda direttamente anche i nostri corpi, le nostre vite.

Moltissimi aspetti sono normati: l’accesso al sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati, il meccanismo degli ingressi per lavoro, il rilascio della protezione speciale, le procedure di richiesta della protezione internazionale, la detenzione amministrativa, le procedure di espulsione.

Proviamo intanto però a chiarire concretamente che cosa queste norme comporteranno per le persone che cercheranno di arrivare in Italia, o che magari già vi abitano, anche da anni. E facciamolo considerando che esse fanno parte di una strategia più ampia, e vanno quindi lette in combinato disposto sia con altre recentemente approvate, che con una più generale tendenza verso la criminalizzazione della mobilità umana che non ha mai realmente invertito la sua tendenza dal 2002 ad oggi, nonostante l’alternarsi di maggioranze di vario colore politico.

I migranti continueranno a morire

Sicuramente i migranti continueranno ad affogare in gran numero, nel mare delle nostre vacanze estive. Anzi, considerati alcuni fattori, come la velocissima destabilizzazione della Tunisia, è probabile che i naufragi aumenteranno significativamente, proporzionalmente non solo al numero di barche malsicure che si metteranno in mare, ma anche agli inutili giorni di viaggio che le navi umanitarie sono costrette a fare per sbarcare le persone salvate in porti lontanissimi dal luogo del soccorso, in seguito al vergognoso Decreto Piantedosi di inizio anno.

Nonostante la scelta oscena di annunciare le nuove norme a pochi metri da una palestra piena di bare, infatti, esse non contengono neanche una misura che si ponga realisticamente l’obiettivo di salvare vite umane, perché, semplicemente, la cosa non interessa al governo.

Una legge criminogena che aumenterà lavoro nero e sfruttamento

Vi si ritrovano, invece, moltissimi strumenti per garantire alle nostre comunità consistenti quote di persone disperate, senza opportunità e senza diritti, ma senza nessuna intenzione, o possibilità, di tornare nei loro paesi, dove li aspetta ancora meno del pochissimo che possono sperare di racimolare qui. Rendere sostanzialmente inesigibile la protezione speciale, infatti, significa letteralmente trasformare migliaia di persone da potenziali migranti regolari, che vivono e lavorano alla luce del sole (l’anno scorso sono stati più di 10.000), a migranti certamente irregolari, che di sicuro non usciranno dal Paese una volta che hanno rischiato la vita per arrivarci, e che nel migliore dei casi andranno a ingrossare le file del lavoro nero, con un ulteriore aumento di un fenomeno già gravissimo in Italia e un prevedibile effetto dumping sui salari di tutti.

Non consentire poi la convertibilità in permesso per lavoro dei permessi per protezione speciale, significa consegnare ai pochi che la otterranno un titolo che non consentirà una stabile integrazione sul territorio, ma solo una presenza temporanea, prima di scivolare, prevedibilmente, nell’irregolarità. Come misure di questo genere possano stare in un decreto che porta la dicitura “Prevenzione e contrasto dell’immigrazione irregolare”, è un mistero che non sono riusciti a spiegare nemmeno i senatori della maggioranza durante la discussione in Commissione Affari Costituzionali.

La falsa retorica dei rimpatri e l’Italia trasformata in una grande zona di frontiera

Ma si rafforzeranno i rimpatri, si dirà: di migranti irregolari sul territorio, i cittadini non ne vedranno neppure uno. Colpisce che ancora si debba spiegare che le espulsioni sono, nei fatti, una bufala: su una stima di circa 500.000 migranti irregolari che vivono in Italia, l’anno scorso ne sono stati effettivamente rimpatriati appena 2.520, per altro a costi altissimi; senza poi contare i costi, economici e umani, della permanenza delle persone nei Centri per il Rimpatrio (CPR).

Ma proprio i CPR sono al centro della parte più sinistra e reazionaria della nuova legge. Essi infatti non serviranno più solo a trattenere, in modo comunque illegittimo e disumano, le persone in attesa di espulsione: d’ora in avanti vi saranno rinchiusi anche quei richiedenti asilo in attesa di valutazione della loro domanda di protezione, che rientreranno nella ormai estesissima casistica delle procedure di frontiera. E visto che i CPR non basteranno per questi numeri, il trattenimento potrà avvenire discrezionalmente in una serie di strutture di fatto prive di una cornice legale che disciplini la privazione della libertà: gli hotspot, i “luoghi idonei” già previsti dai Decreti Sicurezza, o non meglio specificati “centri per migranti”, che con un imponente sforzo finanziario verranno aperti un po’ dappertutto in deroga alla normativa vigente, come il Decreto non manca di sottolineare in più punti.

Quello che questa norma sta realizzando è una perniciosa dilatazione della frontiera come spazio di arbitrio e di compressione dei diritti a tutto il territorio nazionale (ovunque saranno aperti questi centri, lì avremo la frontiera) e un’abnorme estensione della detenzione “amministrativa” in assenza di reato, che mette in discussione non solo il principio inviolabile della libertà personale tutelato dall’art.13 della nostra Costituzione, ma lo stesso concetto di habeas corpus che è fondamento della cultura giuridica e politica di tutto l’Occidente.

Dobbiamo allora chiederci in che cosa questa legge trasformerà noi e le nostre comunità. Ci rendiamo conto che – ad esempio accettando che una ragazza nigeriana sia rinchiusa senza le più elementari garanzie previste dalla Costituzione all’interno di un centro “per migranti”, mentre frettolosamente si esamina la sua richiesta di protezione e di fatto le si nega il diritto al ricorso – accogliamo l’ipotesi che chiunque possa essere detenuto in un luogo dai confusi contorni giuridici senza aver commesso alcun reato? Che non opporsi all’aumento dell’illegalità frutto dello smantellamento della protezione speciale significa assentire all’idea che il lavoro di tutti, italiani e stranieri, sia sempre di più lo spazio del ricatto e dell’abuso, e non lo strumento principe di “progresso materiale e sociale”?

Forse a molti non interessa granché dei migranti. Ma quale sarà il prossimo diritto negato? Chi di noi ne sarà privato? È davvero venuto il momento di chiederselo.

*Policy Advisor su immigrazione e asilo, Oxfam Italia

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