di Kevin De Sabbata
Sabato 29 aprile ha chiuso, alla Southwark Playhouse Elephant di Londra, il musical Berlusconi, basato sulla biografia dell’ex premier italiano. Lo spettacolo ha attirato l’attenzione anche dei media nostrani, ma inizialmente mi ero perso la prima e le recite d’apertura, cosa che, viste le recensioni feroci, non sembrava un male. Poi però la curiosità ha prevalso. Così sono andato a vedere l’ultima replica e devo dire che il musical offre spunti di riflessione meno banali di quanto il dibattito mediatico fa supporre. In questo senso, non è senza significato che la produzione si trovi a chiudere nel momento in cui sembra calare il sipario anche sulla vicenda personale di Berlusconi.
Il musical è stato interpretato dai più come un tentativo (mal riuscito) di satira politica. In realtà, nonostante i toni grotteschi, è una riflessione spesso seria sull’uomo, più che sul politico. Qui Berlusconi è semplicemente l’emblema dell’uomo schiacciato dalle pressioni e aspettative di successo, in balia di un ego che consuma tutto, dall’individuo, alla politica, all’intera nazione.
In questo periodo vari teatri londinesi hanno avuto in cartellone spettacoli, come per esempio ‘The Lehman Trilogy’, del nostro Stefano Massini (al Gillian Lyn Theatre), che riflettono sull’odierna società capitalista, individualista e iper-competitiva, di cui nella frenetica capitale britannica si sente particolarmente forte il fiato sul collo. Seppur con meno classe, il musical su Berlusconi si inserisce in questo filone, perché alla fine propone una riflessione su una società dominata dalla figura del ‘leader’, che avvelena la politica fino ad ucciderla, rendendola un ‘beauty contest’, in cui si è forzati a schierarsi, o ciecamente a favore o acriticamente contro. È una dinamica in cui siamo ancora completamente immersi e che va ben oltre i confini italiani.
All’epoca dei Reagan, delle Thatcher, dei Berlusconi (ma anche dei Blair e dei Renzi) questo modello leader-centrico prometteva rivoluzioni liberali, progresso e prosperità, ma alla fine ci ha lasciati più poveri, con politici senza idee e con il ritorno della guerra in Europa. Non è un caso che l’unico momento veramente comico e satirico di ‘Berlusconi’ sia il duetto a sfondo omoerotico fra il nostro e un Vladimir Putin a torso nudo, in cui ci si trova a ridere con spirito sguaiato e apotropaico dell’uomo che ora fa veramente paura. Un momento che ci ricorda come, quando ci faceva comodo, noi europei ci siamo gettati vogliosi fra le braccia di Putin e ci siamo andati anche a letto (politicamente), rimanendone poi fregati.
Alla base di tutto ciò, però, c’è un aspetto umano che ci riguarda tutti. Le canzoni del musical, che riprendono lo stile della musica leggera anni 90, ci riportano a quei ‘tempi delle vacche grasse’ rimpianti da molti, in cui l’economia cresceva e c’era un senso (o un’illusione) di benessere diffuso, ricordandoci che in molti, anche a sinistra, abbiamo fatto la fila per comprare (e venderci a) quel modello di successo rampante e narcisista alla base dell’odierna società dei social e dei like. Si tratta di dinamiche antropologiche analizzate da molti attraverso i decenni, da Pasolini, al Papa a filosofi contemporanei come Byung-Chul Han, ma che facciamo sempre fatica a guardare negli occhi. In questo senso è significativo come sia l’ufficio marketing della Francesca Moody Productions, casa produttrice del musical, sia i media (inglesi e italiani), sembrino ancora presumere che, quando c’è di mezzo Berlusconi, debba per forza trattarsi di una farsa. Un ulteriore segno di come ancora non abbiamo capito fino in fondo come la sua storia metta in luce problemi che ci riguardano da vicino e in cui rischiamo di rimanere intrappolati.
Del resto anche lui, il tycoon, il venditore di miracoli, il patron della televisione commerciale, è finito masticato dal tritacarne dello showbusiness londinese, sempre affamato di nuove storie da fagocitare per sbigliettare e fare soldi.