Fa un certo effetto raccontare del libro Anthropica (Hoepli), scritto da Emanuela Dattolo e Domenico D’Alelio, nelle ore in cui un evento meteorologico non proprio eccezionale come 36 ore di pioggia, ha provocato, nella cosiddetta regione d’eccellenza – l’Emilia-Romagna – frane, smottamenti, alluvioni e persino morti e dispersi. Il titolo del libro è già piuttosto esplicito a livello semantico e si accoda al concetto generale di “antropocene”, ovvero quell’epoca geologica dove si è evidenziato in maniera esponenziale l’impatto umano sugli ecosistemi preesistenti sulla Terra e, anche se il dibattito rimane comunque scientificamente aperto a livello quantitativo/percentuale, su quello climatico. Appunto, i due viaggi di Dattolo e D’Alelio, rigorosamente in bicicletta e treno – e se non ricordiamo male forse anche con qualche pullmino? ma possiamo sbagliarci -, si dipanano su oltre mille chilometri a Nord e a Sud dell’Italia: da Mantova a Venezia il primo (Bosco della Fontana, Lago di Garda, Arco, lago di Tonel, Lago di Levico, Bassano del Grappa); e da Napoli a Taranto il secondo (Castellammare di Stabia, Positano, Pontecagnano, Lucania, Potenza, Matera, Palagianello).
Per chi si approccerà da novizio al tema scoprirà anzitutto un paio di termini che riguardano la dilagante antropizzazione del territorio: habitat relitto e corridoi naturali (o ecologici). Qui purtroppo c’è poco da fare. Ci siamo allargati con case, casine, casette, capannoni (spesso vuoti), campi coltivati e allevamenti intensivi di ogni, genere, grado, sostanza, come mai era storicamente capitato nel passato. Ma così, spesso per assecondare piani regolatori che vedono nel costruire qualunque cosa, a prescindere, si mangia sempre più terreno alla natura e il percorso inverso, quello degli alberini istituzionali piantumati nelle aiuole dei grattacieli sventratori, non funziona più. Quando Dattolo e D’Alelio, ad esempio, arrivano nel Bosco della Fontana (Marmirolo, Mantova) c’è quasi da commuoversi. “Entrare in quel bosco è come fare un viaggio indietro nel tempo”, scrivono gli autori. “Bosco Fontana è un’Arca di Noè dove la vita è auto-rigenerante, in mezzo a un oceano terrestre di campi coltivati”.
“Qui le forme sono complesse e disordinate, arcaiche e soprattutto spontanee”, spiegano gli autori riferendosi a piante, alberi, flora e fauna presenti in quei pochi ettari protetti. Insomma, non gli alberelli in file ordinate e simmetriche dei bravi sindaci ecologici italiani. Ecco, allora che si compie un po’ il miracolo trasversale di Anthropica, ovvero quell’osservare qualcosa di ancora autenticamente integro dalla notte dei tempi che siamo riusciti a preservare. Insetti, uccelli, fiori, plancton, e non solo, diventato la punteggiatura di un doppio viaggio monti e mari, acqua, terra e aria, dove si spiega – ricordatevelo se abitate fuori città e cominciate a tempestare i vostri terreni di recinti e recintoni di ogni voltaggio impossibile – che “i boschi dovrebbero essere messi in collegamento da corridoi naturali che garantiscano il movimento degli animali e il trasporto di semi da un’area all’altra”. Insomma, inutile creare artificialmente un’area verde e intanto distruggere un bosco per farne delle villette ecosostenibili.
Tra l’altro, en passant, e fuor di polemica (il libro è stato scritto mesi fa), c’è anche una paginetta in cui si para della presenza dell’orso bruno in Trentino senza allarmi terroristici e con cognizione di causa. Una delle guide che accompagna Dattolo e D’Alelio attorno al lago di Tovel ricorda che l’orso bruno “è protetto dal 1939”, in quanto fino a quegli anni era stato fatto di tutto per sterminarlo, quindi sono stati fatti tentativi di ripopolamento, per tornare ad una antica co-abitazione, come il progetto Life Ursus a cui è stato accompagnato un attento monitoraggio e sono stati applicati diversi accorgimenti stringenti e pratici, come non installare cestini dell’immondizia nei boschi: uomo e natura, come uomo e animale, possono provare a convivere. Infine, pur non essendo gli autori due fustigatori del malcostume, anzi proprio il contrario, due moderatissimi ma acuti osservatori dell’ambiente più o meno trasformato che li circonda, ecco che la descrizione del panorama di Taranto, ultima meta dei due viaggi, allude e cuce l’ultima cerniera di Anthropica: “L’impressione è quella di trovarci in un luogo quasi irreale, l’immagine di un immenso castello fatto di guglie e condotti di acciaio e cemento in pieno stile steampunk”.