Le difficoltà di avanzamento del Recovery plan scatenano uno scontro istituzionale tra governo e Corte dei Conti. Solo pochi giorni fa Raffaele Fitto rivendicava (“una scelta di responsabilità”) la decisione di affidare al presidente di sezione Carlo Alberto Manfredi Selvaggi il coordinamento della nuova Struttura di missione Pnrr di Palazzo Chigi, con il compito di supportare il ministro e “svolgere le interlocuzioni con la Commissione europea”. Sabato però la lettura dei contenuti di due delibere del collegio del controllo concomitante – su stazioni di rifornimento a idrogeno e colonnine di ricarica dei veicoli elettrici – gli è andata di traverso. Tanto da fargli decidere di inviare al Sole 24 Ore, che aveva dato risalto all’allarme per la quarta rata dei fondi europei lanciato dalla magistratura contabile nei documenti datati 3 maggio, una irrituale replica rivolta non tanto al giornale quanto all’istituzione da cui l’allarme era arrivato. Nella lettera, infatti, il titolare degli Affari europei e del Pnrr scrive che la Corte può sì “individuare “gravi irregolarità gestionali” e segnalarle all’amministrazione competente per la responsabilità dirigenziale”, ma tra le sue funzioni non c’è “l’accertamento del mancato conseguimento della milestone europea“, che “compete esclusivamente alla Commissione europea nell’interlocuzione con lo Stato membro”. Non manca una chiosa finale sul fatto che “il corretto rapporto tra le istituzioni rappresenta uno dei punti fondamentali per l’attuazione del Piano”.
L’irritazione di Fitto nasce dai giudizi espressi dal collegio del controllo concomitante presieduto da Massimiliano Minerva, quello istituito proprio per monitorare la gestione dei fondi e rilevare eventuali irregolarità e che a fine marzo ha evidenziato forti ritardi nella spesa delle risorse arrivate dalla Ue. Ma, al netto degli aspetti formali, le due delibere di cui sabato ha scritto anche ilfattoquotidiano.it non fanno che mettere nero su bianco alcuni problemi ben noti e in parte riconosciuti dal ministro stesso durante la sua informativa al Parlamento il 26 aprile. La Corte prende atto innanzitutto del “mancato conseguimento” della milestone che prevedeva entro il 31 marzo l’aggiudicazione dei lavori per almeno 40 stazioni di rifornimento stradale di idrogeno. Nessuna sorpresa visto che era stato lo stesso Fitto a spiegare in aula che il bando del ministero delle Infrastrutture di Matteo Salvini ha raccolto “un numero domande inferiore alla disponibilità finanziaria” per cui l’obiettivo di selezionare 40 progetti andava rivisto al ribasso concordando la modifica con la Ue.
Quanto al “ritardo ormai consolidato” che mette “in serio pericolo il raggiungimento” dell’obiettivo europeo del 30 giugno di aggiudicare gli appalti per la costruzione di 2.500 colonnine di ricarica per i veicoli elettrici nelle autostrade e 4mila nelle aree urbane, il ministero dell’Ambiente guidato da Gilberto Pichetto ha pubblicato solo a gennaio i decreti ministeriali attesi entro fine 2022 e l’avviso pubblico per la fornitura di cofinanziamenti è ancora fantasma. Tanto che anche su questa milestone, ha fatto sapere il Mase, è già stata presentata a Bruxelles una proposta di modifica, ben nota al ministro visto che è “parte del pacchetto delle richieste di modifica del Piano di competenza del ministero già trasmesse all’On. Fitto in data 16 gennaio”.
Perché allora l’evidente nervosismo a fronte di rilievi che non sono certo una sorpresa? Fitto tiene a ribadire che l’interlocuzione con la Ue è “già avviata da tempo” e “il governo sta operando in stretto raccordo con i Servizi della Commissione europea anche ai fini della verifica del progressivo conseguimento di milestone e target previsti per giugno”. Solo a valle di questo negoziato la Ue si pronuncerà sul raggiungimento degli obiettivi di giugno e l’ok all’esborso dei 16 miliardi della quarta rata. Il giudizio del Collegio, che per la prima volta paventa il “concreto rischio di riduzione del contributo finanziario messo a disposizione dall’Ue”, arriva mentre il dialogo è in corso e Fitto pare considerarlo uno sgambetto. Tanto da evocare la necessità di un “corretto rapporto tra le istituzioni”.