Continua il processo di normalizzazione del regime siriano di Bashar al-Assad. Dopo i viaggi in diversi Paesi del Golfo da parte del presidente e dei suoi uomini più vicini, arriva l’ufficialità sulla riammissione del Paese nella Lega Araba, dopo 12 anni di assenza dovuti alla dura repressione delle proteste all’origine della guerra civile siriana che ancora oggi vive i suoi ultimi sussulti.
Il pugno di ferro con il quale il regime reagì alle manifestazioni della popolazione, sull’onda delle Primavere arabe, provocò arresti di massa, torture all’interno delle ormai famigerati carceri del Paese e uccisioni indiscriminate facendo esplodere un conflitto, nel quale si sono presto presi la scena gruppi ribelli di varia natura, tra cui quelli islamisti, che ha causato la morte di almeno mezzo milione di persone e lo sfollamento di più di dieci milioni di siriani.
“Le delegazioni del governo della Repubblica Araba di Siria siederanno nuovamente nella Lega Araba”, si legge nel testo votato domenica. Dodici anni fa, l’allora presidente della Lega Araba, Nabil al Arabi, affermava che “il regime siriano” non sarebbe durato a lungo. Previsione errata grazie anche al sostegno militare offerto da Russia e Iran che, con i fedeli a Damasco ormai rinchiusi nelle loro roccaforti, frenarono l’avanzata ribelle. Nel 2013 lo scranno riservato al rappresentante del governo siriano presso la Lega Araba veniva occupato da un esponente delle opposizioni siriane in esilio, allora sostenute da diversi Paesi arabi, dalla Turchia, dagli Stati Uniti e dall’Unione europea.
Nell’ultimo anno le cose hanno iniziato a cambiare radicalmente. Il presidente Assad, in carica da 23 anni dopo essere succeduto al padre, è uscito dall’isolamento internazionale nel quale era stato relegato fino a ottenere il formale riconoscimento odierno. Assad è stato invitato alla prossima riunione annuale della Lega Araba prevista il 19 maggio a Gedda, in Arabia Saudita. Solo nei giorni scorsi ha ricevuto il presidente iraniano Ebrahim Raisi, il primo capo di Stato iraniano a visitare la Siria dallo scoppio della guerra, mentre nel 2018 si era vista la prima apertura dagli Emirati Arabi Uniti che hanno poi invitato l’anno scorso il leader ad Abu Dhabi nella sua prima uscita ufficiale in un Paese arabo. Il ruolo dell’Emirato è stato sottolineato dallo stesso Assad, che nella mattinata di lunedì ha ringraziato il presidente Muhammad ben Zayed per gli sforzi fatti per facilitare il reintegro del governo siriano nella Lega Araba. L’ondata di solidarietà seguita al terremoto del 6 febbraio scorso ha poi accelerato il processo: in poche settimane la Tunisia, la Giordania, l’Egitto, l’Oman e l’Arabia Saudita hanno ripristinato i rapporti politici e diplomatici con Damasco.
All’appello del club dei paesi del Golfo, interessati a portare risorse finanziarie nel disastrato Paese mediterraneo in cambio di influenza regionale, mancano però ancora Kuwait e Qatar. Osservatori regionali ritengono che si tratti solo di una questione di tempo, ma da Doha arrivano dichiarazioni che non sanno di distensione: nonostante l’emissario qatariota abbia votato a favore del reintegro, il portavoce del ministero degli Esteri Majed Ansari ha fatto sapere che non intende normalizzare i rapporti politici e diplomatici con Damasco.