Ancora non mi è giunta notizia di come stia funzionando la macro-marcia per la pace indetta da Michele Santoro; anche se la sua sonda sensibile a quanto si muove nelle viscere della parte più metereolabile e caciarosa del Paese induce a pensare che il vecchio demagogo arruffapopolo abbia percepito significative variazioni nel diffuso sentire riguardo all’invasione russa dell’Ucraina. Quindi, se prima era prevalente un aprioristico atlantismo, ora le posizioni contrapposte starebbero pareggiandosi; secondo il tipico costume nazionale (effetto “marziano a Roma”), per cui con il passare delle settimane le novità iniziano a stufare e l’apprezzamento vira al rigetto.

Il risultato è che l’immensa tragedia in atto, con relative mattanze, si riduce alla stucchevole ingenuità dell’alternativa manichea putiniani versus guerrafondai. Con relative legittimazioni delle balordaggini a supporto: la trasformazione dell’inquietante despota medio-orientale Vladimir Putin, solito “fare fuori” i critici alla Anna Politovskaja e avvelenare gli oppositori alla Aleksei Navalny (e magari pure spie ex sovietiche in fuga a Londra), in un tenero agnellino; l’accreditamento delle prese di posizione di Silvio Berlusconi a favore di un compagno di bagordi in lungimiranti intuizioni politiche, mentre i suoi mastini giornalistici deridono Vlodymyr Zelens’skyj definendolo “un comico” (dopo aver servilmente omaggiato per anni quali statisti a tuttotondo, clown alla Ronald Reagan e il loro stesso datore di lavoro).

Intanto i mercanti di armi fanno affari d’oro e i pacifisti verbali garantiscono un palcoscenico al loro narcisismo inconcludente. Con la benedizione di papa Francesco, reduce dall’aver avvalorato l’omofobia ungherese di Viktor Orban. Mentre ormai risulta chiaro che due terzi degli ucraini preferisce farsi massacrare piuttosto che ritornare sotto il tallone di Mosca e il restante terzo russofono simpatizza per il fanta-progetto del revival di un impero zarista. Ennesimo esempio di miscela etnica altamente instabile; tipica dell’area slava e di una storia atavica di migrazioni/deportazioni con ripetuti effetti che in passato definimmo “balcanizzazione”.

Ciò per dire che in questa che potrebbe apparire una farsa, se non fosse una tragedia, nessuno può arrogarsi la parte del buono. O meglio, il problema vero non è quello di implorare una pace che nessuno dei diretti interessati intende perseguire (alla faccia del suddetto “narcisismo inconcludente del pacifismo verbale”). Semmai occorrerebbe rendersi conto che i veri interessi in gioco e relativi “giochi” sono altrove; e di altri.

Gli americani lottano disperatamente per puntellare la loro visione di un mondo unipolare con cui arrestare la corsa in atto alla fine del secolo stelle-strisce. E lo fanno promuovendo politiche protezionistiche impensabili in passato, quanto ispirate all’eterna mitologia dei padri pellegrini di John Winthrop, primo governatore di Massachusetts Bay, degli Usa come la “candida città sulla collina”. A fronte di questo delirio senile, l’oligarchia del Cremlino gioca la scommessa temeraria del ripristino della Grande Russia e gli strateghi del Partito Comunista di Mercato cinese tessono in silenzio la loro tela per l’affermazione di un’egemonia introversa per via mercantile/logistica.

Se tale è il grande scenario retrostante le vicende ucraine, è da questo che noi europei – italiani in testa – dovremmo dedurre le nostre scelte di posizionamento.

Nell’ormai lontano 2007 un importante intellettuale nostro compatriota emigrato a New York – Giovanni Arrighi – affidava a un saggio, molto più citato che letto, la profezia sul fallimento della globalizzazione finanziaria e la conseguente scomparsa di centralità nel sistema-Mondo (“Adam Smith a Pechino”): “prima che l’umanità soffochi (o si delizi) nella prigione (o nel paradiso) di un impero globale di marca occidentale o di una società del mercato globale gravitante attorno all’Oriente asiatico, potrebbe anche bruciare tra gli orrori (o le glorie) della crescente violenza che ha accompagnato il disfacimento dell’ordine della Guerra fredda”.

Ossia la prospettiva incombente del caos sistemico. Ben più angosciante dello scontro teatralizzato tra putiniani e guerrafondai.

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