Un comizio, un palco, un conduttore (l’ormai fedelissimo Pino Insegno). Tutto organizzato in attesa dell’ospite d’onore: Giorgia Meloni, ad Ancona per sostenere la corsa a sindaco del candidato del centrodestra, Daniele Silvetti. Le parole della premier, tuttavia, hanno poco a che fare con le elezioni comunali, anche perché quando sale sul palco mancano poche ore all’incontro con le opposizioni, convocato per martedì 9 maggio a Palazzo Chigi. All’ordine del giorno un solo argomento: le riforme costituzionali. In tal senso il messaggio della presidente del Consiglio è chiarissimo: tirerà dritto. “Voglio fare una riforma ampiamente condivisa, ma la faccio. Perché ho avuto il mandato dagli italiani e tengo fede a quel mandato: voglio dire basta ai governi costruiti in laboratorio, dentro il Palazzo, ma legare chi governa al consenso popolare”. Tradotto: se le minoranze ci stanno bene, altrimenti andiamo avanti da soli. Una conferma ancora più diretta di quanto dichiarato dal ministro Calderoli: “La sinistra e Conte hanno perso le elezioni, non hanno diritto di veto”. Concetti espressi meglio nel prosieguo del comizio. “L’atteggiamento che mi aspetto dal tavolo sulle riforme è lo stesso che offro io: è di apertura – ha detto Meloni – Cerchiamo di capire se ci sono dei punti di sintesi in cui ci si può trovare tutti. Certo – ha aggiunto – da alcune dichiarazioni che leggo vedo delle chiusure pregiudiziali del tipo ‘non vogliamo nemmeno parlarne’ e non è quello che auspico. Dopodiché – ha sottolineato – io non arrivo con la mia ricetta o un modello ma con degli obiettivi: per me gli obiettivi sono garantire un rapporto diretto tra quello che fa il governo e i cittadini e garantire stabilità”. Il discorso della premier, poi, passa ai modelli da adottare: “Si possono copiare altri modelli o inventarne di nuovi – ha specificato – ma quel che conta e condividerli, altrimenti uno prende atto che si vuole continuare a fare governi che passano sulla testa dei cittadini ma, sia chiaro, io ho un mandato. Io offro massima disponibilità se c’è disponibilità, ma non accetto atteggiamenti aventiniani o dilatori, nel senso che faccio quel che devo fare”.

COSA SUCCEDE IN MAGGIORANZA – Parole forti quelle della premier, alla vigilia di un confronto tra governo e opposizioni che sembra partire in salita. Al di là delle tesi di Meloni, però, nella maggioranza emergono evidenti e forti differenze tra falchi e colombe: una spaccatura non tanto sul modello da adottare, quanto sulla strategia da intraprendere per raggiungere il risultato finale. Oltre a Fratelli d’Italia, anche la Lega ritiene che, pur di ottenere il presidenzialismo, si possa andare avanti da soli, forzando i veti di chi non ci sta, mentre Forza Italia auspica che si trovi un’intesa bipartisan su un testo il più condiviso possibile. Riecheggiando le parole di Meloni, Matteo Salvini ha osservato che “il massimo sarebbe che se metti mano alla Costituzione lo fai tutti insieme”. Però, poi, ha aggiunto: “Se qualcuno continuerà a dire no a qualsiasi proposta, alla fine saranno gli italiani a metterci il timbro e ad autorizzarlo”. Più cauto, invece, l’altro vicepremier, Antonio Tajani: “Per quanto riguarda le riforme – ha osservato il coordinatore nazionale azzurro – vogliamo ascoltare le proposte delle opposizioni: si devono scrivere insieme. Siamo pronti a lavorare in parlamento per garantire più stabilità in Italia perché questo significa essere più credibili“.

COSA FARANNO LE OPPOSIZIONI – Il Pd sembra freddo: la segreteria dem Elly Schlein ha ammonito l’esecutivo: non vuole che questo appuntamento sia un modo “per distrarre l’attenzione sui temi che interessano le persone e le necessità del Paese: lavoro, sanità, Pnrr”. “Ora – ha detto invece Giuseppe Conte – vediamo cosa ci dirà il governo: se sarà un prendere o lasciare il proprio progetto, che peraltro ha già annunciato e che a me sembra molto avventuroso, allora sarà il governo che vorrà rompere il dialogo con il Movimento 5 Stelle”. Scintille anche sul fronte dell’autonomia: il Coordinamento per la democrazia costituzionale (Cdc), ha annunciato di aver raccolto le firme necessarie per presentare una legge costituzionale di iniziativa popolare contro l’autonomia differenziata voluta dal governo.

GLI INCONTRI A PALAZZO CHIGI – In un clima di generale scetticismo, da mezzogiorno e mezzo sino alle otto di sera, nella biblioteca del presidente, una sala al primo piano di Montecitorio, si terrà un confronto che comunque sarà ai massimi livelli: per il governo ci sarà la premier, i vicepremier, il ministro per le Riforme Elisabetta Casellati, quello per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, i sottosegretari alla Presidenza Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari, e il costituzionalista Francesco Saverio Marini. Stesso discorso sul fronte dell’opposizione: ci saranno tutti i leader, compreso il Presidente dei Cinque Stelle. Al di là delle sfumature dialettiche, la maggioranza si trova davanti a un bivio: c’è chi punta al blitz, all’approvazione di un testo a colpi di maggioranza, e chi invece vorrebbe raggiungere un accordo ampio, vedendo chiari i possibili rischi politici di un muro contro muro sulle modifiche costituzionali. Due impostazioni diverse che partono da due modi opposti di prevedere l’esito del referendum confermativo. I fautori della prova di forza sono convinti di poter vincere a mani basse una consultazione popolare a favore di un cambio di regole sulla forma di governo che il Paese attende da decenni. Di contro, i sostenitori della linea prudente, memori dell’esperienza vissuta da Matteo Renzi, sembrano più pessimisti, e temono che una sconfitta al referendum possa rappresentare uno scoglio contro cui potrebbe infrangersi il governo e la maggioranza che lo sostiene.

“BASTA ESSERE OSTAGGIO DI CHI CAMBIA CASACCA” – Da Ancona, tuttavia, Meloni ha puntato tutte le fiches su una strategia d’attacco: “Basta con le legislature ostaggio di chi cambia casacca. Abbiamo convocato le opposizioni pe parlare delle riforme costituzionali – ha detto – Dicono che non è una priorità, no. Io penso che sia una priorità dire basta ai governi costruiti in laboratorio, dentro palazzo, che passano sulla pelle dei cittadini e legare chi governa al consenso popolare e dare a questa nazione stabilità, governi che durano cinque anni“.

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