Nuovo raid israeliano su Gaza dopo quello di questa notte che aveva causato 13 morti, tra cui 4 bambini. Dopo il nuovo attacco le vittime sono salite a 15, le autorità israeliane riferiscono che gli uccisi sarebbero membri di “una squadra terroristica che portava missili anti tank a Khan Younis nel sud della Striscia”. Poco fa si è conclusa la consultazione di sicurezza presieduta dal premier Benjamin Netanyahu in vista del Consiglio di difesa previsto in serata. La riunione – alla quale hanno preso parte il ministro della difesa Yoav Gallant, quello degli affari strategici Ron Dermer e i vertici delle forze di sicurezza – ha analizzato gli ultimi sviluppi dell’operazione “Scudo e freccia” avviata a Gaza.
Secondo le autorità israeliane, l’azione ha come obiettivo quello di colpire i leader della Jihad Islamica, uno dei principali gruppi attivi nella piccola enclave palestinese. Tre di questi appartenenti alle Brigate al-Quds, il braccio armato della Jihad, sono stati uccisi: secondo l’organizzazione islamista si tratta di Jihad Ghannam, segretario del Consiglio militare delle Brigate Al-Quds, Khalil Al-Bahtini, membro dello stesso consiglio e comandante delle Brigate per il Nord della Striscia di Gaza, e Tareq Ezzedine, “uno dei capi dell’azione militare” del movimento nella Cisgiordania occupata, che ha coordinato dalla Striscia. Ma con loro hanno perso la vita anche dei civili, tra cui quattro bambini e quattro donne, oltre a un cittadino russo, nonostante l’esercito israeliano parli di operazioni mirate.
Israele minaccia anche di uccidere i leader di Hamas a Gaza se l’organizzazione dovesse attaccare lo Stato ebraico. L’avvertimento è giunto dal ministro dell’Energia Israel Katz, un dirigente del Likud che fa parte del Gabinetto di sicurezza. Commentando alla tv Canale 12 la possibilità che la Jihad islamica vendichi la morte di tre dei suoi dirigenti, Katz ha detto: “Se Hamas interverrà nei combattimenti, elimineremo Yihia Sinwar e Mohammed Deif”, quest’ultimo comandante del braccio armato di Hamas che da anni vive in clandestinità.
Il governo israeliano si dimostra dunque sempre più ostaggio delle pretese anti-palestinesi avanzate dai partiti più estremisti che compongono (e tengono in piedi) la maggioranza. Così, a nemmeno una settimana dalle minacce di boicottaggio di ogni iniziativa legislativa da parte del partito Otzma Yehudit, guidato dal ministro per la Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, che denunciava una risposta “debole” dell’esecutivo ai razzi lanciati da Gaza.
Prevedendo una reazione delle organizzazioni attive nella Striscia, ma anche in Cisgiordania, il governo ha disposto lo stato di allerta nell’area circostante l’enclave, nel timore di lanci di razzi. Le strade israeliane adiacenti al fazzoletto di terra governato da Hamas sono state chiuse e il traffico della linea ferroviaria è stato interrotto nel tratto fra Ashkelon e Sderot. Agli abitanti della zona è stato ordinato di restare nelle vicinanze dei rifugi e delle stanze protette. La radio militare ha inoltre riferito che centinaia di riservisti sono stati richiamati.
Da parte loro, le autorità di Gaza hanno ordinato la chiusura di tutti gli istituti scolastici nella Striscia, con lo stato di allerta che è stato elevato anche lungo le coste, probabilmente nel timore di nuovi attacchi israeliani dopo quelli della nottata. Inoltre sono stati mobilitati i combattenti delle varie forze armate, ai quali è stato ordinato di tenersi in stato di massima allerta. Un portavoce della Jihad islamica ha minacciato “vendetta”: “Il nemico comprende solo il linguaggio della forza“. Il ministero degli Esteri dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) ha condannato l’azione militare definendola “un crimine atroce commesso dall’occupazione israeliana”: “Una estensione della guerra aperta contro il nostro popolo e suoi giusti e legittimi diritti nazionali”. L’Anp ha quindi chiesto alla Comunità internazionale “un intervento urgente per fermare l’aggressione contro il popolo palestinese” sottolineando a necessità di “un accordo politico negoziato” per il conflitto.
I primi ad appoggiare le posizioni palestinesi sono stati gli iraniani, con il portavoce del ministero degli Esteri, Nasser Kanani, che ha dichiarato: “I crimini del regime sionista, commessi alla vigilia della Giornata della Nakba, sono un segno della sua debolezza di fronte all’eroica resistenza dei giovani palestinesi in Cisgiordania e ad Al-Quds. Il silenzio e l’inattività dei rispettivi organismi internazionali e dei Paesi occidentali di fronte alle azioni disumane dei sionisti renderanno il regime più aggressivo”, ha detto chiedendo un’azione immediata, efficace, dissuasiva e coordinata da parte dei Paesi islamici “per fermare la macchina di morte e crimine del regime sionista”.