Si propone come mediatore del conflitto in Sudan e annuncia di avere “scoperto riserve di petrolio con una capacità di produzione di 100mila barili al giorno” nel sudest della Turchia. Ma l’ultima mossa di Recep Tayyip Erdogan, a cinque giorni delle elezioni di domenica 14 maggio che decideranno se rimarrà ancora al potere dopo vent’anni, è l’aumento del salario minimo per i lavoratori impiegati nel settore pubblico. Il presidente ha annunciato che sarà incrementato del 45% arrivando a 15mila lire turche, poco meno di 700 euro. Secondo la stampa locale, il provvedimento riguarda 700mila lavoratori. Questo nonostante il Paese sia colpito da una grave crisi economica oltre che da un terremoto che lo scorso 6 febbraio ha ucciso più di 50mila persone e causato oltre 5,9 milioni di sfollati nelle sue province meridionali come nel nord della Siria.
I timori di perdere ulteriore consenso a fronte del deterioramento dell’economia hanno spinto il presidente ad anticipare dal 18 giugno al 14 maggio le elezioni presidenziali e parlamentari. La paura è che la crisi possa convincere anche i suoi fedeli elettori a non votare più né lui né il suo partito della Giustizia e Sviluppo, Akp, attualmente alla guida del governo in coalizione con il partito nazionalista islamico di estrema destra, Mhp, noto per il suo braccio armato, i cosiddetti Lupi Grigi. Intanto continua a crescere il consenso per il suo sfidante numero uno, il leader dell’opposizione Kemal Kilicdaroglu che guida il Partito popolare repubblicano (Chp) e un’alleanza di sei partiti di centro sinistra.
Sondaggi, elezioni e ballottaggio – Il 14 maggio i sondaggi prevedono un’affluenza record alle urne, che potrebbero decretare la fine del governo ventennale di Erdogan. A non votare saranno invece le province colpite da terremoto di tre mesi fa, la maggior parte delle quali erano roccaforti di Erdogan e del suo partito Akp. Il presidente del Consiglio elettorale supremo (Ysk) Ahmet Yener ha già fatto sapere che almeno un milione di elettori nelle zone colpite dal sisma non potranno votare perché sfollate. Ma se Kilicdaroglu vincesse davvero le elezioni, alcuni analisti ritengono che Erdogan potrebbe non cedergli facilmente il potere. In Turchia le elezioni si svolgono ogni cinque anni. I candidati presidenziali possono essere nominati da partiti che hanno superato la soglia del 5 per cento degli elettori nelle ultime elezioni parlamentari o da coloro che hanno raccolto almeno 100mila firme a sostegno della loro nomina. Viene eletto presidente il candidato che ha ottenuto più del 50 per cento dei voti al primo turno e se questo non avviene si va al ballottaggio tra i due che hanno ottenuto più preferenze. Le elezioni parlamentari si svolgono contemporaneamente alle presidenziali. La Turchia segue un sistema di rappresentanza proporzionale in parlamento in cui il numero di seggi che un partito ottiene nella legislatura di 600 seggi è direttamente proporzionale ai voti che ottiene.