Il disprezzo per la scienza da parte di politici, maggiorenti e media italiani è una costante storica. Non solo per la questione dell’acqua, esso permea molti altri ambiti della società, sempre più remissiva di fronte all’abuso della credulità popolare. E l’alibi principe per giustificare l’ignavia istituzionale e l’emergenza affaristica è il cambiamento climatico, una urgenza umanitaria che l’umanità ha dimostrato ampiamente di non voler mitigare negli ultimi trent’anni. Ogni volta che il bel tempo si prolunga in modo anomalo riducendo le risorse captabili di acqua dolce, ogni volta che piove un po’ troppo e si verificano disastri e si piangono vittime, lo stupore è l’immediata reazione di politici, maggiorenti e media: mai visto a memoria d’uomo! Chi se lo sarebbe aspettato?
L’esperienza dell’età mi consente di ricordare che la comunità scientifica — quella seria che pubblica sulle riviste internazionali e viene rigorosamente ignorata da media, maggiorenti e politici — ne aveva sommessamente parlato. E lo ha fatto da tempo immemore. Indicando perfino qualche rimedio.
La relazione della Commissione De Marchi del 1970 — istituita in seguito alle alluvioni fiorentina e veneta del 1966 — evidenziava, per esempio, la necessità di consumare il suolo in modo consapevole e l’esigenza di curare le colline e le montagne in maniera tale da salvaguardarne l’efficienza idrologica, tenuto conto del loro progressivo abbandono per via del crescente inurbamento.
D’altra parte, Giulio De Marchi aveva già espresso chiaramente queste idee nel 1952(1), dopo l’alluvione del Polesine: “Le piene di Po sono andate progressivamente aumentando nel corso degli ultimi secoli, ed è pure certo che esse aumenteranno ancora in avvenire. Dopo ogni piena disastrosa si procede alla ricostruzione degli argini danneggiati e a un loro sopralzo, senonché l’esame obiettivo dei fatti porta a riconoscere che le arginature, da sole, non possono costituire la soluzione definitiva e sicura del problema della difesa dalle inondazioni”. E suggeriva di adottare “nuovi indirizzi difensivi nel caso di eventi eccezionali, ma sempre possibili, di fronte ai quali le arginature esistenti siano decisamente insufficienti“.
De Marchi, ingegnere idraulico, aveva anche aggiunto: “Non oseremmo invece pronunciarci ora a proposito di possibili effetti della crescente immissione sia di fumi nella atmosfera, che potrebbe influire sul regime e sulla quantità delle precipitazioni, sia di anidride carbonica che, aumentando la percentuale di questo gas nell’atmosfera e diminuendone la permeabilità alla radiazione terrestre, tenderebbe ad aumentarne ulteriormente la temperatura“. Era il 1952. Forse non si poteva ancora osare, allora, ma già nel 1991(2) scrivevamo, perfino in italiano, che “le alterazioni dei rapporti fenomenologici tra i vari processi del ciclo idrologico, i cui effetti hanno ampio riflesso sulla modificazione del rischio idrogeologico, riguardano essenzialmente i problemi legati alla difesa e conservazione del suolo e alla protezione idraulica del territorio, sia nei bacini naturali che in quelli urbani”.
Tra le conclusioni dalla Relazione della Commissione De Marchi (1970), colpisce l’affermazione “fra le varie preoccupazioni che hanno accompagnato la Commissione nello svolgimento del proprio lavoro, non è compresa quella che le generazioni future siano destinate a restare inoperose nell’ambito degli stessi problemi”. All’epoca, il concetto di sostenibilità era affatto ignoto a gran parte della comunità scientifica, anche se risale al pensiero di Adam Smith espresso nella Teoria dei Sentimenti Morali, pubblicata nel 1759, diciassette anni prima della Ricchezza delle Nazioni. Nel bagaglio intellettuale dei commissari c’era quindi la consapevolezza dell’impegno generazionale e il seme per una svolta radicale nelle politiche di difesa del suolo.
Come ha (in)operato la generazione “futura”? Ha ricevuto dai membri di quella commissione, protagonisti del miracolo civile ed economico del dopoguerra, com’erano stati De Marchi, Giulio Supino e Ardito Desio. I baby boomer sono stati all’altezza?
(1) De Marchi, G., Il problema della difesa del suolo dalle inondazioni qua-le si presenta dopo l’ultima piena del Po, Convegno sulla Difesa del Suolo e le Sistemazioni Fluviali, 2nda Giornata della Scienza, Milano, 16-19 aprile 1952.
(2) Burlando, P., Rossi, G. & R. Rosso, L’impatto del cambiamento climatico sul ciclo idrologico e le sue conseguenze su risorse idriche ed estremi idrologici, Ingegneria Ambientale, Vol.20, no.5, p.252-285, 1991.