Nell’informativa al Parlamento del 26 aprile il ministro Raffaele Fitto aveva assicurato che per lo sblocco della terza rata del Pnrr era “questione di ore”. Parole ripetute il 30 dal titolare del Mef Giancarlo Giorgetti. Due settimane dopo, i 19 miliardi la cui erogazione è stata rinviata già due volte dalla Commissione non sono ancora arrivati. Dalla richiesta di pagamento del governo italiano, inviata il 30 dicembre, sono passati ormai oltre 4 mesi. Nonostante il governo abbia corretto il tiro sulle tre milestone contestate dalla Ue (concessioni portuali, reti di teleriscaldamento e stadi di Venezia e Firenze), le valutazioni sono ancora in corso. Da Bruxelles fanno sapere che ci sono “scambi costruttivi con le autorità italiane” e i portavoce gettano acqua sul fuoco, ricordando che “non è insolito che si prenda un po’ di tempo in più rispetto alla scadenza indicativa, è successo lo stesso con le richieste di pagamento di Lussemburgo, Romania e Slovacchia“. Ma si tratta di Paesi i cui piani di ripresa e resilienza valgono una minima frazione di quello italiano, che cuba 191 miliardi escludendo React Eu e fondo complementare. Lussemburgo e Slovacchia, peraltro, hanno nel frattempo ottenuto l’ok alla revisione dei loro Pnrr. Mentre il governo Meloni ha deciso di prendersi tempo fino all’estate inoltrata per presentare il documento modificato escludendo i progetti irrealizzabili entro il giugno 2026 e il nuovo capitolo RePower Eu per la diversificazione dell’approvvigionamento energetico.

Fitto non commenta il ritardo. Di sicuro la tensione è alta, come dimostra la reazione alle delibere della Corte dei Conti su stazioni di rifornimento a idrogeno e colonnine di ricarica per veicoli elettrici che ha costretto la presidente dell’associazione magistrati della Corte Paola Briguori e il presidente aggiunto Tommaso Miele a precisare come il monitoraggio non sia un intromissione nel rapporto tra governo e Ue ma uno stimolo per accelerare l’azione delle amministrazioni. I cui ritardi rischiano, in diversi casi, di allontanare pure l’esborso della quarta rata da 16 miliardi legata al raggiungimento delle scadenze previste per il 30 giugno. O, peggio, di comportare una riduzione tout court dell’esborso previsto. In bilico, come è noto, c’è anche l’aggiudicazione dei lavori per gli asili nido entro la fine del primo semestre: molti Comuni non ce la faranno e nelle scorse settimane si è discusso non solo di un rinvio ma anche della possibilità di rivedere al ribasso gli obiettivi numerici del maxi piano che dovrebbe creare 264.480 nuovi posti in asili e scuole materne entro il secondo semestre 2025.

Nel frattempo per il governo si è aperto un altro fronte di scontro. Dopo le proteste dei Comuni stretti tra carenza di personale, un sistema di rendicontazione dei progetti troppo farraginoso e anticipi insufficienti per pagare le imprese appaltatrici, ora è il turno delle Regioni che durante il festival dello sviluppo sostenibile organizzato dall’omonima alleanza guidata dall’ex ministro Enrico Giovannini hanno lamentato di essere poco coinvolte nella gestione della spesa e nella parallela programmazione dei fondi strutturali. Il governatore campano Vincenzo De Luca (Pd, in rotta con la nuova segretaria Elly Schlein che l’ha commissariato) ha parlato di “livelli di centralizzazione pre borbonica” lamentando che, se occorre coordinare i fondi del Pnrr con quelli di coesione come da sempre predica Fitto “qual è il luogo istituzionale per farlo se non le Regioni?”. Poi l’attacco frontale: “Stanno facendo una rapina bloccando i soldi destinati al Mezzogiorno perché pensano di spalmarli sul territorio nazionale”. Michele Emiliano, dalla Puglia, ha concordato sul merito chiedendo di “convocare immediatamente una riunione con tutti i presidenti delle Regioni, per dare una mano alla spesa, cercando di chiedere a noi come potremmo pensare di programmare i vari filoni Fsc, Psr, Fesr”. Trovando la sponda del ligure Giovanni Toti, che a marzo aveva scatenato un putiferio chiedendo di spostare al Nord i fondi che il Mezzogiorno rischia di perdere per “mancanze strutturali”. E ora chiede un tavolo con il governo invece di continuare “con lo sterile dibattito sulle responsabilità”.

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Il ministro Fitto contesta la Corte dei Conti che certifica ritardi sul Pnrr: “Accertare se gli obiettivi sono raggiunti non spetta a loro”

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