Condizionamento delle scelte dei vertici dell’Asp. Perizie compiacenti in favore di detenuti. Concorsi pubblici aggiustati grazie a un funzionario di un piccolo Comune. L’infiltrazione delle cosche negli ospedali di Vibo Valentia, Serra San Bruno e Tropea. Ma anche le estorsioni ai coltivatori della cipolla rossa Igp. La Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha ricostruito la “geografia” della ‘ndrangheta vibonese e in particolare delle cosche di Mileto, Filandari, Zungri, Briatico e Cessaniti. Boss, luogotenenti dei clan, affiliati e “colletti bianchi” tra cui esponenti politici e rappresentanti delle pubbliche amministrazioni. Ci sono tutti tra i 167 indagati dell’inchiesta “Maestrale-Carthago” coordinata dal procuratore Nicola Gratteri che ha firmato il provvedimento di fermo per 61 persone. In manette sono finiti i principali esponenti delle famiglie ‘ndranghetiste della provincia di Vibo Valentia. Il blitz dei carabinieri è scattato mercoledì all’alba anche in altre regioni d’Italia. Oltre 500 militari, infatti, hanno eseguito arresti in Calabria, Lazio, Lombardia, Piemonte e Veneto.
Tutte le persone indagate sono accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, violazione della normativa sulle armi, traffico di stupefacenti, corruzione, estorsione, ricettazione, turbata libertà di incanti, illecita concorrenza con minaccia o violenza, trasferimento fraudolento di valori, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, favoreggiamento personale, procurata inosservanza della pena e falso ideologico. I reati contestati dalla Dda sono aggravati dal “metodo mafioso”.
L’inchiesta ha evidenziato la forte vocazione economico-imprenditoriale dei clan e la loro capacità di intessere fluidi rapporti con la politica e pezzi delle istituzioni. In particolare, oltre ad accertare i legami con le famiglie mafiose della Piana di Gioia Tauro, i pm sono riusciti a dimostrare – a loro avviso – la piena operatività sul territorio vibonese del “locale di Zungri” con le ‘ndrine di Cessaniti e Briatico e del “locale di Mileto” con i clan Paravati, Comparni, Calabrò e San Giovanni. Nel corso delle indagini, inoltre, i carabinieri hanno documentato un summit di ‘ndrangheta tenuto all’interno di una struttura turistica della Costa degli Dei, in occasione di un ricevimento nuziale, dove dal “Crimine” della “Provincia” venivano impartite disposizioni operative e “comportamentali” ai vari affiliati. In sostanza, durante i festeggiamenti di un matrimonio, i boss davano indicazioni su come le diverse famiglie malavitose del Vibonese dovevano comportarsi per la spartizione dei proventi illeciti e per dirimere eventuali controversie.
Stando ai pm, l’inchiesta “Maestrale-Carthago” ha fatto luce su come elementi della criminalità organizzata abbiano condizionato e indirizzato le scelte di alcuni dirigenti medici dell’Asp di Vibo Valentia anche mediante accordi corruttivi, facendo valere il peso “contrattuale” ed elettorale dell’articolazione ‘ndranghetistica di appartenenza. Il riferimento è agli interessi del locale di Mileto e della cosca Fiarè di San Gregorio d’Ippona in alcuni appalti per la gestione del servizio di vettovagliamento negli ospedali di Vibo Valentia, Serra San Bruno e Tropea. Tra gli indagati, infatti, c’è Cesare Pasqua, ex direttore del Dipartimento di prevenzione ed ex consigliere comunale. “Pur non essendo stabilmente inserito nel sodalizio criminale”, Pasqua è accusato di aver fornito un concreto, specifico, e consapevole contributo allo stesso, quale medico ufficiale di riferimento dell’organizzazione criminale nell’Asp di Vibo.
In sostanza, si sarebbe “messo a disposizione” dei Mancuso e dei Fiaré “asservendo, mediante l’abuso e mercimonio della funzione pubblica ricoperta, la struttura pubblica alle esigenze dell’organizzazione, consentendo alla criminalità organizzata vibonese di infiltrarsi negli affari di proprio interesse, intervenendo in favore del sodalizio in occasione di problematiche burocratiche sorte nell’ambito di procedure amministrative di competenza dell’Asp, ovvero di controlli e sequestri amministrativi posti in essere nei confronti di imprese di interesse delle cosche”. Così, il dirigente sanitario indagato avrebbe ottenuto “protezione mafiosa per la risoluzione di problemi e, in occasione di competizioni elettorali che vedevano candidato il figlio Vincenzo Pasqua (ex consigliere regionale, ndr), l’appoggio elettorale, in favore di questi, delle cosche di `ndrangheta da lui agevolate”.
Il mondo della sanità è stato sempre caro alla ‘ndrangheta: non a caso è indagato pure il medico legale Alfonso Luciano, dirigente sanitario del carcere di Vibo. I pm lo accusano di aver rilasciato perizie compiacenti in favore di affiliati detenuti. Secondo gli inquirenti, infatti, Luciano avrebbe interceduto “con ulteriori medici e professionisti dell’Asp di Vibo al fine di cancellare e alleggerire le sanzioni amministrative comminate, rivelando notizie riservate anche riguardo le indagini in corso ed imminenti arresti (acquisite grazie alle entrature nelle istituzioni e nelle forze dell’ordine) ottenendo in cambio beni materiali, somme di denaro, protezione da richieste estorsive, nonché appoggio elettorale come nel caso delle elezioni del 2004, allorché cercava il sostegno della cosca Bonavota”.
Un terzo sanitario del Dipartimento di Veterinaria è accusato di violenza privata aggravata dal metodo mafioso, per essersi rivolto al boss locale al fine di far desistere un collega dal presentare una denuncia nei suoi confronti. Sanità ma anche concorsi pubblici: le cosche si sarebbero infiltrare nell’amministrazione comunale di Cessaniti, ove un funzionario “aggiustava” una graduatoria che doveva servire per assumere un dirigente amministrativo ritenuto vicino alla ‘ndrangheta di Zungri. È il capo di imputazione contestato all’ex sindaco di Briatico e presidente della Provincia Andrea Niglia e a Filippo Mazzeo, fino al gennaio 2019 responsabile del servizio amministrativo del Comune di Cessaniti. Secondo gli inquirenti, in quel concorso per l’assegnazione di un posto di istruttore direttivo presso i servizi demografici, Mazzeo avrebbe favorito Niglia consegnandogli “copia dei quiz della prova preselettiva, – si legge nel capo di imputazione – nonché le domande delle successive due prove scritte, nello specifico la prima prova scritta consistente nella redazione di un tema o di domande a risposta aperta (svoltasi il 13 settembre 2019) e la seconda prova di carattere pratico, consistente nella redazione di un atto amministrativo (del 3 ottobre 2019)”.
Le intercettazi0ni riportate nel provvedimento di fermo non lasciano adito a dubbi: “Vedi che ad Andrea (Niglia) lo abbiamo sistemato eh!… è il terzo! Tranquillamente! – hanno registrato i carabinieri – “Il terzo va là! Che io, per il concorso gli avevo fa… detto che arrivava il terzo! Gli ho passato i compiti che non è uno stronzo! A questo, a questo… al test di ingresso! Però qui non ha importanza e non conta! Poi siamo andati al matrimonio! Insieme al cugino, ce lo siamo seduti assieme là! Io… e lui, gli abbiamo passato… il terzo è assodato! Quindi non fare… omissis… Lui… le domande gliele diamo tutte ma se le fa tutte giuste ce la mette nel culo a noi! lui il… non vale la pena perché la prima la mettiamo qui, la seconda va ad un altro Comune e al tre va lui”.
Secondo la Dda, Mazzeo avrebbe indotto “in errore dapprima la commissione esaminatrice del concorso per esami per la copertura a tempo indeterminato e part time al 50% di un posto di istruttore direttivo presso i servizi demografici, indetto dal Comune di Cessaniti in ordine all’idoneità del candidato allo svolgimento di quella determinata mansione e successivamente il Comune di Zungri che, affidatosi alla predetta valutazione, attingeva dalla graduatoria relativa alla procedura selettiva, assumendo Niglia presso il proprio ufficio anagrafe, con conseguente ingiusto profitto per il candidato ed altrui danno costituito dal dispendio di risorse investite dall’ente nell’espletamento della selezione pubblica”. Essendo ritenuto Niglia “soggetto di fiducia della criminalità organizzata”, favorendo la sua assunzione l’ex dirigente comunale indagato avrebbe così agevolato e rafforzato il “sodalizio mafioso”.
Nelle carte dell’inchiesta trovano spazio anche le estorsioni subite dalla società aggiudicataria dell’appalto per la raccolta dei rifiuti nei comuni di Mileto e Briatico, costretta a pagare una mazzetta di 48mila euro l’anno ai boss, e pure una truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, aggravata dal metodo mafioso. In particolare Gratteri e i suoi pm hanno accertato che esponenti della criminalità organizzata, colletti bianchi e pezzi della società civile avrebbero ideato un sistema collaudato, volto, attraverso la costituzione di società cooperative di comodo, all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, lucrando sul sistema dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, nei comuni di Joppolo, Mileto e Filadelfia, inducendo in errore il Comune di Vibo Valentia (quale ente “capofila” per tutta la provincia), il quale autorizzava la liquidazione delle spese, procurando un danno per l’erario stimato in oltre 400mila euro, con denaro proveniente dal fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (costituito anche da fondi europei), gestito dal ministero dell’Interno e previsto nella legge finanziaria dello Stato.
La ‘ndrangheta non ha risparmiato niente e nessuno: dalla compravendita di fondi agricoli fra privati, mediante l’invasione di terreni, la minaccia e il pascolo abusivo alle estorsioni ai danni dei coltivatori della cipolla rossa IGP di Tropea e degli imprenditori del settore turistico-alberghiero della Costa degli Dei. La Direzione distrettuale antimafia, infine, ha ricostruito il business della navigazione da diporto con la creazione di varie società intestate a prestanomi ma riconducibili ad un unico centro di interessi. Lo stesso attraverso cui le cosche avrebbero di fatto creato un regime monopolistico a tariffe imposte.