Italia e Francia litigano sulla questione migranti. Il partito del presidente Emmanuel Macron accusa Giorgia Meloni di attuare una politica “ingiusta, disumana e inefficace”. Accuse subito respinte al mittente, tanto più se arrivano a pochi giorni dalla conversione in legge del decreto Cutro, la nuova ricetta italiana sull’immigrazione partorita il 10 marzo scorso dopo il naufragio sulle coste crotonesi costato la vita a 94 persone di cui 35 minori. Ma per capire meglio la politica italiana sui migranti e forse la stessa querelle coi cugini d’Oltralpe, è il caso di guardare a Est, al confine con la Slovenia dove approda parte del flusso che percorre la rotta balcanica. Perché negli ultimi mesi sono successe molte cose, e nessuna può dirsi edificante. Dalle richieste italiane di riammissioni informali dei migranti, c0l governo sloveno che risponde picche. All’illegittimo piano B che pretende addirittura di espellere i cittadini afgani, in realtà per lavarsene le mani e spingerli altrove in Europa, Francia compresa.
Lo scorso dicembre il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi aveva annunciato la ripresa delle “riammissioni informali” dei migranti che entrano in Italia attraverso la Slovenia. Si trattava di riattivare l’accordo del 1996 tra i due Paesi, lo stesso utilizzato nel 2020 per respingere in Slovenia circa 1.300 persone, per lo più rispedite in Croazia e poi in Bosnia ed Erzegovina. Non senza violenze, ruberie o addirittura torture da parte delle polizie che li prendevano in consegna. Al Viminale c’era Luciana Lamorgese e a firmare la circolare ministeriale che aveva dato il via alla pratica era lo stesso Piandedosi, allora capo di gabinetto della ministra. Nel gennaio 2021 un’ordinanza del tribunale di Roma dichiarerà illegittima la pratica per gli abusi patiti dai migranti, l’assenza di una formale procedura e la negazione del diritto di chiedere asilo. Il tutto in base a un accordo mai ratificato dal Parlamento italiano. L’ordinanza del tribunale bloccò di fatto le riammissioni.
Ma il lupo perde il pelo, non il vizio. E una volta ministro Piantedosi ci riprova, con tanto di circolare firmata stavolta dal suo capo di gabinetto. Ma con l’ingresso della Croazia nell’area Schegen la Slovenia non è più il confine esterno dell’Unione europea, e non sembra più disposta a riprendersi i migranti. Al contrario, Lubiana adesso tiene molto ai termini dell’accordo del ’96: “Possiamo accogliere solo i migranti che sono entrati in Italia attraverso la Slovenia, che sono stati fermati nella fascia di confine e che non hanno fatto richiesta di protezione internazionale in Italia“. Detto, fatto. I dati sulle riammissioni effettuate dopo l’annuncio di dicembre li ha richiesti al Viminale il mensile Altreconomia: “Quasi tutte quelle “proposte” dall’Italia tra dicembre 2022 e metà marzo 2023 sono state rifiutate da Lubiana: ben 167 sulle 190 “tentate” dalle autorità di frontiera italiane”.
Il rifiuto della Slovenia o se vogliamo la sua pretesa di veder rispettato il diritto a presentare domanda di protezione internazionale, arriva in un momento di flussi in aumento, quadruplicati nei primi tre mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2022, con 2.600 richiedenti asilo e strutture di accoglienza insufficienti, già provate dall’incapacità del Viminale che dall’estate scorsa ha rallentato i trasferimenti dei richiedenti verso le altre regioni. Che fare allora con i migranti intercettati lungo il confine adesso che Lubiana non li vuole più? Il coniglio dal cappello si chiama provvedimento di espulsione. Secondo Altreconomia, che riporta i dati della prefettura di Trieste, di recente ne sono stati emanati a centinaia: “Tra la fine del 2022 e il primo trimestre 2023 ne sono stati adottati oltre 650”. Numeri che non hanno nulla a che fare con quelli dei mesi precedenti, e la cui logica non può che essere quella di una risposta muscolare, alternativa all’opzione mancante delle riammissioni.
Il Consorzio italiano di solidarietà (Ics), onlus triestina impegnata nell’assistenza alle persone che approdano nel capoluogo, riferisce di aver assistito 13 mila persone dall’inizio dell’anno. “Più del 70 per cento del totale intende proseguire il viaggio verso altri paesi europei e la maggioranza viene dall’Afganistan”, spiega il presidente di Ics, Gianfranco Schiavone. La legge impedisce di respingere o espellere persone che nel loro Paese rischiano persecuzioni, torture o trattamenti inumani o degradanti. Ciò nonostante molti afgani sono stati “riammessi” in Slovenia nel 2020 e lo sarebbero oggi, se solo Lubiana avesse detto sì al governo italiano. Allo stesso modo, dei 650 recenti provvedimenti di espulsione e allontanamento, oltre 500 riguardano persone in fuga dall’Afghanistan. Quelle assistite da Ics hanno raccontato di non essere state informate rispetto ai loro diritti. “Spesso mancava l’interprete, hanno raccontato in molti”, è quanto riferisce Schiavone, evidenziando come tutto sia accaduto nonostante il coinvolgimento di due diversi organi amministrativi: la questura e la prefettura.
L’Italia non è mai riuscita a rimpatriare che poche migliaia di persone l’anno, non più di cinque o seimila, indipendentemente dal governo in carica. Dipende dalla disponibilità del Paese di origine, dagli eventuali accordi tra Stati. Non a caso, tra i rimpatriati non ci sono afgani, che al contrario hanno un’altissima percentuale di accoglimento nelle domande di asilo. Un provvedimento di espulsione a loro carico è illegittimo e inefficace, perché nessuno può essere costretto a riconsegnarsi al regime talebano. Tanto più se la procedura diventa un deterrente alle domande d’asilo. Eppure questa è la scelta dell’Italia, almeno sulla carta. E tanto basta a spingere le persone, che pure potrebbero impugnare il provvedimento e avviare la procedura d’asilo, a cercare altrove. Un modo per dire “non siete i benvenuti, andate in un altro Paese”. Magari in Francia, come tanti provano a fare (nella foto) o verso il Nord. Insomma, verso i partner europei ai quali proprio in questi mesi stiamo chiedendo di non rimandarci i richiedenti le cui domande, in base al regolamento di Dublino, dovrebbero essere valutate dall’Italia in quanto paese Ue di primo ingresso. Per dirla in altro modo, facciamo i furbi, infrangendo le regole sia in un senso che nell’altro e alimentando i cosiddetti movimenti secondari, quelli dei migranti all’interno dell’Ue. Certo, ci si può accontentare di ribattere “e allora la Francia”?
Diritti
Flop di Piantedosi sulle riammissioni di migranti in Slovenia. Il piano B? Far finta di espellere anche gli afgani e spingerli verso l’Ue
Italia e Francia litigano sulla questione migranti. Il partito del presidente Emmanuel Macron accusa Giorgia Meloni di attuare una politica “ingiusta, disumana e inefficace”. Accuse subito respinte al mittente, tanto più se arrivano a pochi giorni dalla conversione in legge del decreto Cutro, la nuova ricetta italiana sull’immigrazione partorita il 10 marzo scorso dopo il naufragio sulle coste crotonesi costato la vita a 94 persone di cui 35 minori. Ma per capire meglio la politica italiana sui migranti e forse la stessa querelle coi cugini d’Oltralpe, è il caso di guardare a Est, al confine con la Slovenia dove approda parte del flusso che percorre la rotta balcanica. Perché negli ultimi mesi sono successe molte cose, e nessuna può dirsi edificante. Dalle richieste italiane di riammissioni informali dei migranti, c0l governo sloveno che risponde picche. All’illegittimo piano B che pretende addirittura di espellere i cittadini afgani, in realtà per lavarsene le mani e spingerli altrove in Europa, Francia compresa.
Lo scorso dicembre il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi aveva annunciato la ripresa delle “riammissioni informali” dei migranti che entrano in Italia attraverso la Slovenia. Si trattava di riattivare l’accordo del 1996 tra i due Paesi, lo stesso utilizzato nel 2020 per respingere in Slovenia circa 1.300 persone, per lo più rispedite in Croazia e poi in Bosnia ed Erzegovina. Non senza violenze, ruberie o addirittura torture da parte delle polizie che li prendevano in consegna. Al Viminale c’era Luciana Lamorgese e a firmare la circolare ministeriale che aveva dato il via alla pratica era lo stesso Piandedosi, allora capo di gabinetto della ministra. Nel gennaio 2021 un’ordinanza del tribunale di Roma dichiarerà illegittima la pratica per gli abusi patiti dai migranti, l’assenza di una formale procedura e la negazione del diritto di chiedere asilo. Il tutto in base a un accordo mai ratificato dal Parlamento italiano. L’ordinanza del tribunale bloccò di fatto le riammissioni.
Ma il lupo perde il pelo, non il vizio. E una volta ministro Piantedosi ci riprova, con tanto di circolare firmata stavolta dal suo capo di gabinetto. Ma con l’ingresso della Croazia nell’area Schegen la Slovenia non è più il confine esterno dell’Unione europea, e non sembra più disposta a riprendersi i migranti. Al contrario, Lubiana adesso tiene molto ai termini dell’accordo del ’96: “Possiamo accogliere solo i migranti che sono entrati in Italia attraverso la Slovenia, che sono stati fermati nella fascia di confine e che non hanno fatto richiesta di protezione internazionale in Italia“. Detto, fatto. I dati sulle riammissioni effettuate dopo l’annuncio di dicembre li ha richiesti al Viminale il mensile Altreconomia: “Quasi tutte quelle “proposte” dall’Italia tra dicembre 2022 e metà marzo 2023 sono state rifiutate da Lubiana: ben 167 sulle 190 “tentate” dalle autorità di frontiera italiane”.
Il rifiuto della Slovenia o se vogliamo la sua pretesa di veder rispettato il diritto a presentare domanda di protezione internazionale, arriva in un momento di flussi in aumento, quadruplicati nei primi tre mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2022, con 2.600 richiedenti asilo e strutture di accoglienza insufficienti, già provate dall’incapacità del Viminale che dall’estate scorsa ha rallentato i trasferimenti dei richiedenti verso le altre regioni. Che fare allora con i migranti intercettati lungo il confine adesso che Lubiana non li vuole più? Il coniglio dal cappello si chiama provvedimento di espulsione. Secondo Altreconomia, che riporta i dati della prefettura di Trieste, di recente ne sono stati emanati a centinaia: “Tra la fine del 2022 e il primo trimestre 2023 ne sono stati adottati oltre 650”. Numeri che non hanno nulla a che fare con quelli dei mesi precedenti, e la cui logica non può che essere quella di una risposta muscolare, alternativa all’opzione mancante delle riammissioni.
Il Consorzio italiano di solidarietà (Ics), onlus triestina impegnata nell’assistenza alle persone che approdano nel capoluogo, riferisce di aver assistito 13 mila persone dall’inizio dell’anno. “Più del 70 per cento del totale intende proseguire il viaggio verso altri paesi europei e la maggioranza viene dall’Afganistan”, spiega il presidente di Ics, Gianfranco Schiavone. La legge impedisce di respingere o espellere persone che nel loro Paese rischiano persecuzioni, torture o trattamenti inumani o degradanti. Ciò nonostante molti afgani sono stati “riammessi” in Slovenia nel 2020 e lo sarebbero oggi, se solo Lubiana avesse detto sì al governo italiano. Allo stesso modo, dei 650 recenti provvedimenti di espulsione e allontanamento, oltre 500 riguardano persone in fuga dall’Afghanistan. Quelle assistite da Ics hanno raccontato di non essere state informate rispetto ai loro diritti. “Spesso mancava l’interprete, hanno raccontato in molti”, è quanto riferisce Schiavone, evidenziando come tutto sia accaduto nonostante il coinvolgimento di due diversi organi amministrativi: la questura e la prefettura.
L’Italia non è mai riuscita a rimpatriare che poche migliaia di persone l’anno, non più di cinque o seimila, indipendentemente dal governo in carica. Dipende dalla disponibilità del Paese di origine, dagli eventuali accordi tra Stati. Non a caso, tra i rimpatriati non ci sono afgani, che al contrario hanno un’altissima percentuale di accoglimento nelle domande di asilo. Un provvedimento di espulsione a loro carico è illegittimo e inefficace, perché nessuno può essere costretto a riconsegnarsi al regime talebano. Tanto più se la procedura diventa un deterrente alle domande d’asilo. Eppure questa è la scelta dell’Italia, almeno sulla carta. E tanto basta a spingere le persone, che pure potrebbero impugnare il provvedimento e avviare la procedura d’asilo, a cercare altrove. Un modo per dire “non siete i benvenuti, andate in un altro Paese”. Magari in Francia, come tanti provano a fare (nella foto) o verso il Nord. Insomma, verso i partner europei ai quali proprio in questi mesi stiamo chiedendo di non rimandarci i richiedenti le cui domande, in base al regolamento di Dublino, dovrebbero essere valutate dall’Italia in quanto paese Ue di primo ingresso. Per dirla in altro modo, facciamo i furbi, infrangendo le regole sia in un senso che nell’altro e alimentando i cosiddetti movimenti secondari, quelli dei migranti all’interno dell’Ue. Certo, ci si può accontentare di ribattere “e allora la Francia”?
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Mondo
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Roma, 27 feb. (Adnkronos) - "Serve un salto quantico" in Europa e "spero domenica a Londra vadano anche per fare questo" e per farlo "serve un vero protagonismo delle istituzioni europee e non di singoli Paesi". Così Elly Schlein nella replica alla Direzione Pd.
Roma, 27 feb. (Adnkronos) - "No alle caricature che ci fanno da fuori. Non siamo per il finto pacifismo di Trump perché dentro la pace di Trump c'è l'idea della resa, dei ricatti e degli interessi economici. E non siamo con l'Europa per continuare la guerra che è quello di cui ci accusa Salvini e anche qualche nostro alleato... Noi pensiamo che siamo chiamati a fare di più su una posizione chiara per un'Europa unita di pace". Così Elly Schlein nella replica alla Direzione Pd.
Milano, 27 feb. (Adnkronos) - "Chiedo ai fautori della separazione delle carriere che criticano questa giornata di astensione dicendo che vogliamo difendere poteri e privilegi: guardate che la riforma attribuirà una rilevanza esterna, con conseguenti poteri e privilegi, a questa nuova casta di pm superpoliziotti che non dovrà rispondere a nessuno: né all'esecutivo, né ad un organo unitario rappresentativo dell'intera magistratura". E' uno dei passaggi dell'intervento di Luca Villa, procuratore capo presso il Tribunale per i minorenni di Milano, nel giorno dello sciopero dei magistrati contro le riforme costituzionali in tema di giustizia.
"Avremo pm che si valuteranno e giudicheranno tra di loro senza quei rompiscatole e semina-dubbi dei giudici e senza nemmeno quel giudice interno che ti dice che prima ancora che pubblico ministero sei un magistrato ed il fine ultimo del tuo agire non è ottenere la condanna ma contribuire con gli altri soggetti processuali a distinguere il vero, dal verosimile e dal falso. E inoltre: come ve lo spiegate che proprio nelle Procure si sta registrando una adesione così massiccia allo sciopero? Si é mai visto in Italia qualche funzionario pubblico che dice 'non voglio più potere, né maggiori privilegi'?" aggiunge.
"Non so come andrà a finire, lascio ad altri le elevate citazioni di Calamandrei e dei tanti nostri padri nobili, ma se andrà in porto la riforma riservo ai fautori della separazione delle carriere, che credono ancora all’importanza dei valori democratici sottesi alla nostra Costituzione, il più modesto Nanni Moretti nel 'Sol dell’avvenire': 'Un giorno vi sveglierete e piangerete, rendendovi conto di ciò che avete combinato'" conclude Villa che nella sua carriera - più che trentennale - ha svolto entrambi i ruoli di giudice e pubblico ministero.
Roma, 27 feb. (Adnkronos) - "Dobbiamo riconoscere gli errori fatti dall’Europa in questi ultimi anni. Era ed è sacrosanto sostenere l’Ucraina. Ma è sempre mancato un pezzo: quello dell’iniziativa di Pace. Nel nostro vuoto europeo oggi arriva il cinismo di Trump che ci spiazza tutti. Ma quel vuoto lo abbiamo lasciato noi. Abbiamo lasciato la parola Pace alla destra americana. Incredibile. Doveva essere l’Europa a promuovere una grande iniziativa di Pace. Osservo con amarezza che la commissaria Kallas ancora ad inizio 2025 ha parlato di 'vincere la guerra'. È una posizione che considero fuori dal mondo". Lo ha dichiarato Roberto Speranza intervenendo alla direzione nazionale Pd.
Roma, 27 feb. (Adnkronos) - "La vittoria di Trump segna fortissimo un confine. Quello tra la forza e la ragione. Tra un esasperato egoismo e il rispetto dell’altro, tra una libertà consapevole e una libertà anarchica dovuta alla potenza materiale, economica e guerresca. Il suo video su Gaza gronda del sangue che sarebbe necessario per farne una realtà. Questo confine va protetto con un cambiamento profondo dell’Europa, che dovrebbe tornare a fare il proprio mestiere". Così Goffredo Bettini all'iniziativa 'Dialogo tra socialismo e cristianesimo: una via autentica' in corso a Roma.
"L’Europa in questi anni si è appiattita su un atlantismo di pura obbedienza. Ha perso la sua autonomia, il suo profilo culturale, il senso della sua missione nel mondo. La sua radice del Dopoguerra, socialista e cristiana. Invece di essere ponte tra diverse civiltà e raccordo tra diverse nazioni, ha rilanciato sempre l’iniziativa degli Stati Uniti d'America, aggiungendo qualcosa in più. Anche l’Italia. Tradendo, così, la sua tradizionale politica di dialogo nel mondo e nel Mediterraneo. Da Andreotti fino a Craxi".
"Avendo perso sé stessa, avendo creduto solo nel suo alleato, oggi l’Europa si trova silente e balbettante. Certo: si doveva aiutare l'Ucraina con le armi, ma bisognava invocare comunque la pace e la trattativa. Invece si è invocata solo la guerra, accompagnata da un linguaggio esasperato per sostenerla e per illudersi di vincerla. La guerra non è mai neutra. Anche chi la pratica con buone ragioni lascia materiali tossici, difficili poi da smaltire. La guerra impone che il tuo avversario sia descritto sempre come un pazzo, o un mostro, il peggio dell’umano. Nella guerra non si comprendono mai le ragioni storiche che hanno mosso popoli e nazioni ad ingaggiarla".
"Ecco dove è mancata l’Europa. Ed oggi -continua Bettini- si trova trascinata dai suoi stessi errori ad invocare ancora la guerra, quando si può aprire uno spiraglio di pace; invece di domandare unità: quale pace? Una pace che renda conto del sacrificio umano e materiale del popolo ucraino e del fatto che lo stesso Zelensky è stato spinto dall’Occidente. Una parte del quale, la più potente, nel suo stile mercantile, gli chiede ora un risarcimento economico delle spese sostenute".
"Una pace doppiamente imperiale. Di Trump e Putin, nel disprezzo del Vecchio Continente. Si tratta finalmente di liberare il nostro sguardo europeo da ulteriori condizionamenti. Di realizzare una difesa comune, per un ruolo di deterrenza, di equilibrio, di pace in un mondo sconvolto. Di rispondere a Trump, aprendosi all’India, alla Cina, alle sponde africane. Smontando finalmente l’idiozia di un Occidente unito, libero e democratico contro il resto del mondo autocratico".
"Ci sono tanti Occidenti. Anche l’Occidente è macchiato di sangue e di barbarie. Nell’Occidente è nato il pensiero che ha voluto la Shoah, che noi aborriamo. E nel resto del mondo non ci sono solo sgozzatori fanatici, ma tante e diverse civiltà che intendono affacciarsi nell’arena mondiale".
Roma, 27 feb. (Adnkronos) - "Da Trieste è giunta una volontà nuova di partecipazione all'impegno pubblico da parte del mondo cattolico. È una buona notizia per la nostra democrazia, afflitta dall'astensionismo e dalla perdita della dimensione valoriale, spirituale e comunitaria. I i cattolici hanno spesso incontrato, intrecciando i rispettivi percorsi, la sinistra e il pensiero del socialismo. Soprattutto nei momenti nei quali sono sembrati in gioco, nella modernità, la vita e i destini della Terra; la sopravvivenza della nostra specie". Così Goffredo Bettini all'iniziativa 'Dialogo tra socialismo e cristianesimo: una via autentica' in corso a Roma.
Il terreno d'incontro è quello che va dalla "discussione di salari non sufficienti" all'ambiente "che si deteriora, la centralità dei profitti e dei consumi, il degrado culturale e la volgarità imperante, il culto della forza e il rifiuto della debolezza, l'esaltazione della guerra e la rinuncia alla fratellanza. Questo è il terreno sul quale si aprono praterie di dialogo tra il pensiero cattolico più avanzato e una rinnovata capacità critica della sinistra".
Un incontro, osserva, che "non può ridursi all’esigenza di ricostituire un partito dei cattolici. Fuori tempo e fuori contesto. Neppure, anche se ne capisco il senso, all’occasione di segnalare nel Pd l’esigenza di visibilità di una delle sue anime". Ma che è necessario in un momento in cui "c’è un Occidente che ha il volto di Trump. Tutte le previsioni peggiori degli ultimi anni si stanno purtroppo realizzando. Per far agire le coscienze, anche singole, avere anche solo una persona in più sul fronte di una democrazia rinnovata e di un’emancipazione sociale pare a me decisivo, al cammino comune tra il socialismo e il cristianesimo, nelle loro versioni più umanistiche e rispettose della vita".
Roma, 27 feb.(Adnkronos) - "E' giusto difendere l'Ucraina ma l'Europa è stata deficitaria sull'iniziativa di pace" ed ora la destra americana con Trump "chiuderà la guerra" a suo modo. Così Roberto Speranza, a quanto viene riferito, intervenendo alla Direzione Pd. L'esponente dem avrebbe anche fatto anche un accenno a chi in Europa continua a sostenere l'opzione di una vittoria sul campo dell'Ucraina come la commissaria Ue Kaja Kallas che ancora parla "di vincere la guerra".