L’urlo di Felix Van Groeningen, coregista de Le otto montagne con la moglie Charlotte Vandermeersch, nel ritirare il David per la miglior fotografia del suo collaboratore assente – Ruben Impens – dà il via alla scalata de Le otto montagne come film dell’anno. Intanto lo scontro fra titani (Lo Cascio, Borghi, Marinelli, Ficarra&Picone) per il David come miglior attore lo vince Fabrizio Gifuni che in Esterno Notte rifà il suo Aldo Moro ostinato e sofferente che porta a teatro da anni come un vangelo laico riempiendo le sale. Il 56enne volto limpido de La meglio gioventù ringrazia l’amico “Gigi” (Lo Cascio ndr) poi la proprie personali “lentezza e fragilità”, “la libertà creativa e l’indipendenza” insegnatagli da Giuseppe Bertolucci, Claudio Caligari e Davide Manuli, ma c’è anche la dedica alla moglie Sonia Bergamasco (se vi capita leggete la sua bio meravigliosa per grazia e sostanza: Un corpo per tutti – Einaudi) e Gaetano, il suo papà scomparso, segretario generale del Senato proprio all’epoca del sequestro Moro. Eloide sale sul palco subito dopo indossando un abito nerissimo ed elegante, ma al limite dell’inesistente, ritirando il David per la canzone Proiettili. Da questo momento in avanti però inizia per Gioli il momento “lanci” delle categorie premiate che ha il suo apice in “gli acconciatori sono gli architetti del capello”. Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch ritirano il David per la miglior sceneggiatura non originale (e far salire Paolo Cognetti no?). Seguono la famiglia Bellocchio-Calvelli: lei, Francesca, miglior montatrice per Esterno Notte; lui, oramai l’unico “maestro” dei gloriosi sessanta rimasto, al suo terzo David per la regia (quarto se si conta l’ex aequo di Salto nel buio) con tanto di cravatta allentata e un proclama saggio: “l’importante è continuare a fare film, mi auguro di avere tempo per fare ancora cose belle”.
Il finale pirotecnico, invece, dimostra un cenno di mutazione antropologica e una conferma da volemose tutti bene (o siamo sulla stessa barca) dei David di Donatello. Iniziamo da quest’ultima conferma. Il premio come “miglior produzione”, una categoria a livello di giudizio valoriale molto bizzarra (che si valuta? La quantità di denaro? I giusti stipendi? L’aver speso bene il budget in mobilio?), questa volta va a un film che ingloba letteralmente tutto e il suo contrario. La stranezza di Roberto Andò è un’opera prodotta dal coraggioso Angelo Barbagallo per la Bibi Film e da Attilio De Razza per Tramp Limited. E come ha spiegato dal palco proprio Barbagallo, su sua richiesta si sono aggiunti in produzione sia diavolo che acquasanta, o come spesso capita in Italia, un po’ come in Caterina va in città di Virzì, si sono accodati sia Medusa Film che Rai Cinema, oramai ex amici nemici di distribuzione e produzione e già fratelli per nuove avventure a concorrenza limitata (uno Zalone con Medusa e Rai? Chissà…).
Ben oltre mezzanotte, con uno share che ancora non sappiamo, ma vicino a quello del dottor Trecca, ecco il David per il miglior film a Le Otto montagne (qui la nostra recensione). Non solo i due registi belgi salgono sul palco ma come da tradizione sale anche il cast al completo, quindi i divi finiti in castigo, Alessandro Borghi e Luca Marinelli. Il Bruno (Alessandro) del film fa: “Questo film è un regalo per la mia vita da condividere con mio fratello”, e si gira verso Marinelli. Abbraccio fraterno, lacrime, saluti, titoli di coda, Conti e Gioli: “andate al cinema”(ma anche basta!); ma soprattutto una domanda: perché Paolo Cognetti autore del romanzo Le otto montagne, cioè senza di lui non c’erano né sugo, né maccheroni, lì sul palco con tutti quanti non ha detto una parola?