Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha lasciato intendere, qualche giorno fa, che il governo Meloni sta valutando la fattibilità di una tassa sugli extraprofitti registrati dalle banche mentre i correntisti restano a bocca asciutta. Nel frattempo però ha concesso un generoso sconto fiscale sul “contributo di solidarietà” a carico delle aziende energetiche. Le cifre erano già note: oltre 400 milioni di minori incassi rispetto alla previsione di 2,5 miliardi inserita nella legge di Bilancio per il 2023. Dai chiarimenti depositati dall’esecutivo durante la discussione sul decreto Bollette in commissione alla Camera emerge però un aspetto nuovo: l’esecutivo spiega di attendersi che i gruppi colpiti dalla tassa incrementino ad hoc l’utilizzo delle riserve “con lo scopo di ridurre l’impatto del contributo di solidarietà”. La deputata Pd Maria Cecilia Guerra si è complimentata – ironicamente – per la “trasparenza” del governo sul regalo, sottolineando che in questo modo ammette di aver voluto “permettere l’elusione parziale” della tassa da parte delle aziende che producono e vendono energia elettrica, gas naturale e prodotti petroliferi e “hanno ottenuto extraprofitti in un momento di crisi“.
Un passo indietro. La prima versione della tassa sugli extraprofitti è stata prevista dal governo Draghi nella primavera 2022, all’inizio della fiammata dei prezzi che avrebbe visto le quotazioni del gas sfondare i 300 euro al megawattora. Si trattava di una aliquota del 10%, poi portata al 25%, non sui profitti ma sul maggior margine imponibile Iva realizzato tra ottobre 2021 e marzo 2022 rispetto al semestre ottobre 2020-marzo 2021, a patto che ci fosse stato un guadagno di almeno il 10% e superiore a 5 milioni di euro. Il gettito previsto era di 11 miliardi ma la norma era scritta talmente male e così esposta ai ricorsi che l’incasso, come confermato due settimane fa dal ministro Giancarlo Giorgetti in risposta a un’interrogazione di Angelo Bonelli (Avs), si è fermato a 2,8 miliardi.
Nella sua prima manovra il governo Meloni è corso ai ripari riscrivendo il contributo in linea con quanto previsto dal regolamento Ue del 6 ottobre sulle misure per far fronte ai rincari energetici: è diventato in un prelievo del 50% sul reddito Ires 2022 – l’anno dei maxi rincari – a patto che ecceda per almeno il 10% la media dei redditi conseguiti nei quattro anni precedenti. Incasso stimato, appunto, 2,5 miliardi: un quarto rispetto alle ipotesi originarie. Le aziende avrebbero dovuto pagare entro il 30 giugno. Passati pochi mesi, però, l’esecutivo ha fatto una mezza marcia indietro.
Nel decreto Bollette di fine marzo ha cambiato di nuovo la base imponibile, escludendone l’utilizzo di riserve del patrimonio netto accantonate in passato in sospensione d’imposta o destinate alla copertura di vincoli fiscali “nel limite del 30%” del totale delle riserve stesse. Le riserve in pancia ai gruppi dell’energia al 31 dicembre 2021, spiega la Relazione tecnica, ammontavano a 5,1 miliardi e in passato sono state usate in media solo per il 2%. Ma grazie alla modifica in corsa diventa ora altamente probabile, spiega il governo, “l’eventualità di un possibile incremento delle riserve nell’anno 2022 e del probabile allineamento al limite normativo del 30% con lo scopo di ridurre l’impatto del contributo di solidarietà“. Appunto.