Rinunciare a un contratto a tempo indeterminato come dirigente medico nel Servizio Sanitario Nazionale per lavorare come gettonista. È quello che ha scelto di fare Mauro (nome di fantasia), dopo essersi specializzato in medicina d’emergenza-urgenza in Toscana. Ora lavora in due pronto soccorso del Veneto per una società privata. Guadagna di più e lavora di meno, ma non lo fa per i soldi, come racconta a ilfattoquotidiano.it: “Non è stato l’elemento economico a farmi prendere questa decisione. Ero sull’orlo del burnout, non potevo reggere ancora quei ritmi. Ora gestisco il mio tempo in modo flessibile e ricevo una gratificazione professionale maggiore. Non c’è riconoscimento sociale per le figure dei medici d’emergenza-urgenza. Eravamo migliorati, ma ora stiamo tornando indietro di 20 anni”.

Dopo aver ottenuto un contratto a tempo determinato già al terzo anno di specializzazione, attraverso il cosiddetto decreto Calabria, Mauro ha deciso di rinunciare a lavorare nel pubblico, nonostante gli venisse offerto un contratto a tempo indeterminato, un posto fisso. “Ogni storia è personale. Dietro la mia decisione ci sono anche motivi legati alla vita privata, ma la condizione lavorativa in cui versavo era una trincea. Insostenibile, nonostante abbia poco più di trentanni”, racconta. Nell’ospedale toscano per cui era in servizio, il turno di notte era percepito come un incubo. Sotto i suoi occhi passavano fino a 40 pazienti in 12 ore. Ora, nella realtà veneta che ha scelto, affronta notti da dieci visite. “Avrei potuto scegliere anche di chiedere il trasferimento in un’altra azienda ospedaliera. Rimanere nel pubblico ma in un contesto meno pressante, senza passare al privato. Alla fine, però, ho fatto una scelta personale diversa”, spiega.

Adesso lavora circa 120 ore al mese, spalmate su 10 o 12 giorni. Gli altri 20 riposa, studia e dedica il suo tempo ad altre attività. È lui a decidere quanta disponibilità dare, di volta in volta, alla società per cui fattura. “Sono un libero professionista, ho la partita iva. Questo mi permette di avere una flessibilità altrimenti impensabile”, continua Mauro, raccontando di come le persone a lui vicine gli abbiano visto “cambiare faccia” da quando è diventato un gettonista. “Stavo male, non è una questione di soldi”, ribadisce.

In Toscana aveva superato ogni concetto di fatica, si sentiva costantemente esposto all’errore. Dover rispondere a quella mole di lavoro lo costringeva ad abbassare continuamente lo standard assistenziale. “Questa è la dimostrazione che non è l’inquadramento professionale a fare la qualità della cura”, dice, “ma il lavoro del singolo professionista, che sia nel pubblico o nel privato”.

Ora guadagna di più, lavorando di meno. Se da dirigente medico, assunto nel Ssn, avrebbe preso intorno ai 3mila euro al mese, per circa 160 ore, adesso ne prende più di 4mila, lavorando almeno quaranta ore in meno. Con il suo contratto attuale percepisce 750 euro lordi per ogni turno di 12 ore. Poco più di 60 euro l’ora, contro i circa 40 pagati dal Ssn. “Ci sono anche posti che offrono compensi più alti, fino a 1200 euro per un turno di 12 ore, ma sono contesti che versano in gravi difficoltà di organico, non è la norma”, prosegue. “Non c’è dubbio, in ogni caso, che le paghe siano più alte. Ma è il libero mercato – continua -. Aziendalizzando la sanità sono state fatte scelte in questa direzione e ora ci sono delle conseguenze. La prestazione sanitaria si inserisce nelle dinamiche di competizione aziendale. E le società private vogliono farci i soldi”.

Per questo lavoro di intermediazione che mette in contatto il libero professionista con le aziende ospedaliere senza personale, le società private trattengono una percentuale. Tra il 15 e il 20% di quanto viene pagato il medico privato, con i soldi pubblici. Alcune offrono anche vitto e alloggio nel contratto, per permettere al professionista di spostarsi con facilità da una regione all’altra. La richiesta di camici bianchi è molto alta. Soprattutto per i medici specializzati, c’è solo da scegliere con quale società firmare.

Mauro conviene che si tratti di un cortocircuito: una risorsa, formata nel pubblico oltretutto, esce dal Ssn per poi rientrarci come privato, a un costo maggiore. “La politica è cosciente di ciò che avviene, sono d’accordo con chi denuncia che si tratti di un processo di privatizzazione surrettizia – prosegue -. Allo stesso tempo, però, ci sono stati degli errori di pianificazione troppo grossolani. In questo senso non credo che la crisi dell’emergenza-urgenza sia stata disegnata. Ma senz’altro è una conseguenza della competizione che è stata introdotta nel Ssn a partire dagli anni Novanta, con l’aziendalizzazione della sanità”.

Già prima che si diffondesse il fenomeno dei gettonisti, erano molti i privati che lavoravano per il pubblico: “In un silenzio assenso necessario per mandare avanti gli ospedali, da anni si siglano contratti atipici. Le deroghe e le eccezioni sono sistemiche”, spiega. Per questo motivo Mauro crede che le nuove misure volte a dare una stretta al fenomeno dei gettonisti, inserite nel Decreto Bollette del 28 marzo, non avranno un impatto reale. “Il decreto del governo è gattopardesco. Non cambierà nulla, se non nei puntigli. Lo renderà più complesso, ma abbiamo visto già che, dopo la firma degli emendamenti, la stretta sarà lenta. Il sistema non può reggersi senza i medici delle cooperative e delle società private, interi reparti sparirebbero”.

Dice di credere nel Ssn, di averci lavorato con motivazione e impegno e di essere pronto a rientrarci in futuro. Per il momento, però, fa parte del mondo dei gettonisti: “Sto imparando a conoscere questo ambiente. C’è di tutto – rivela -. Da quello che vuole comprarsi sette case per poi vivere di affitti, a chi sceglie di farlo per poter andare tre volte l’anno in India a pregare nei templi”. Per lui, come per i suoi colleghi, si tratta di una scelta di vita: “A oggi è più appagante, intercetta il mio bisogno individuale. Dopo dieci anni di studio, in questo libero mercato, ho una posizione di privilegio e posso dettare di più le regole”.

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