Le anticipazioni su un possibile vertice tra papa Francesco e il presidente ucraino Zelensky nel prossimo weekend sono cadute come un fulmine a ciel sereno. Ancora pochi giorni fa, quando il pontefice di ritorno dall’Ungheria aveva accennato ad una “missione” vaticana per favorire la “strada della pace”, da Mosca e da Kyiv erano giunte secche precisazioni secondo cui nulla era noto ai rispettivi governi.
Se, come si dice, i due si incontreranno sabato nel palazzo apostolico sarà un faccia a faccia storico. Zelensky, leader coraggioso di un’Ucraina che ha saputo sconfiggere la Russia nella prima fase dell’invasione, impedendole di impadronirsi di Kyiv e di far collassare il paese, riconquistando anche pezzi di territorio occupati dai russi, è il portatore determinato di una narrazione a senso unico: lo stato russo è uno stato terrorista, Putin è un criminale che va portato alla sbarra, la Russia va trattata come un paria internazionale e in prospettiva – come ha dichiarato il primo ministro ucraino Denis Shmyhal – l’obiettivo da raggiungere è che la Russia sia “democratizzata, smilitarizzata e denuclearizzata”. In poche parole, guerra a oltranza finché la Russia non sarà messa in ginocchio. Il cosiddetto piano di pace di Zelensky, reso noto l’anno scorso, in realtà è un lungo diktat articolo per articolo.
La linea di Francesco, per come si è gradualmente sviluppata nei 450 giorni di una guerra che non è più russo-ucraina ma – secondo la definizione del politologo americano Ian Bremmer – “guerra ibrida tra Nato e Russia”, è antitetica. Il pontefice è totalmente solidale con le sofferenze della popolazione ucraina e sostiene il diritto di Kyiv alla sovranità e all’indipendenza. Allo stesso tempo Francesco non vuole essere “cappellano dell’Occidente” e dunque si colloca nel solco della diplomazia vaticana, abituata a valutare le cose da una prospettiva globale. Francesco sa che c’è un responsabile del conflitto (Putin) ma è perfettamente consapevole che ogni conflitto ha molteplici radici e che sarebbe ingenuo chiudere gli occhi dinanzi all’avanzata della Nato in Europa orientale a partire dalla dissoluzione dell’Urss.
Ogni grande potenza – ritiene la diplomazia vaticana – ha le sue “preoccupazioni legittime”. Vale per gli Stati Uniti che non tollererebbero un Messico legato militarmente alla Cina e vale per la Russia, la quale chiede che stati direttamente ai suoi confini (come l’Ucraina o la Georgia) non entrino a fare parte del dispositivo militare atlantico. Per questo Francesco dichiara apertamente che la soluzione del conflitto non può essere affidata alla logica dei blocchi politico-militari e che invece vada affrontato di petto il riequilibrio della situazione mondiale. Attraverso un negoziato su nuove regole planetarie. Una specie di conferenza Helsinki-2. Simile al patto di Helsinki del 1975 che assicurò la pacifica convivenza tra Stati Uniti e paesi Nato da una parte e Urss e paesi del Patto di Varsavia dall’altro.
Il papa argentino sa di avere dalla sua parte quella vasta parte di mondo (maggioritaria per popolazione) che, pur rifiutando l’attacco russo all’Ucraina, non ha nessuna intenzione di arruolarsi sotto le bandiere di Washington. Si tratta di paesi importanti: Cina, India, Brasile, Sudafrica, Pakistan, Emirati e Arabia saudita per citare i principali. E’ una parte di mondo irritata anche dal moltiplicarsi di sanzioni che l’Occidente – come un maestrino di scuola, direbbe Kissinger – vuole imporre a chi non segue la propria linea politica. Questa parte rilevante del pianeta vuole una soluzione politica al conflitto che sta causando a livello internazionale crisi economica, crisi energetica, crisi alimentare.
“Usare le armi per risolvere i conflitti è segno di debolezza e di fragilità. Negoziare, procedere nella mediazione e avviare la conciliazione richiede coraggio”, ha twittato Francesco il 24 aprile su @Pontifex_it. “Tornano a ruggire i nazionalismi”, ha dichiarato fine aprile durante la sua visita in Ungheria, denunciando che la politica a livello internazionale sembra essere “regredita a una sorta di infantilismo bellico”.
Nel vertice Francesco-Zelensky si prevede che in primo luogo si parli degli sforzi vaticani per riportare in Ucraina dalla Russia le migliaia di bambini deportati. E questa sarà la parte facile dell’incontro. La discussione sulla strategia generale sarà assai più complessa e sofisticata. Bergoglio e Zelensky sono due giocatori consumati. Sarà una partita a scacchi tosta. Il leader ucraino sa, però, che la maggioranza degli italiani è contraria ad un’avventura bellica di cui non si conoscono i contorni precisi. Sa che anche in Europa, a livello popolare, emergono dubbi che nelle riunioni di vertice Nato e Ue vengono accuratamente nascosti. Sa che in America una parte consistente della comunità degli affari non è affatto entusiasta di voler continuare la guerra. Sa che Trump ha detto di voler risolvere la questione in 24 ore e che Elon Musk ha proposto che la popolazione del Donbass decida il suo destino con un referendum.
Francesco ha intanto fatto pervenire un messaggio al presidente Putin, affidandolo all’ambasciatore russo in congedo Avdeev da cui si era recato all’inizio del conflitto per scongiurare Mosca a non gettarsi nell’avventura bellica.
Per Zelensky, alla vigilia della controffensiva troppe volte annunciata, è fondamentale cercare di portare il pontefice almeno simbolicamente nel proprio campo al fine di isolare la Russia. Per Francesco è cruciale arrivare ad un cessate il fuoco per iniziare a impostare trattative di pace. Nella sede romana della rivista dei gesuiti, in presenza della premier Giorgia Meloni, il segretario di Stato vaticano cardinale Pietro Parolin ha recentemente scolpito nella pietra la posizione vaticana: “L’unica soluzione realista è il negoziato. La soluzione dei conflitti non giunge polarizzando il mondo tra chi è buono e chi è cattivo. La Santa Sede dialoga con tutti e crede nel multilateralismo”. Chi ha orecchie per intendere intenda. A Roma, a Kyiv, a Bruxelles.