Chi ha a cuore le sorti del verde e in particolare quello di Milano (i milanesi dispongono di appena 17,8 metri quadrati di verde urbano a fronte di 33,8 metri quadrati di media italiana), può tranquillamente documentarsi con gli articoli di Gianni Barbacetto su queste pagine. Ma al di là di chi ne scrive c’è anche chi combatte una quasi solitaria battaglia perché Milano non diventi sempre più grigia e inquinata.
È il caso del Comitato La Goccia, costituitosi nel 2012 con l’espresso mandato di difendere il bosco urbano della Goccia (cosiddetta per la caratteristica forma che la contraddistingue, racchiusa com’è dai tracciati ferroviari che la circondano completamente) nel quartiere Bovisa: 42 ettari di bosco spontaneo con più di 16000 alberi di alto fusto sotto costante minaccia di cementificazione da parte del sindaco verde Beppe Sala. Purtroppo, il Comitato ma soprattutto la Natura hanno subito giorni addietro un danno irreparabile. Infatti, giovedì 13 aprile, l’albero più maestoso della foresta della Goccia, la vecchia quercia che da più di un secolo cresceva accanto ai gasometri, è stato abbattuto per lasciare spazio al nuovo campus del Politecnico, e con essa altri 67 alberi.
È l’inizio della trasformazione del luogo, in coerenza con il progetto di Renzo Piano (lo stesso architetto che sta dilatando il perimetro di Montecarlo dentro al mare), denominato “Masterplan Bovisa-Goccia”. “L’intervento prevede la realizzazione di venti nuovi edifici di 4 piani, di 16 metri di altezza, per un totale di circa 105.000 mq, a cui si aggiungeranno le Scuole Civiche, connessi da viali alberati pedonali in un mix di funzioni che ne faranno un quartiere vivo. Un grande asse ciclo pedonale a sud, tra gasometri e il campus Lambruschini, unirà le 2 stazioni, Bovisa e Villapizzone, che saranno rinnovate ed interconnesse all’intero Campus”. Ma verrebbe salvaguardato il bosco di 24 ettari: peccato che attualmente siano 42.
Ma quello che più colpisce (almeno a me) di questa operazione/speculazione immobiliare è l’affermazione di Piano a sostegno del progetto: “L’essenza di questo progetto era già scritta in quel luogo. L’idea era già lì che non aspettava altro. Intanto il bosco con quegli alberi maestosi. Poi le tracce della fabbrica sul terreno, quegli antichi edifici a testimoniare la memoria dei luoghi e il loro dna”. Forse inconsapevolmente l’archistar fa riferimento a quel termine “vocazione” che a me fa rabbrividire, quanto quello di “valorizzazione”. Laddove si parla di vocazione per intendere la destinazione futura che l’uomo intende dare alla Natura (tipico usare il termine in riferimento al turismo, “vocazione turistica” per intendere le trasformazioni che verranno apportate) e di “valorizzazione” per intendere che la Natura senza cemento non ha valore.
Piano dice che il luogo “non aspettava altro”: terribile. La Natura qui stava e sta benissimo, non aspettava alcuna mano umana a modificarla, e si riprenderebbe anche tutta l’archeologia industriale presente in loco solo che la si lasciasse fare. Solo che Piano come tutti gli architetti è pervaso da quella visione antropocentrica che fa sì che nella Natura si veda qualcosa di asservito ai nostri voleri. E comunque, per tornare all’enfasi di Piano, l’albero più maestoso l’hanno segato.
Sabato 13 maggio alle ore 16, in Piazza della Scala, a Milano, un requiem per la quercia centenaria e gli altri 67 alberi abbattuti.