Avete presente l’espressione “sparare sulla Croce Rossa”? Presumo di sì. E presumo anche che di questa espressione, usata perlopiù in termini metaforici, conosciate a pieno l’inequivocabile significato. Chi “spara sulla Croce Rossa“ è un essere vile e mediocre, una slavata versione del ben noto Maramaldo che, illo tempore, uccise “un uomo morto”; un prepotente pusillanime che, per far mostra della propria forza – una forza che in realtà non possiede – si scaglia contro il più facile ed indifeso degli obiettivi. Orbene: proprio questo, sparare (e non metaforicamente) sulla Croce Rossa, è quel che, in Nicaragua, ha fatto ieri la pariglia di personaggi – un classico caso, per restare ai modi di dire, del ben noto “Dio li fa e poi li accoppia” – che di quel paese è, da 16 anni, la dittatoriale guida.
Mi riferisco, ovviamente alla coppia di coniugi Daniel Ortega e Rosario Murillo, rispettivamente presidente e vicepresidente di quel Nicaragua sandinista che non moltissimo tempo fa, tra il 1979 ed il 1990, fu per molti e per molto buone ragioni simbolo di liberazione e di speranza. Giusto per rinfrescar la memoria: Daniel Ortega era stato, in quegli anni – primus inter pares tra i nove comandanti che avevano guidato l’insurrezione contro il lungo e sanguinoso regno dei Somoza – presidente d’un paese che, uscito da 43 anni d’una dittatura prima creata e poi sostenuta dagli Usa, aveva, tra mille difficoltà e molti errori, cercato nuove strade verso la democrazia. E che, proprio per questo era stato, negli anni di Ronald Reagan, bersagliato e attaccato. Per chiarire, restando nella metafora iniziale. In quegli anni la “Croce Rossa” in questione era proprio lui, anzi, erano proprio loro, Daniel Ortega e il suo governo democratico sandinista. Ed era contro di loro che lo zio Sam, il gran Maramaldo dell’America Latina, andava senza ritegno sparando a zero. Direttamente, come quando nel 1980 la Cia minò tutti i porti del Paese, o indirettamente, organizzando e finanziando – talora sfidando le stesse leggi degli Stati Uniti, come dimostrò lo scandalo Iran-contras – gruppi di guerriglieri.
Ora le parti sembrano essersi, almeno in parte, invertite. In parte, perché se adesso a sparare è, in combutta con la consorte, il bersaglio d’allora, Daniel Ortega, la vera vittima della sparatoria, il vero agnello sacrificale, resta in realtà il medesimo: il popolo del Nicaragua, il suo inappagato bisogno di democrazia, di libertà e di giustizia. Il tutto all’interno di quella che ora, grazie agli Ortega, non è più una metafora, ma un eufemismo. Daniel Ortega e Rosario Murillo non si sono infatti limitati a sparare alla Croce Rossa (quella vera, fondata da Henry Dunant nel 1863, dopo la battaglia di Solferino, al fine di assistere super partes, nel nome dell’umana dignità, i feriti di tutte le guerre). La Croce Rossa l’hanno, nella sua rappresentanza nicaraguense, semplicemente chiusa, cancellata, soppressa e vilipesa, accusandola di “orrendi” crimini. E, già che c’erano, ne hanno anche – con una legge approvata da un Parlamento-fantoccio – sequestrato tutti i beni
Quali sono gli “orrendi” e imperdonabili crimini di cui sopra? Basicamente, l’aver offerto assistenza ai manifestanti che, nel 2018, protestarono in tutto il paese, non solo per i feroci tagli alle pensioni e all’intero sistema assistenziale, ma anche contro l’inequivocabile deriva dittatorial-tirannica del Paese. Quanti siano stati, in quei giorni, i morti ammazzati dalle forze (regolari o paramilitari) del governo non si sa con esattezza. Calcoli approssimativi – e approssimativi quasi certamente per difetto – parlano di almeno 300 vittime e di molte migliaia di feriti. Quelli, per l’appunto, che la Croce Rossa ha assistito.
Per questo, la Croce Rossa è stata messa alla porta. E prima della Croce Rossa, un analogo destino era toccato, in pratica, a tutte le ONG attive nel Paese. Come si è arrivati a questo punto? In che modo le speranze degli anni ’80 si sono trasformate nell’incubo di questo governo che spara sulle ambulanze? La storia è lunga, triste e in pressoché ogni sua parte decisamente infame. Tanto lunga, triste e infame che impossibile è raccontarla tutta nello spazio d’un post. Basti dire che la trasfigurazione del sandinismo – movimento di liberazione – in orteghismo cominciò subito dopo la sconfitta elettorale del 1990, con quella che è passata alla storia come la “gran piñata”, l’appropriazione fraudolenta di proprietà dello Stato da parte di Ortega e dei suoi accoliti. Ed è continuata prima attraverso la progressiva epurazione del FSLN da ogni forma di dissenso (degli altri otto comandanti della rivoluzione, solo il più mediocre, Bayardo Arce, è sopravvissuto alla orteghizzazione del partito) e poi attraverso il famigerato “pacto” con il super-corrotto governo di Arnoldo Alemán (“pacto” grazie al quale Ortega evitò di finire sotto processo per i tormenti sessuali inflitti a Zoilamerica, una figliastra minorenne). E infine, dopo il ritorno al potere, nel 2007, d’un sandinismo che ormai non era che la deturpata immagine di se stesso, con il progressivo asservimento di tutti i poteri dello Stato e di tutte le leve economiche.
È in questa veste – la veste dei padroni – che ieri la coppia presidenziale ha sparato alla, anzi, ha “cancellato” la Croce Rossa, involontariamente richiamando un interessante parallelo storico. Narrano infatti gli annali come, dopo il catastrofico terremoto che, nel dicembre del 1972, distrusse Managua, l’ultimo rampollo della dinastia dei Somoza, Anastasio “Tachito” Somoza Debayle, avesse non sparato sulla Croce Rossa, ma derubato la medesima (e, con la medesima, il popolo tutto in un momento di straziante sofferenza). Ovvero: come si fosse appropriato, per poi rivederlo sul libero mercato, di gran parte del plasma sanguigno inviato per soccorrere i feriti della tragedia.
Quale delle due è peggio? Sparare o rubare? Nel dubbio meglio ripetere quello che, sfidando la morte, i manifestanti del 2018 gridarono in tutte le piazze del Nicaragua: “Ortega Somoza, son la misma cosa”, Ortega, Somoza son la stessa cosa. Almeno per ora. Perché la coppia Ortega-Murillo sembra, a tutti gli effetti, pronta al sorpasso…
Massimo Cavallini
Giornalista
Mondo - 12 Maggio 2023
Nicaragua, il presidente Ortega ha sparato sulla Croce Rossa. Anzi, l’ha proprio dissolta
Avete presente l’espressione “sparare sulla Croce Rossa”? Presumo di sì. E presumo anche che di questa espressione, usata perlopiù in termini metaforici, conosciate a pieno l’inequivocabile significato. Chi “spara sulla Croce Rossa“ è un essere vile e mediocre, una slavata versione del ben noto Maramaldo che, illo tempore, uccise “un uomo morto”; un prepotente pusillanime che, per far mostra della propria forza – una forza che in realtà non possiede – si scaglia contro il più facile ed indifeso degli obiettivi. Orbene: proprio questo, sparare (e non metaforicamente) sulla Croce Rossa, è quel che, in Nicaragua, ha fatto ieri la pariglia di personaggi – un classico caso, per restare ai modi di dire, del ben noto “Dio li fa e poi li accoppia” – che di quel paese è, da 16 anni, la dittatoriale guida.
Mi riferisco, ovviamente alla coppia di coniugi Daniel Ortega e Rosario Murillo, rispettivamente presidente e vicepresidente di quel Nicaragua sandinista che non moltissimo tempo fa, tra il 1979 ed il 1990, fu per molti e per molto buone ragioni simbolo di liberazione e di speranza. Giusto per rinfrescar la memoria: Daniel Ortega era stato, in quegli anni – primus inter pares tra i nove comandanti che avevano guidato l’insurrezione contro il lungo e sanguinoso regno dei Somoza – presidente d’un paese che, uscito da 43 anni d’una dittatura prima creata e poi sostenuta dagli Usa, aveva, tra mille difficoltà e molti errori, cercato nuove strade verso la democrazia. E che, proprio per questo era stato, negli anni di Ronald Reagan, bersagliato e attaccato. Per chiarire, restando nella metafora iniziale. In quegli anni la “Croce Rossa” in questione era proprio lui, anzi, erano proprio loro, Daniel Ortega e il suo governo democratico sandinista. Ed era contro di loro che lo zio Sam, il gran Maramaldo dell’America Latina, andava senza ritegno sparando a zero. Direttamente, come quando nel 1980 la Cia minò tutti i porti del Paese, o indirettamente, organizzando e finanziando – talora sfidando le stesse leggi degli Stati Uniti, come dimostrò lo scandalo Iran-contras – gruppi di guerriglieri.
Ora le parti sembrano essersi, almeno in parte, invertite. In parte, perché se adesso a sparare è, in combutta con la consorte, il bersaglio d’allora, Daniel Ortega, la vera vittima della sparatoria, il vero agnello sacrificale, resta in realtà il medesimo: il popolo del Nicaragua, il suo inappagato bisogno di democrazia, di libertà e di giustizia. Il tutto all’interno di quella che ora, grazie agli Ortega, non è più una metafora, ma un eufemismo. Daniel Ortega e Rosario Murillo non si sono infatti limitati a sparare alla Croce Rossa (quella vera, fondata da Henry Dunant nel 1863, dopo la battaglia di Solferino, al fine di assistere super partes, nel nome dell’umana dignità, i feriti di tutte le guerre). La Croce Rossa l’hanno, nella sua rappresentanza nicaraguense, semplicemente chiusa, cancellata, soppressa e vilipesa, accusandola di “orrendi” crimini. E, già che c’erano, ne hanno anche – con una legge approvata da un Parlamento-fantoccio – sequestrato tutti i beni
Quali sono gli “orrendi” e imperdonabili crimini di cui sopra? Basicamente, l’aver offerto assistenza ai manifestanti che, nel 2018, protestarono in tutto il paese, non solo per i feroci tagli alle pensioni e all’intero sistema assistenziale, ma anche contro l’inequivocabile deriva dittatorial-tirannica del Paese. Quanti siano stati, in quei giorni, i morti ammazzati dalle forze (regolari o paramilitari) del governo non si sa con esattezza. Calcoli approssimativi – e approssimativi quasi certamente per difetto – parlano di almeno 300 vittime e di molte migliaia di feriti. Quelli, per l’appunto, che la Croce Rossa ha assistito.
Per questo, la Croce Rossa è stata messa alla porta. E prima della Croce Rossa, un analogo destino era toccato, in pratica, a tutte le ONG attive nel Paese. Come si è arrivati a questo punto? In che modo le speranze degli anni ’80 si sono trasformate nell’incubo di questo governo che spara sulle ambulanze? La storia è lunga, triste e in pressoché ogni sua parte decisamente infame. Tanto lunga, triste e infame che impossibile è raccontarla tutta nello spazio d’un post. Basti dire che la trasfigurazione del sandinismo – movimento di liberazione – in orteghismo cominciò subito dopo la sconfitta elettorale del 1990, con quella che è passata alla storia come la “gran piñata”, l’appropriazione fraudolenta di proprietà dello Stato da parte di Ortega e dei suoi accoliti. Ed è continuata prima attraverso la progressiva epurazione del FSLN da ogni forma di dissenso (degli altri otto comandanti della rivoluzione, solo il più mediocre, Bayardo Arce, è sopravvissuto alla orteghizzazione del partito) e poi attraverso il famigerato “pacto” con il super-corrotto governo di Arnoldo Alemán (“pacto” grazie al quale Ortega evitò di finire sotto processo per i tormenti sessuali inflitti a Zoilamerica, una figliastra minorenne). E infine, dopo il ritorno al potere, nel 2007, d’un sandinismo che ormai non era che la deturpata immagine di se stesso, con il progressivo asservimento di tutti i poteri dello Stato e di tutte le leve economiche.
È in questa veste – la veste dei padroni – che ieri la coppia presidenziale ha sparato alla, anzi, ha “cancellato” la Croce Rossa, involontariamente richiamando un interessante parallelo storico. Narrano infatti gli annali come, dopo il catastrofico terremoto che, nel dicembre del 1972, distrusse Managua, l’ultimo rampollo della dinastia dei Somoza, Anastasio “Tachito” Somoza Debayle, avesse non sparato sulla Croce Rossa, ma derubato la medesima (e, con la medesima, il popolo tutto in un momento di straziante sofferenza). Ovvero: come si fosse appropriato, per poi rivederlo sul libero mercato, di gran parte del plasma sanguigno inviato per soccorrere i feriti della tragedia.
Quale delle due è peggio? Sparare o rubare? Nel dubbio meglio ripetere quello che, sfidando la morte, i manifestanti del 2018 gridarono in tutte le piazze del Nicaragua: “Ortega Somoza, son la misma cosa”, Ortega, Somoza son la stessa cosa. Almeno per ora. Perché la coppia Ortega-Murillo sembra, a tutti gli effetti, pronta al sorpasso…
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Roma, 22 feb. (Adnkronos) - Standing ovation dalla platea della convention Cpac a Washington al termine dell'intervento video della premier Giorgia Meloni. Un intervento nel quale la presidente del Consiglio ha richiamato valori e temi che uniscono conservatori europei e americani, a partire dalla difesa dei confini, ribadendo la solidità del legame tra Usa e Ue. "I nostri avversari - ha detto Meloni- sperano che il presidente Trump si allontani da noi. Ma conoscendolo come un leader forte ed efficace, scommetto che coloro che sperano nelle divisioni si smentiranno".
"So che alcuni di voi potrebbero vedere l'Europa come lontana o addirittura lontana o addirittura perduta. Vi dico che non lo è. Sì, sono stati commessi degli errori. Le priorità sono state mal riposte, soprattutto a causa delle classi dominanti e dei media mainstream che hanno importato e replicato nel Vecchio Continente", ha affermato la premier.
La presidente Meloni ha fatto un passaggio sull'Ucraina ribadendo "la brutale aggressione" subito dal popolo ucraino e confidando nella collaborazione con gli Usa per raggiungere una "pace giusta e duratura" che, ha sottolineato, "può essere costruita solo con il contributo di tutti, ma soprattutto con forti leadership".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - Le "elite di sinistra" si sono "recentemente indignate per il discorso di JD Vance a Monaco in cui il vicepresidente ha giustamente affermato che prima di discutere di sicurezza, dobbiamo sapere cosa stiamo difendendo. Non stava parlando di tariffe o bilance commerciali su cui ognuno difenderà i propri interessi preservando la nostra amicizia". Mo ha sottolineato la premier Giorgia Meloni nel suo intervento al Cpac.
"Il vicepresidente Vance stava discutendo di identità, democrazia, libertà di parola. In breve, il ruolo storico e la missione dell'Europa. Molti hanno finto di essere indignati, invocando l'orgoglio europeo contro un americano che osa farci la predica. Ma lasciate che ve lo dica io, da persona orgogliosa di essere europea - ha detto ancora - Innanzitutto, se coloro che si sono indignati avessero mostrato lo stesso orgoglio quando l'Europa ha perso la sua autonomia strategica, legando la sua economia a regimi autocratici, o quando i confini europei e il nostro stile di vita sono stati minacciati dall'immigrazione illegale di massa, ora vivremmo in un'Europa più forte".
(Adnkronos) - "I nostri avversari - ha detto Meloni- sperano che il presidente Trump si allontani da noi. Ma conoscendolo come un leader forte ed efficace, scommetto che coloro che sperano nelle divisioni si smentiranno. So che alcuni di voi potrebbero vedere l'Europa come lontana o addirittura lontana o addirittura perduta".
"Vi dico che non lo è. Sì, sono stati commessi degli errori. Le priorità sono state mal riposte, soprattutto a causa delle classi dominanti e dei media mainstream che hanno importato e replicato nel Vecchio Continente".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "So che con Donald Trump alla guida degli Stati Uniti, non vedremo mai più il disastro che abbiamo visto in Afghanistan quattro anni fa. Quindi sicurezza delle frontiere, sicurezza delle frontiere, sicurezza energetica, sicurezza economica, sicurezza alimentare, difesa e sicurezza nazionale per una semplice ragione. Se non sei sicuro, non sei libero". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un messaggio al Cpac.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "C'è una crescente consapevolezza. C'è una crescente consapevolezza in Europa che la sicurezza è ora la massima priorità. Non puoi difendere la tua libertà se non hai i mezzi o il coraggio per farlo. La felicità dipende dalla libertà e la libertà dipende dal coraggio. Lo abbiamo dimostrato quando abbiamo fermato le invasioni, conquistato le nostre indipendenze e rovesciato i dittatori". Così la premier Giorgia Meloni in un messaggio al Cpac.
"E lo abbiamo fatto insieme negli ultimi tre anni in Ucraina, dove un popolo orgoglioso combatte per la propria libertà contro un'aggressione brutale. E dobbiamo continuare oggi a lavorare insieme per una pace giusta e duratura. Una pace che può essere costruita solo con il contributo di tutti, ma soprattutto con forti leadership".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - In Ucraina "un popolo coraggioso combatte contro una brutale aggressione". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al Cpac.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "I nostri avversari sperano che Trump si allontani da noi. Io lo conosco, e scommetto che dimostreremo che si sbagliano. Qualcuno può vedere l'Europa come distante, lontana. Io vi dico: non è così". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un messaggio alla convention Cpac a Washington.