“E’ stata una goliardata”. Alcune settimane fa, dopo essere stato interrogato come testimone in Tribunale nel processo per i volantini del “Corvo”, il patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia, aveva definito così il comportamento di un sacerdote che in canonica si era spogliato assieme ad alcuni ragazzini. Era stato il vescovo a raccontare l’episodio che aveva dato avvio a un procedimento canonico nei confronti del parroco, poi sospeso per cinque anni dall’esercizio dell’attività a contatto con i fedeli. Un fatto significativo, che in qualche modo ha dimostrato come – pur nel loro eccesso e nell’infondata generalizzazione – le accuse formulate nel volantino e riguardanti comportamenti non appropriati del clero avessero qualche fondamento.

Adesso il sacerdote ha affrontato anche la giustizia civile, dopo quella ecclesiastica, e ha patteggiato una pena di un anno e quattro mesi per il reato di adescamento. Il prete gestiva contemporaneamente tre chiese della parrocchia dei Carmini, tra cui la chiesa dei Gesuati alle Zattere. A far arrivare la voce in curia di strani incontri con alcuni ragazzini completamente nudi erano state le catechiste. Il vescovo aveva convocato il sacerdote, il quale aveva confermato tutto, spiegando di non avere avuto nessuna finalità di tipo sessuale. Moraglia aveva informato le famiglie, che si erano raccomandate la massima segretezza. Così la vicenda aveva seguito il corso canonico, fino alla sospensione e al trasferimento del prete in una comunità, con l’impegno a seguire corsi di recupero psicologico per un paio d’anni.

Contemporaneamente si è aperto il filone penale. In un primo tempo il pubblico ministero aveva contestato la violenza sessuale. Gli interrogatori hanno escluso l’esistenza di gesti o atti che confermassero un’accusa del genere, finita in archivio su richiesta del pubblico ministero Giorgio Gava, senza che nessuna delle parti interessate facesse ricorso. È rimasta quindi l’ipotesi di adescamento di minorenni, per la quale si è avuto ora il patteggiamento. Il sacerdote si sarebbe giustificato dicendo che invitava i ragazzi (tutti diciassettenni) a spogliarsi, facendo lui lo stesso, perché così voleva creare un clima di cameratismo, inducendo i minorenni a frequentare la canonica. Una volta nudi, avrebbero chiacchierato, fumato e bevuto qualche spritz. Nessun toccamento, né discorso a sfondo sessuale.

I fatti, stando al capo d’imputazione, si sono verificati tra giugno e luglio 2020, in più occasioni, e avrebbero coinvolto tre minorenni. Il sacerdote è stato sottoposto a consulenze psicologiche e avrebbe motivato il proprio comportamento parlando del proprio passato e dei problemi della propria pubertà. Gli stessi psicologi avrebbero escluso una finalità sessuale, ipotizzando una forma di regressione all’epoca dell’adolescenza.

Il nome del sacerdote era indicato nei volantini che nel 2019 vennero affissi sui muri del centro storico di Venezia e che portavano la firma di “fra.tino”, fustigatore dei costumi asseritamente corrotti della chiesa lagunare. Secondo il patriarca di Venezia la curia aveva effettuato controlli sui preti citati, senza trovare nulla di significativo. Il processo sta però portando alla luce situazioni perlomeno opache, la più clamorosa delle quali è ora arrivata a un epilogo giudiziario. Gli imputati del processo al Corvo sono due, accusati di diffamazione. Si tratta innanzitutto di Enrico Di Giorgi, milanese, un ex dirigente della Montedison, amico di don Massimiliano D’Antiga, amministratore di parrocchia in centro storico che si era opposto al trasferimento deciso nel 2018 dal vescovo Moraglia. L’altro imputato è un tecnico informatico milanese Gianluca Buoninconti, amico di Di Giorgi. Pur non essendo citato nel capo d’imputazione, la pubblica accusa sospetta che la campagna di volantini contro la chiesa veneziana e il Patriarca (accusato di aver insabbiato gli scandali) avrebbe un ispiratore, proprio don D’Antiga, che è stato ridotto allo stato laicale per la sua ribellione contro il vescovo. Alla luce anche del patteggiamento del parroco dei Carmini, il processo per diffamazione rischia di diventare incandescente quando sarà interrogato non solo Di Giorgi, ma anche il professore Alessandro Tamborini, grande fustigatore di D’Antiga, che qualche settimana fa è stato interrogato dal promotore di giustizia della Curia, lanciando nuove accuse di abusi sessuali e frequentazioni gay da parte di sacerdoti.

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