L’ultima volta che si sono guardati negli occhi era l’8 febbraio 2020. Da quel momento, per entrambi, lo scenario è profondamente cambiato. L’incontro di oggi, 13 maggio, alle 16, in Vaticano, nell’auletta dell’Aula Paolo VI, tra Papa Francesco e il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, è destinato a entrare nella storia. Da quando la Russia del presidente Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina, il 24 febbraio 2022, Bergoglio ha messo in cima all’agenda del suo pontificato la pace nel Paese che ha sempre definito “martoriato”. Il giorno dopo l’inizio del conflitto, con un gesto senza precedenti, Francesco si recò a sorpresa all’Ambasciata russa presso la Santa Sede, chiedendo un colloquio con Putin che per ben tre volte, il 25 novembre 2013, il 10 giugno 2015 e il 4 luglio 2019, era stato ricevuto da lui in udienza privata nei sacri palazzi. Non è sicuramente un caso che Zelensky torna in Vaticano 48 ore dopo l’udienza papale di congedo dell’ambasciatore russo presso la Santa Sede, Alexander Avdeev.
Se con il Cremlino i contatti, soprattutto nei primi mesi di guerra, sono stati quasi del tutto assenti, con i leader ucraini la comunicazione, sia con Francesco che con la Santa Sede, è sempre stata molto intensa. Fin da subito, il Papa ha percorso due strade parallele: una diplomatica, con l’offerta della mediazione del Vaticano per la fine del conflitto, e una umanitaria, con l’invio di due cardinali in Ucraina, Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, e Konrad Krajewski, prefetto del Dicastero per il servizio della carità, per portare aiuti concreti. Nonostante questo impegno, Bergoglio è stato accusato, anche in modo molto diretto e violento, da autorevoli esponenti cattolici ucraini di essersi speso poco e in modo inefficace per la fine del conflitto. Accuse ingiuste che hanno fatto soffrire molto il Papa che, proprio per questo motivo, ha voluto riunire tutti i suoi appelli per la pace in Ucraina e consegnarli ai capi di Stato e di governo che ha ricevuto in udienza privata in questi mesi.
Un dono che ha voluto fare, recentemente, il 27 aprile 2023, anche al primo ministro ucraino, Denys Shmyhal. Consegnandoglielo, Francesco ha spiegato: “Questo è stato scritto prima della lettera”. A cosa si riferiva il Papa? Bergoglio indicava la missiva da lui inviata al popolo ucraino a nove mesi dallo scoppio della guerra, il 25 novembre 2022. Un modo per chiarire che, già prima di quella lettera, chiesta con insistenza dai leader ucraini e redatta in Segreteria di Stato, il Papa aveva rivolto quasi quotidianamente i suoi appelli alla comunità internazionale per porre fine al conflitto. Ma non solo. Francesco ha sempre offerto all’Ucraina e alla Russia la mediazione sua personale e della Santa Sede per un trattato di pace. Un’offerta che è stata ribadita recentemente dal Pontefice proprio pochi giorni dopo l’udienza con il premier ucraino: “Anche adesso è in corso una missione, ma ancora non è pubblica, vediamo… Quando sarà pubblica ne parlerò”.
Sia Kiev che Mosca si erano subito affrettate a dichiarare di non essere a conoscenza di una missione di pace della Santa Sede. A chi era diretto il messaggio del Papa? Francesco aveva un unico destinatario in mente: la Segreteria di Stato vaticana a cui il Papa, subito dopo quelle parole pubbliche, chiese di intensificare i canali tenuti sempre aperti con i due Paesi in guerra. Bergoglio, infatti, ha ribadito ai suoi collaboratori che la Chiesa deve seguire i tempi del Vangelo, non quelli della politica o della diplomazia. Ciò perché, da quanto si era notato a Casa Santa Marta, la residenza del Papa, l’azione diplomatica vaticana aveva avuto una battuta d’arresto, causata dalla mancanza di risposte credibili alla reiterata offerta di mediazione della Santa Sede. Francesco non ha accettato la resa diplomatica, ma è sceso nuovamente in campo per mediare direttamente.
Bergoglio ha uno schema ben chiaro. Lo aveva messo in atto in Terra Santa, nel 2014, rivolgendo un invito ai presidenti palestinese e israeliano, Abu Mazen e Shimon Peres: “Offro la mia casa in Vaticano per ospitare questo incontro di preghiera”. L’incontro si tenne pochi giorni dopo, ma senza portare i frutti sperati. Diverso, invece, era stato il risultato con i leader del Sud Sudan ricevuti insieme a Casa Santa Marta nel 2019. Francesco si chinò a baciare i loro piedi e ha recentemente suggellato la pace con il viaggio ecumenico nel Paese del febbraio scorso. Proprio per questo motivo, il Papa ha sempre ribadito la volontà di andare sia a Kiev che a Mosca, nello stesso viaggio, senza mai separare queste due mete. Anche questa impostazione non gli ha risparmiato dure critiche sia all’interno delle gerarchie ecclesiastiche che all’esterno. Ma è una direttiva che Bergoglio non ha alcuna intenzione di abbandonare. Lo ha dimostrato anche recentemente, tornando a rivolgere il suo pensiero “al vicino martoriato popolo ucraino e al popolo russo”.
Quello del Papa è un messaggio chiaro rivolto sia a Kiev che a Mosca perché abbiano a cuore “il desiderio di costruire la pace, di dare alle giovani generazioni un futuro di speranza, non di guerra; un avvenire pieno di culle, non di tombe; un mondo di fratelli, non di muri”. Francesco, infatti, è ben consapevole che, per essere un mediatore credibile, deve cercare di tenere aperti entrambi i canali. In molti gli hanno ripetutamente chiesto di scomunicare Putin, il che sarebbe significato abortire il ruolo di mediatore, ma anche far scoppiare una guerra religiosa tra la Chiesa di Roma e il Patriarcato di Mosca. Conflitto, quest’ultimo, che non è deflagrato unicamente per l’opera di mediazione di Francesco, a dispetto delle gravissime affermazioni del Patriarca di Mosca, Kirill, che il Papa ha più volte definito “chierichetto di Putin” perché ha sempre benedetto la guerra in Ucraina.
Con Kirill il Pontefice fu subito abbastanza duro, soprattutto quando gli lesse una lunga lista di giustificazioni dell’invasione russa: “Fratello, – lo bloccò immediatamente Francesco – la Chiesa non deve usare la lingua della politica, ma il linguaggio di Gesù”. Kirill non è stato abile a smarcarsi da Putin, nonostante le indicazioni del Papa che lo avrebbe voluto come sponda per trattare la pace con il Cremlino. Ma, recentemente, anche il Patriarcato di Mosca ha compreso quanto sia indispensabile l’opera di mediazione di Bergoglio. Due giorni dopo l’udienza con il premier ucraino, il 29 aprile 2023, il Papa ha incontrato Hilarion, dal giugno 2022 metropolita ortodosso russo di Budapest e dell’Ungheria, ma precedentemente presidente del Dipartimento degli affari esterni del Patriarcato di Mosca. Con lui Bergoglio ha avuto un colloquio di venti minuti definito “cordiale” dal Vaticano. “Non solo abbiamo parlato di Cappuccetto Rosso”, ha spiegato il Papa con una battuta a chi gli chiedeva i temi del faccia a faccia, precisando “che a tutti interessa la strada della pace”. Lo stesso Hilarion, da sempre molto distante dalle posizioni guerrafondaie di Kirill, ha sottolineato che “l’incontro era di natura personale tra due vecchi amici”.
La Santa Sede, già in precedenza, ha mediato con successo con il Cremlino per lo scambio di alcuni prigionieri. Ora, questo stesso schema è stato riproposto per far tornare a casa i bambini portati con la forza in Russia. Richiesta rivolta direttamente dal premier ucraino al Papa che l’ha subito accolta. È evidente, però, che questo non basta e il primo a esserne profondamente consapevole è proprio Bergoglio che vuole ottenere rapidamente il cessate il fuoco e poi far svolgere in Vaticano le trattative di pace. In questa operazione, Francesco è consapevole di essere solo, senza un supporto concreto della comunità internazionale alla quale più volte si è appellato, parlando privatamente anche con numerosi capi di Stato e di governo. Bergoglio è sereno e fiducioso che la svolta sia finalmente alle porte. Ed è sicuro che il Vaticano sarà il protagonista.
Francesco non è un equilibrista della diplomazia, un abile affabulatore, ma è un pastore molto concreto. Per questo motivo, è consapevole che la partita non si gioca nella Segreteria di Stato, ma a Casa Santa Marta. E che l’unico regista vaticano è lui. Non ci sono ambasciatori papali, così come non ci sono consiglieri. Da più di dieci anni ormai, in Vaticano c’è una diplomazia diretta che gestisce anche la comunicazione. Il Papa sta dettando anche i tempi di tutte le azioni che sta compiendo, lungamente ponderate, a dispetto di quello che si può banalmente credere, e rese pubbliche nel momento ritenuto più opportuno. Un’azione, la sua, che ancora una volta ha registrato la distanza paradossale tra Casa Santa Marta e la Segreteria di Stato. Ma l’obiettivo, a dispetto di quello di cui molti internamente sono convinti, non è intestarsi la mediazione, bensì raggiungere unicamente la pace perché, ha spiegato il Papa, “con la guerra siamo tutti sconfitti! Anche coloro che non vi hanno preso parte e che, nell’indifferenza vigliacca, sono rimasti a guardare questo orrore senza intervenire per portare la pace”.
Twitter: @FrancescoGrana