Continuiamo a parlare della ripresa delle mobilitazioni e delle rivendicazioni che sta interessando gran parte dell’Europa, dalla Francia alla Germania e Gran Bretagna, ma di cui per ora non si cogli in Italia nessuna avvisaglia. Eppure i salari italiani rimangono tra i più bassi d’Europa, il potere d’acquisto è eroso dall’inflazione e il disagio si allarga. Dopo aver affrontato il tema con lo scrittore Marco Rovelli e con il sindacalista della Cgil Giorgio Airaudo, ne parliamo con il direttore della rivista Il Mulino Mario Ricciardi. Professore, cosa differenzia l’Italia dagli altri paesi, manca una spinta dal basso o sindacati e partiti non sono capaci di intercettarla?
Quello che vediamo in Francia, e anche nel Regno Unito, sono organizzazioni sindacali attive nell’affiancare e sostenere le mobilitazioni. Alla guida della Cgt, uno dei principali sindacati francesi, c’è da poco la giovane Sophie Binet, che da subito si è mostrata molto combattiva. Inoltre in Francia esiste un interlocutore politico che può recepire le richieste che arrivano dalle piazze e cercare di tradurle in qualcosa di concreto. Nonostante i problemi degli ultimi anni, la sinistra francese è stata capace di riorganizzarsi. Nel Regno Unito ci sono stati scioperi imponenti, soprattutto per rivendicare adeguamenti salariali, penso a quelli nel settore della sanità ma non solo. Tuttavia, il partito laburista ha iniziato a marcare una distanza rispetto a chi scende in piazza e ai sindacati. Il leder dell’opposizione Keir Starmer ha come priorità attrarre voti anche tra i conservatori. Di recente Londra ha introdotto misure draconiane, controverse e criticate, che limitano la possibilità e i modi di manifestare il dissenso, eppure i labouristi hanno sostanzialmente dato il loro benestare, affrettandosi a spiegare che se dovessero andare al governo non le cancellerebbero.
a situazione italiana è diversa dalla altre due che abbiamo descritto. Ci sono sindacati sono divisi, che sinora sono parsi piuttosto timidi, ma, soprattutto, non esiste più alcuna forza politica di matrice socialista che si ponga come obiettivo prioritario la difesa dei lavoratori e la rappresentanza delle loro istanze. In questo scenario credo che molti italiani non concepiscano neppure più la prospettiva di una mobilitazione comune, sono ormai orientati verso un approccio più individualista. Se penso al mio settore, quello dei docenti universitari, faccio davvero fatica a immaginare la possibilità di una protesta sul modello di quanto si è visto di recente del Regno Unito.
Eppure è grazie alle mobilitazioni che i lavoratori del Regno Unito o della Germania sono riusciti ad ottenere aumenti delle retribuzioni che hanno limitato la perdita del potere d’acquisto dei salari. Finché i prezzi erano quasi fermi l’esigenza di questo tipo di rivendicazioni non era forse così pressante, non pensa che con un’inflazione vicina al 10%, un malessere economico che cresce, questa esigenza tornerà a farsi sentire anche in Italia?
Non escludo affatto che possa esserci una riscoperta dell’impegno e un ritorno delle mobilitazioni collettive ma non sono sicuro che otterrebbero dei risultati, e questo proprio per quel che dicevo prima, ossia che manca un interlocutore politico.
Nessuno nell’opposizione? Il Pd di Elly Schlein?
Mi aspetto che Schlein faccia qualche passo in direzione dei sindacati, come del resto abbiamo già visto con la partecipazione alla manifestazione di Bologna. Tuttavia non credo che il suo Pd assumerà un ruolo di interlocutore politico. Una svolta di questo tipo sarebbe energicamente criticata da gran parte della stampa e anche all’interno del partito le voci contrarie sarebbero molte. Sinora Schlein si è mostrata tutt’altro che sprovveduta, quindi non mi aspetto imprudenze o passi azzardarti. Del resto qualunque leader, di qualsiasi partito, che volesse tentare questa strada dovrebbe fare i conti con un’ opinione pubblica, e con questo intendo più gli opinionisti che il pubblico, fortemente contraria.
E il Movimento 5 Stelle?
È vero che il Movimento 5 Stelle si è fatto promotore di misure di sostegno alle persone più in difficoltà, penso al Reddito di Cittadinanza. Tuttavia non è una forza politica con una cultura socialista, e con una chiara visione di quello che un tempo si chiamava “conflitto di classe”. Anzi, in passato ci sono state circostanze in cui il M5S ha assunto posizioni più di destra che di sinistra.
Professore, Lei faceva riferimento a opinionisti, stampa etc. Non è che oltre a sindacati e partiti a mancare sia anche una classe intellettuale che supporti e aiuti a strutturare la battaglia delle persone che lavorano?
Ho l’età per ricordarmi di quando gli intellettuali italiani erano in gran parte schierati a sinistra, anche senza necessariamente impegnarsi. Ma allora c’era una rete che assicurava una sorta di protezione per chi prendeva posizione. Una rete che si snodava tra case editrici, giornali, mondo della cultura e dell’arte. Oggi chi si impegna lo fa da solo, senza nessuna organizzazione alle spalle, e con tutti i rischi che questo comporta. Tuttavia non penso che vada esagerata la responsabilità degli intellettuali, rispetto a quella di partiti e sindacati. Tra i più giovani vedo molta vivacità e capacità di critica.
Torniamo alle proteste francesi, che idea si è fatto di queste mobilitazioni?
Nei giorni delle recenti proteste ero a Parigi, quindi ho in qualche modo respirato l’atmosfera che le avvolgeva. Quello che è certo è che non si tratta di una protesta per la sola questione dell’aumento dell’età di pensionamento. Le ragioni della protesta – come ha spiegato molto bene Pierre Rosanvallon – sono molto più ampie e riguardano fondamentalmente gli orientamenti di fondo della politica del presidente Macron, il quale prima ha invocato i voti di sinistra per scongiurare l’arrivo all’Eliseo di Marine Le Pen ma, dopo aver vinto le elezioni, ha virato deciso a destra sull’economia, anche con sfumature di autoritarismo. C’è una parte consistente della popolazione francese che non si ritrova né nella destra nazionalista del Rassemblement National e nei suoi ammiccamenti al fascismo, né in una destra tecnocratica, ed è principalmente da questo bacino che le mobilitazioni attingono.