di Maurizio Contigiani
Chi vota in Italia sono i vecchi, i benestanti, i fideisti che vanno alle urne come un riflesso condizionato, come quando un cane agita la zampa se gli si gratta la pancia, quelli che pensano che votare Pd sia come votare Berlinguer e gli altri, quelli del “fronte opposto”, illusi che avere La Russa, Santanchè, Meloni, Lollobrigida sia come avere al governo Almirante, Birindelli, Pisanò o addirittura il Duce e Farinacci.
Chi vota sono coloro che trascorrono appassionanti serate davanti alla tv dei talk politici, inzuppati di chiacchiere sul nulla, prodotte da tristi, grotteschi, miseri personaggi politici che non contano nulla se non di fare da servi, spesso a 16mila euro al mese più bonus televisivo, a qualsiasi potere o lobby più o meno potente o legalizzato.
Chi vota sono i borghesi ai quali non serve il reddito di cittadinanza, che hanno il lavoro fisso o la pensione (fissa pure lei), coloro ai quali rimane troppo comodo affermare che il reddito porta sul divano senza gettare un occhio sui propri figli che stanno sul divano perché infarciti di benessere.
Chi vota sono quelli a cui non piace il bancomat, che vorrebbero pagare la gente 4 euro l’ora, magari due tassati e due in nero, i balneari, i proprietari di bancarelle, gli evasori parziali o totali, i colletti bianchi che vivono di raccomandazioni, di tangenti e di qualsiasi altra cosa che li porti a saltare la fila del merito.
Tutti insieme fanno buona parte di quel 64% che ha votato.
Mancano all’appello diversi milioni che prima votavano ed ora non più. Quel che rimane della classe operaia, i poveri in canna, i precari, gli sfruttati e soprattutto i giovani: gli studenti non vedono, nell’offerta politica attuale, una speranza per un futuro migliore. Un Partito enorme che si contrappone a quell’altro, unico schieramento, che si nasconde sotto diversi colori ma in realtà è più che mai unito contro gli interessi di chi sta peggio.
Non riesco ad immaginare quale possa essere lo strumento per ricreare quel minimo di entusiasmo in queste persone ormai preda della rassegnazione, per riportarle ad essere parte attiva del dibattito politico, come lo era quando il 90% della gente comune partecipava, quando la forza della gente comune riusciva a conquistarsi un minimo di dignità. Studenti, lavoratori e poveri scendevano in piazza con il giusto entusiasmo, la giusta consapevolezza di poter ottenere qualcosa, la giusta rabbia.
Non vorrei che oggi si sostituisca, alle motivazioni di cui sopra, un coefficiente di disperazione tale da poter essere ulteriormente strumentalizzato da qualcuno in grado di farci precipitare ancora più in basso nel nostro inevitabile destino da Rana Bollita.