“Mentre la politica discute di utilità o meno delle intercettazioni, le mafie sono sempre più presenti nei social ma soprattutto sono in grado di pagare degli hacker e di crearsi nuovi sistemi di comunicazione simili a Whatsapp e a Telegram. Noi ad ora non siamo riusciti a bucare nessuno dei loro sistemi comunicativi. Bisogna finirla di arruolare solo il maresciallo o il poliziotto o il carabiniere nei servizi segreti. Dobbiamo assumere ingegneri informatici e hacker, altrimenti non riusciremo mai a essere competitivi con le altre migliori polizie del mondo”. Sono le parole del procuratore della Repubblica Nicola Gratteri, intervenuto in un convegno alla sala stampa della Camera dei deputati, dove è stato presentato il rapporto “Le mafie nell’era digitale”, realizzato dalla Fondazione Magna Grecia.

Nella relazione della fondazione, presentata da Antonio Nicaso, docente di Storia della criminalità organizzata presso la Queen’s University in Canada e da Marcello Ravveduto, professore di Public and digital history alle Università di Salerno e di Modena-Reggio Emilia, sono emersi dati impressionanti, uno tra tutti l’uso spregiudicato che le mafie fanno dei social media (in primis Tik Tok, in ultima analisi Facebook). Se prima, cioè, i mafiosi comunicavano coi silenzi, con le gestualità, coi tatuaggi, coi pizzini, ora hanno preso d’assalto i social optando per una sempre maggiore visibilità. Insomma, il precetto meno rispettato della mafie oggi è proprio il silenzio.

Gratteri analizza con dovizia di dettagli l’evoluzione comunicativa delle mafie e denuncia la scarsità di competenze tecnologiche degli inquirenti in Italia: “I mafosi utilizzano telefonini che pagano mediamente 3.500 euro e che usano per 6 mesi. E parlano in chiaro. Si tratta di un sistema simile a quello dei citofoni, con la differenza che riescono a comunicare da una parte all’altra dell’oceano. L’Italia non è riuscita a bucare nessuno di questi sistemi. Se fino a 6-7 anni fa nell’investigazione non eravamo secondi a nessuno, la polizia giudiziaria italiana era dominante nel mondo e anche in presenza dell’Fbi davamo le carte, ora la situazione è diversa – continua – Qualche anno fa, in Costa Rica sono riusciti a bucare il server che i narcotrafficanti colombiani, messicani ed europei usavano per comunicare. Analogamente Francia, Olanda e Germania sono riusciti a bucare sistemi simili. Questo significa che stiamo perdendo quel know-how che avevamo, ma soprattutto nel corso di questi decenni chi ha governato non ha investito in tecnologia, ritenendo che non fosse importante sul piano dell’investigazione. Dobbiamo coprire il prima possibile questo gap “.

Il magistrato si sofferma poi sulla presenza delle mafie nei social: “Le mafie da sempre per esistere hanno bisogno di pubblicità. Tutti devono sapere chi sono i mafiosi, perché devono essere temuti e riconosciuti. Col professor Nicaso ho scritto 22 libri, in cui sono nominati centinaia di mafiosi tra i più pericolosi del mondo. Mai nessuno ha protestato. Abbiamo scritto un libro sui rapporti tra la ‘ndrangheta e la Chiesa ed è successo iil finimondo. In quel libro – prosegue – abbiamo raccontato di una famiglia della ‘ndrangheta che ha ristrutturato una chiesa davanti alla quale ha messo una lapide con inciso il nome della famiglia stessa. Quella ad esempio è una esternazione del proprio potere. Un altro esempio simile si ha quando il Santo passa in processione e il figlioletto del capomafia si avvicina per dare l’offerta da 200 euro. O ancora, come è testimoniato da foto, il mafioso accanto al vescovo in processione”.

Ma sottolinea: “Le mafie non sono statiche, ma ci assomigliano sempre di più. Esiste ancora la mafia organizzata in strutture militari che fanno paura e che chiedono il pizzo, ma la mafia di cui dobbiamo interessarci è quella evoluta, quella che ci assomiglia. È quella che vediamo nei salotti assieme alla classe dirigente, all’aristocrazia e alla borghesia. E oggi le nuove generazioni mafiose esternano il proprio potere la ricchezza, il modello vincente attraverso i social al fine di assoldare gli stolti, gli stupidi e i garzoni. Questo – aggiunge – è un tema che va studiato adesso e quindi spero che il lavoro della Fondazione Magna Grecia venga approfondito ulteriormente e comunque attualizzato, perché se questo lavoro resta fermo, tra 6 mesi comincia a essere archeologia. Nel mondo dell’informatica e della comunicazione l’attualità è il termometro del mondo criminale che è tra di noi. Non è dall’altra parte della strada“.

Gratteri conclude con un auspicio: “Bisogna spendere soldi e investire in tecnologia. In Italia abbiamo l’aerospaziale che è all’avanguardia nel mondo, o Leonardo, che ha una tecnologia molto avanzata. La sicurezza dello Stato non possiamo lasciarla agli altri o alla fortuna, perché molte volte siamo stati fortunati. Non è possibile continuare a lavorare come ora: mi chiama un collega francese o tedesco che mi dà tre, quattro tir di file che la polizia giudiziaria deve decriptare – chiosa- Questo lavoro che richiede dai 6 mesi a un anno, quando cioè il fatto è già accaduto o il carico di cocaina o armi è già arrivato da Gioia Tauro ad Amsterdam o ad Anversa. Io vorrei che l’Italia fosse all’avanguardia come è stata sempre e che ci si togliesse questa paranoia che in Italia siamo tutti intercettati. Spero insomma che nel breve periodo si voglia investire sul piano tecnologico della nostra polizia giudiziaria”.

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