La premier Meloni ha chiesto in maniera piuttosto plateale ai professionisti del fisco di scrivere insieme al governo un nuovo patto fiscale per l’Italia. Cioè si è rivolta direttamente ai quasi 100.000 fiscalisti italiani, e indirettamente ai circa due milioni dei loro clienti più facoltosi, imprenditori, professionisti e lavoratori autonomi. Non ha fatto la stessa proposta ai sindacati nell’assemblea della Cgil. Evidentemente chi rappresenta milioni di lavoratori non merita la stessa attenzione fiscale.
Veramente di questa adulazione governativa la corporazione dei fiscalisti italiani non aveva alcun bisogno dal momento che è già ampiamente rappresentata nel governo. Ricordiamo che è commercialista, dedicato da decenni alla politica, il ministro delle Finanze Giancarlo Giorgetti. Consulente fiscale di altissimo li vello, anche se non commercialista in punta di diritto, è il viceministro con delega al fisco Maurizio Leo. Commercialista di professione è invece Massimo Bitonci, l’ex-sindaco di Padova e gladiatore legista della flat tax. Diciamo che i consulenti fiscali sono rappresentati nel governo al 110%, per usare una percentuale nota a tutti. E i risultati di questa presenza si vedono, dicono i maligni.
Il patto fiscale di cui parla Meloni è già all’opera e in una direzione ben precisa. Il suo governo in pochi mesi ha fatto il pieno di condoni fiscali, superando egregiamente tutti gli altri. Inoltre ha depenalizzato reati delinquenziali gravissimi di evasione fiscale, cioè ruberie per centinaia di migliaia di euro che solo pochi altolocati in Italia possono fare, una macchia morale difficilmente cancellabile. Quindi la direzione è chiara, comprensione e perdono per chi evade e super tassazione per chi, a questo punti malvolentieri, è costretto perché lavoratore dipendente o pensionato a pagarle attraverso il sostituto d’imposta. Questo grazie, sostengono sempre i maligni, alle astuzie disegnate dai professionisti del fisco annidati nelle leve del governo. Per il resto, rimaniamo in attesa dei risultati della delega fiscale che il governo ha approvato.
Se la premier nella sua beata ignoranza fiscale avesse avuto il tempo e la voglia di documentarsi, avrebbe potuto scoprire che il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili ha già formulato una sua recentissima (settembre 2022) proposta di riordino del sistema tributario italiano. Si tratta di un documento snello dal titolo ambizioso: “Proposte di riforma e modifica del sistema tributario”. Senza entrare nel dettaglio di alcune richieste specifiche dei professionisti, molte certamente legittime, ci interessa toccare solo alcuni punti di interesse generale.
Il primo riguarda la richiesta di una “riforma complessiva dell’Irpef” per favorire i giovani, secondo il documento. L’Ordine non propone di modificare le aliquote, magari riducendole a due o ad una sola, ma solo di alzare la no-tax area e di eliminare molte detrazioni e deduzioni fiscali. Quindi nulla di particolarmente innovativo. Sui regimi sostitutivi, la flat tax degli autonomi in primo luogo, il documento è critico perché questo sistema riduce l’efficienza economica e non si propone nessuna ulteriore estensione alzando i limiti di fatturato. Una bocciatura quindi? Quasi, verrebbe da dire, certamente non una strada da proseguire secondo i consulenti fiscali.
Il secondo punto rilevante riguarda la richiesta di abolizione dell’Irap che il Consiglio Nazionale chiede a gran voce. Per compensare poi il mancato gettito si propone l’introduzione di una addizionale per i lavoratori autonomi e le imprese. Una specie gioco fiscale a somma zero, si toglie e si aggiunge cambiando la base imponibile. A prima vista, non una grande soluzione.
Questa manovra sull’Irpef e l’Irap potrebbe, secondo il documento e il condizionale è ampiamente un eufemismo, generare una notevole riduzione di gettito. Come procedere in questo caso? La soluzione, per chi si occupa di storia del fisco, è paurosamente ottocentesca cioè anacronistica, ma forse gli estensori non si sono resi conto di questo. Si propone cioè di spostare il carico fiscale dalle imposte dirette, l’Irpef, a quelle indirette, l’Iva tornando indietro di più di un secolo. L’aumento proposto dell’Iva deve avvenire, si legge, “pur con le dovute cautele per non deprimere i comuni”, dimenticando che si tratta di un’imposta fortemente regressiva, cioè iniqua perché grava di più sui redditi bassi.
C’è da notare poi che la proposta dell’aumento dell’Iva, nello specifico al 25%, e poi la sua sterilizzazione attraverso l’aumento del debito pubblico è stata una delle manovre fiscali più importanti degli ultimi anni ed è costata decine di miliardi. Quindi una manovra già bocciata dalla politica. Naturalmente nel documento non c’è alcun nessun accenno ai rimedi per ridurre la montagna dell’evasione fiscale che sembra non essere un problema cruciale per il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili. Non a caso qualcuno sostiene che qui si trovino le vestali dell’evasione.
In definitiva, concentrandoci solo sulla parte squisitamente fiscale e tralasciando altri argomenti pure importanti come i pagamenti della PA oppure le misure di sostegno per il lavoro autonomo o i rapporti con gli uffici finanziari, le proposte dell’Ordine non sembrano così rivoluzionarie. La riforma dell’Irpef non richiede nessun ritocco delle aliquote e l’abolizione dell’Irap va compensata con nuove addizionali e si tornerebbe al sistema precedente. Molto problematica è invece la proposta di tornare all’idea ottocentesca di tassare i consumi invece che i redditi. Nel caso in cui questo non fosse sufficiente rimane sempre la via d’uscita dell’aumento del debito pubblico, di cui il documento sembra disinteressarsi.
Non so se in fin dei conti la premier e i suoi consulenti fiscali governativi saranno molto d’accordo sull’aumento dell’Iva come soluzione per i molti problemi del fisco italiano. Intanto c’è una buona notizia su questo fronte: la fatturazione elettronica ha finalmente aumentato il suo gettito. Ciò che non può il debole senso morale italico, è realizzato dalla sapienza tecnologica. A volte si rischia di essere noiosi ma ricordare che l’evasione fiscale in Italia è di 100 miliardi e che riguarda solo alcune corporazioni economiche non fa male, e anche il documento degli esperti fiscali poteva impegnarsi un po’ di più su questo punto. Il loro aiuto è decisivo ma non nella direzione della melonieconomics della piena accettazione dell’evasione come nuova normalità nei rapporti con il fisco, naturalmente per chi può.
Altrimenti basta dirlo: dal dovere fiscale per tutti possiamo passare al diritto di evadere, anche qui però per tutti.