“Sono una persona curiosa, mi annoio facilmente e devo sempre provare esperienze nuove. Forse è per questo che mi ritrovo in Cina da tre anni”. Barbara Delprete, 47 anni, vive a Shenzhen dal 2020, dove insegna matematica in un college. “Quando nasci, cresci, studi e ti laurei in Puglia sai già che, per trovare un lavoro minimamente decente, devi andare via. Lontano”.
Nata e cresciuta in provincia di Taranto, una laurea in matematica, ha lasciato un contratto a tempo indeterminato in una multinazionale della sua città, è approdata nell’esercito (“al concorso mi piazzai seconda su 11mila, c’erano molte domande di logica e matematica”) da cui si è congedata dopo tre anni di servizio. “Ho lasciato per la prima volta la mia terra nel 2009 per lavorare come sviluppatrice software a Milano”. Destinazione Londra. “Non sono scappata dall’Italia: avevo un lavoro ben pagato, una bella casa, una buona vita – spiega al fatto.it –. Ero solo curiosa, volevo fare un’esperienza all’estero e l’Inghilterra era la soluzione più facile per via della lingua”.
Nel 2012 Barbara approfitta delle borse di studio governative inglesi per ottenere un post-graduate e accedere così alla professione di insegnante. L’intenzione iniziale era quella di rimanere un anno per poi tornare a lavorare nel campo informatico in Italia. “E invece sono rimasta 7 anni”. Per Barbara vivere in Inghilterra significava avere mezzi di trasporto sempre in orario, luoghi pubblici puliti e sicuri, vedere persone che raramente trasgrediscono le regole (“il più delle volte lo fa perché ha alzato il gomito, non perché siano inclini alla mancanza di rispetto”). Eppure, nonostante la sua vita avesse raggiunto una certa stabilità, non era quello il posto dove voleva restare. “Ho comprato un appartamento, ottenuto la cittadinanza e il passaporto, ma non mi sono sentita mai a casa”.
Nel 2020, anche a causa degli “effetti della Brexit”, Barbara decide di cambiare aria e, dopo una selezione durante una international job fair, riceve un’offerta di lavoro per Shenzhen. Parte, in piena pandemia, per la città da 14 milioni di abitanti nel sud della Cina, dove oggi insegna in un college privato. È una metropoli che offre tantissimi stimoli: mostre d’arte, ristoranti di ogni tipo, esibizioni, esposizioni, e tantissimi parchi. “Ne hanno censiti 1.200 – dice – ma sono in continuo aumento”. Quando arriva il week-end, dice, “abbiamo solo l’imbarazzo della scelta: possiamo andare a fare surf nell’oceano, oppure a sciare sulla neve (finta ovviamente, visto che la zona è subequatoriale)”. L’unico ostacolo è stato il covid: per essere autorizzata ad arrivare in Cina in piena pandemia, Barbara ha ottenuto una lettera dal governo cinese che attestava la sua professionalità altamente specializzata, di cui il Paese aveva fortemente bisogno in quel periodo, in modo da ottenere in via del tutto speciale il visto, che allora, dato il periodo, non veniva concesso se non a particolari categorie di persone. “All’arrivo, ho trascorso due settimane in quarantena in un hotel centralizzato in completo isolamento – ricorda –. Per tre volte al giorno dovevamo comunicare la nostra temperatura”.
Anche in Cina negli ultimi anni si è sviluppata “la psicosi dello straniero”, aggiunge Barbara. “In tv dicevano che il virus era strettamente sotto controllo e i nuovi casi erano quelli importati da stranieri in transito – continua –. Le persone mi guardavano con sospetto e a volte non riuscivo a prendere un taxi”. Il lockdown in città è durato “un paio di mesi”, e tutti gli abitanti “sono stati sottoposti a un tampone al giorno” e “tracciati con una App”. Le restrizioni sono state poi definitivamente abolite a dicembre scorso. Oggi Barbara vive nel campus dove insegna: raggiunge le aule con l’ascensore direttamente dall’uscio di casa. Un “grandissimo sollievo” per lei, dopo anni passati in auto per percorrere “pochissimi chilometri in tempi assurdi”, soprattutto l’ultimo durante il quale “andavo nella direzione di Londra con traffico a passo d’uomo”.
Per lei la differenza più grande tra Italia e Cina sta nella percezione del mondo, ci spiega Barbara. “I miei amici e colleghi vengono da Zambia, Filippine, Azerbaigian, oltre che dall’Europa, Stati Uniti, Australia, India. Qui capisci veramente che il tuo modo di vivere, di pensare, di percepire la realtà, di rivolgerti agli altri, di pregare Dio, è solo un granello di sabbia in mezzo a un mare di altre opzioni”.
Al momento nulla potrebbe spingerla a rientrare in Italia, “purtroppo”. “Io ci ho provato a restare – continua con un pizzico di rammarico -: ho lavorato per tre anni per una multinazionale taiwanese che operava a Taranto e per qualche mese in una azienda che amava definirsi la più grande impresa informatica del Mezzogiorno. Entrambe offrivano contratti e stipendi ridicoli, basati sulla teoria del ‘devi dirci anche grazie perché ti offriamo un lavoro’”.
In Cina è diverso. “So che la nostra cultura è molto lontana da quella cinese, ma forse dovremmo imparare da loro che impegno e sacrificio nei primi venti anni di vita garantiscono soddisfazioni enormi negli anni successivi”. I ragazzi cinesi, aggiunge, sono bravissimi con la matematica, soprattutto se provengono da scuole pubbliche. Molti riescono a iscriversi a prestigiose università americane. Quando Barbara legge di laureati in Italia che accettano il posto da netturbino pur di restare nella propria città resta “sconvolta”: “Bisogna inseguire le proprie passioni, dovessero portare in capo al mondo. E studiare tanto”. In Italia e, nel Mezzogiorno in particolare, conclude Barbara, “è difficile vivere dignitosamente”. Eppure il nostro “è un Paese meraviglioso: il clima, il cibo, la cultura, la storia, il calore della gente: tutto bellissimo. Per trascorrerci le vacanze, però”.
Cervelli in fuga
“In piena pandemia mi sono trasferita in Cina per insegnare. Ero a Londra da 7 anni, ma non mi ero mai sentita a casa”
“Sono una persona curiosa, mi annoio facilmente e devo sempre provare esperienze nuove. Forse è per questo che mi ritrovo in Cina da tre anni”. Barbara Delprete, 47 anni, vive a Shenzhen dal 2020, dove insegna matematica in un college. “Quando nasci, cresci, studi e ti laurei in Puglia sai già che, per trovare un lavoro minimamente decente, devi andare via. Lontano”.
Nata e cresciuta in provincia di Taranto, una laurea in matematica, ha lasciato un contratto a tempo indeterminato in una multinazionale della sua città, è approdata nell’esercito (“al concorso mi piazzai seconda su 11mila, c’erano molte domande di logica e matematica”) da cui si è congedata dopo tre anni di servizio. “Ho lasciato per la prima volta la mia terra nel 2009 per lavorare come sviluppatrice software a Milano”. Destinazione Londra. “Non sono scappata dall’Italia: avevo un lavoro ben pagato, una bella casa, una buona vita – spiega al fatto.it –. Ero solo curiosa, volevo fare un’esperienza all’estero e l’Inghilterra era la soluzione più facile per via della lingua”.
Nel 2012 Barbara approfitta delle borse di studio governative inglesi per ottenere un post-graduate e accedere così alla professione di insegnante. L’intenzione iniziale era quella di rimanere un anno per poi tornare a lavorare nel campo informatico in Italia. “E invece sono rimasta 7 anni”. Per Barbara vivere in Inghilterra significava avere mezzi di trasporto sempre in orario, luoghi pubblici puliti e sicuri, vedere persone che raramente trasgrediscono le regole (“il più delle volte lo fa perché ha alzato il gomito, non perché siano inclini alla mancanza di rispetto”). Eppure, nonostante la sua vita avesse raggiunto una certa stabilità, non era quello il posto dove voleva restare. “Ho comprato un appartamento, ottenuto la cittadinanza e il passaporto, ma non mi sono sentita mai a casa”.
Nel 2020, anche a causa degli “effetti della Brexit”, Barbara decide di cambiare aria e, dopo una selezione durante una international job fair, riceve un’offerta di lavoro per Shenzhen. Parte, in piena pandemia, per la città da 14 milioni di abitanti nel sud della Cina, dove oggi insegna in un college privato. È una metropoli che offre tantissimi stimoli: mostre d’arte, ristoranti di ogni tipo, esibizioni, esposizioni, e tantissimi parchi. “Ne hanno censiti 1.200 – dice – ma sono in continuo aumento”. Quando arriva il week-end, dice, “abbiamo solo l’imbarazzo della scelta: possiamo andare a fare surf nell’oceano, oppure a sciare sulla neve (finta ovviamente, visto che la zona è subequatoriale)”. L’unico ostacolo è stato il covid: per essere autorizzata ad arrivare in Cina in piena pandemia, Barbara ha ottenuto una lettera dal governo cinese che attestava la sua professionalità altamente specializzata, di cui il Paese aveva fortemente bisogno in quel periodo, in modo da ottenere in via del tutto speciale il visto, che allora, dato il periodo, non veniva concesso se non a particolari categorie di persone. “All’arrivo, ho trascorso due settimane in quarantena in un hotel centralizzato in completo isolamento – ricorda –. Per tre volte al giorno dovevamo comunicare la nostra temperatura”.
Anche in Cina negli ultimi anni si è sviluppata “la psicosi dello straniero”, aggiunge Barbara. “In tv dicevano che il virus era strettamente sotto controllo e i nuovi casi erano quelli importati da stranieri in transito – continua –. Le persone mi guardavano con sospetto e a volte non riuscivo a prendere un taxi”. Il lockdown in città è durato “un paio di mesi”, e tutti gli abitanti “sono stati sottoposti a un tampone al giorno” e “tracciati con una App”. Le restrizioni sono state poi definitivamente abolite a dicembre scorso. Oggi Barbara vive nel campus dove insegna: raggiunge le aule con l’ascensore direttamente dall’uscio di casa. Un “grandissimo sollievo” per lei, dopo anni passati in auto per percorrere “pochissimi chilometri in tempi assurdi”, soprattutto l’ultimo durante il quale “andavo nella direzione di Londra con traffico a passo d’uomo”.
Per lei la differenza più grande tra Italia e Cina sta nella percezione del mondo, ci spiega Barbara. “I miei amici e colleghi vengono da Zambia, Filippine, Azerbaigian, oltre che dall’Europa, Stati Uniti, Australia, India. Qui capisci veramente che il tuo modo di vivere, di pensare, di percepire la realtà, di rivolgerti agli altri, di pregare Dio, è solo un granello di sabbia in mezzo a un mare di altre opzioni”.
Al momento nulla potrebbe spingerla a rientrare in Italia, “purtroppo”. “Io ci ho provato a restare – continua con un pizzico di rammarico -: ho lavorato per tre anni per una multinazionale taiwanese che operava a Taranto e per qualche mese in una azienda che amava definirsi la più grande impresa informatica del Mezzogiorno. Entrambe offrivano contratti e stipendi ridicoli, basati sulla teoria del ‘devi dirci anche grazie perché ti offriamo un lavoro’”.
In Cina è diverso. “So che la nostra cultura è molto lontana da quella cinese, ma forse dovremmo imparare da loro che impegno e sacrificio nei primi venti anni di vita garantiscono soddisfazioni enormi negli anni successivi”. I ragazzi cinesi, aggiunge, sono bravissimi con la matematica, soprattutto se provengono da scuole pubbliche. Molti riescono a iscriversi a prestigiose università americane. Quando Barbara legge di laureati in Italia che accettano il posto da netturbino pur di restare nella propria città resta “sconvolta”: “Bisogna inseguire le proprie passioni, dovessero portare in capo al mondo. E studiare tanto”. In Italia e, nel Mezzogiorno in particolare, conclude Barbara, “è difficile vivere dignitosamente”. Eppure il nostro “è un Paese meraviglioso: il clima, il cibo, la cultura, la storia, il calore della gente: tutto bellissimo. Per trascorrerci le vacanze, però”.
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“Vivo da freelance su un’isola delle Filippine, circondata dalle palme. In Italia non riuscirei più a riadattarmi”
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Dai cantieri per il Giubileo alla censura a Tony Effe: la Roma di Gualtieri fa schifo o è caput mundi?
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Open Arms, accusa e difesa a confronto. Per i pm “migranti sequestrati, libertà lesa”. Avvocata Bongiorno: “No, potevano scendere”
Milano, 20 dic. - (Adnkronos) - “La Value Creation è l'insieme di operazioni che vengono applicate nel momento in cui un private equity prende una portfolio company per aumentare il valore della stessa durante il periodo in cui la detiene. È molto importante perché è in continua evoluzione, soprattutto in quest'ultimo periodo. Se guardiamo agli ultimi due anni, il private equity ha dovuto affrontare molte sfide: la disruption della supply chain, una situazione macroeconomica piuttosto complessa, un costo del debito variabile e in aumento, perlomeno a fino a qualche mese fa, e ha dovuto affrontare dei multipli piuttosto volatili”.
Lo afferma Michele D’Angelo, private equity value creation leader di EY Italia, illustrando il significato di ‘value creation’ e raccontando l’impegno di EY in questo campo, in occasione della cerimonia di premiazione della XXI edizione del Premio Claudio Dematté Private Equity of the Year, tenutasi al Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo Da Vinci di Milano. L’edizione 2024 del riconoscimento è stata organizzata dall'Aifi - Associazione italiana del private equity, con il supporto di EY.
“In questo contesto, il modo stesso di fare Value Creation ha subito gli influssi di questi effetti e di queste trasformazioni. Se fino a due anni fa la creazione di valore veniva fatta principalmente con la leva finanziaria - spiega - oggi la trasformazione operativa diventa sempre più importante. Noi in EY abbiamo visto questo trend di trasformazione”.
“Stiamo accompagnando il portfolio company in modo sempre più innovativo rispetto al passato. Affianchiamo le classiche metodologie delle operations improvement: manufacturing improvement, supply chain, acquisti e pricing, con il mondo della tecnologia e il mondo dell’Artificial Intelligence, che sono sempre più integrati. Il nostro stesso approccio agli Esg è molto cambiato nel tempo, ora è diventato una vera e propria leva di creazione valore applicata quasi a tutti i nostri processi formativi”, conclude.
Palermo, 20 dic. (Adnkronos) - E' arrivato in aula, al bunker del carcere Pagliarelli di Palermo, Oscar Camps, il fondatore della ong spagnola, che nell'agosto del 2019 soccorse i 147 migranti rimasti a bordo per quasi due settimane dopo il no allo sbarco dell'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini. Il vicepremier è accusato di sequestro di persona e di rifiuto di atti di ufficio. L'accusa ha chiesto 6 anni di carcere per il ministro dei Trasporti.
Palermo, 20 dic. (Adnkronos) - Il vicepremier Matteo Salvini è appena arrivato all'aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo per l'ultima udienza del processo Open Arms, in attesa della sentenza prevista per oggi. Salvini, che non ha rilasciato dichiarazioni, è arrivato con l'avvocata Giulia Bongiorno, la sua legale. Gli operatori tv e i fotografi sono stati lasciati fuori dal cancello del bunker.
Palermo, 20 dic. (Adnkronos) - La Polizia di Stato di Catania – su delega di questa Procura Distrettuale della Repubblica - Direzione Distrettuale Antimafia, ha eseguito, con l’impiego dei poliziotti della Squadra Mobile della Questura di Catania e del Commissariato di P.S. Adrano, sotto il coordinamento della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato, un’ordinanza di applicazione di misura cautelare emessa dal GIP del Tribunale di Catania a carico di 20 destinatari della custodia in carcere in quanto gravemente indiziati, con differenti profili di responsabilità e allo stato degli atti, dei delitti di associazione di tipo mafioso (clan Scalisi di Adrano), estorsione, traffico di sostanze stupefacenti e porto e detenzione illecita di armi da sparo, tutti reati aggravati dalla finalità di agevolare l’associazione mafiosa di appartenenza.
La misura cautelare compendia gli esiti di un’articolata indagine sul clan Scalisi di Adrano (Catania), articolazione territoriale nel predetto Comune del clan Laudani di Catania, che ha documentato il riassetto dei ruoli apicali e l’attuale organigramma del sodalizio mafioso.
Oltre all’organigramma del sodalizio, "l’indagine ha permesso di avere contezza dei delitti posti in essere dagli affiliati al clan Scalisi, tra cui numerose estorsioni, commesse nella tipica forma mafiosa del pizzo, in pregiudizio di commercianti ed imprenditori adraniti costretti a pagare mensilmente somme di denaro agli esattori dell’organizzazione mafiosa". Ulteriori ed inediti dettagli verranno illustrati nel corso di una conferenza stampa prevista per le ore 10:30 presso la sala stampa della Procura della Repubblica presso il Tribunale, viale XX settembre 51, Catania.
Palermo, 20 dic. (Adnkronos) - I giudici di Palermo del processo Open Arms, che vede imputato il vicepremier Matteo Salvini per sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio, questa mattina all'apertura dell'udienza, non entreranno subito in Camera di consiglio. I pm che rappresentano l'accusa nel processo e che hanno chiesto per Salvini la condanna a sei anni di carcere, come si apprende, faranno "brevi repliche", dopo l'arringa difensiva ad opera dell'avvocata Giulia Bongiorno dello scorso 18 ottobre, legale di Salvini. Sarà un intervento in punta di diritto in cui la Procuratrice Marzia Sabella, che rappresenta l'accusa con i pm Geri Ferrara e Giorgia Righi, spiegherà perché secondo la Procura Salvini dovrebbe essere condannato per non avere permesso, nell'agosto de l2019, lo sbarco di 147 migranti al porto di Lampedusa.
Lo scorso 14 settembre, al termine della requisitoria, la Procura chiese sei anni di carcere affermando: “Non si può invocare la difesa dei confini senza tenere conto della tutela della vita umana in mare”. Secondo l’accusa “le posizioni e le scelte del ministro Matteo Salvini diedero luogo a un caos istituzionale, una situazione che avrebbe portato ad approntare soluzioni di fortuna. A ritrovarsi in una condizione di estrema difficoltà fu la Guardia costiera che non poteva premere su un ministero da cui non dipendeva”. Ma i pm hanno anche sottolineato che questo “non è un processo politico, bensì basato sugli atti amministrativi”.
Ieri sera, arrivato a Palermo, Salvini ha fatto una diretta sui social in cui ha annunciato: “In caso di condanna ricorreremo in appello perché la riterrei una profonda ingiustizia e un danno non a me, ma al Paese”. L'udienza inizierà alle 9.30 all'aula bunker Pagliarelli di Palermo.
Roma, 19 dic (Adnkronos) - "La Corte di Cassazione ha stabilito in maniera chiara e netta che la competenza di decidere se un Paese è o meno sicuro spetta al governo. Quindi non i singoli giudici. La conferma che il governo Meloni aveva ragione e che le sentenze con cui i giudici hanno annullato i trasferimenti in Albania dei migranti sbarcati illegalmente sulle nostre coste erano sbagliate. Cosa diranno adesso Schlein e gli altri esponenti delle opposizioni, insieme alla grancassa dei loro house organ, dinanzi a questa sentenza che decreta il loro ennesimo fallimento? Per quanto ci riguarda continuiamo ad andare avanti, consapevoli che tutta l’Europa guarda all’Italia come un modello nel contrasto all’immigrazione illegale”. Lo dichiara il presidente dei senatori di Fratelli d’Italia Lucio Malan.
Roma, 19 dic (Adnkronos) - "Hai fatto la cosa giusta". Così, su Twitter, Elon Musk replica al commento che Matteo Salvini aveva fatto al post del patron di Tesla sul caso Open arms.