“La divisa l’hanno sporcata loro, i carabinieri che hanno agito quella notte. Io non l’ho nemmeno sfiorata”. Così Giuseppe Gulotta sintetizza la vicenda di cui è stato suo malgrado protagonista: condannato all’ergastolo come autore della strage di Alcamo Marina nel gennaio del 1976, in cui furono uccisi due giovanissimi militari dell’Arma, ha passato 36 anni tra il carcere e i domiciliari da innocente. Solo nel 2012 la Corte d’Appello di Reggio Calabria lo ha assolto con formula piena dopo un costoso processo di revisione, ritenendo provate le torture e le sevizie inflitte dagli investigatori per estorcergli una confessione.
Pochi giorni fa Gulotta era ospite della Camera penale Vittorio Chiusano di Torino e ha raccontato la sua storia agli studenti nell’ambito del convegno intitolato Il rovescio del diritto. Accanto a lui c’era il legale fiorentino Pardo Cellini, colui che ha raccolto i verbali e le intercettazioni poi portati in Cassazione per chiedere la revisione.
“Loro mi dettavano il racconto, io mi limitavo a dire sì. Un ‘Non lo so’ era tabù, non si poteva dire, erano schiaffi”, ha raccontato ricordando quei giorni di gennaio del 1976, quando dopo le torture dei militari firmò un verbale in cui si autoaccusava del duplice omicidio. E ancora: “Quando fui portato in carcere, un secondino vide i segni che avevo in faccia e mi chiese cosa fosse successo. Stavo per raccontare la verità, ma il carabiniere che avevo accanto mi interruppe e disse che ero scivolato su una buccia di banana ed ero caduto”. Un depistaggio che inizia al momento dell’arresto, perché il verbale porta l’orario sbagliato. “Scrissero che mi avevano arrestato alle 5 del mattino, invece sono venuti a casa mia la sera prima”, ha dichiarato.
A chiamare in causa Giuseppe Gulotta, Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli fu un loro conoscente, Giuseppe Vesco, che quando provò a ritrattare fu trovato impiccato in cella. Prima di morire, nelle lettere dal carcere lo stesso accusatore parla delle torture per mano dei militari. Il caso è stato riaperto solo nel 2007 grazie all’intervento di Renato Olino, un brigadiere in pensione che aveva assistito agli abusi e che già prima di quella data li aveva denunciati all’Arma senza esito.
“Olino è stato anche indagato per possesso illecito di armi dopo aver rivelato quello che successe ad Alcamo. Quindi non solo non è stato creduto, ma c’è stata anche una reazione. È stato considerato inattendibile nei processi, ma non è mai stato indagato per falsa testimonianza. Gli altri carabinieri si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Tutto porta a ritenere che ci sia una regia dietro tutto questo”, ha dichiarato il legale Cellini, che si batte per valorizzare l’istituto della revisione e affinché la ricerca delle prove a discarico non sia appaltata solo ai difensori.