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Elezioni in Thailandia: clamorosa vittoria dell’opposizione, sconfitto il regime di Prayuth Chan-ocha

La popolazione thailandese ha detto un chiaro ‘basta’ al regime di Prayuth Chan-ocha nato dal golpe del 2014. A conteggio dei voti concluso, la Commissione elettorale ha certificato stamattina la clamorosa vittoria del partito di opposizione Move Forward (nella foto il leader Pita Limjaroenrat), che ha ottenuto 151 seggi sui 500 in palio alla Camera nelle elezioni legislative di ieri. Il secondo partito, con 141 seggi, è il Puea Thai, che aveva vinto ogni elezione dal 2001 a oggi e per due volte era stato spodestato da un colpo di stato. Per i partiti della coalizione di governo uscente è stata una disfatta: il Bhumjaithai ha conquistato 71 seggi, il Palang Pracharat 40, e il nuovo movimento del premier uscente Prayuth solo 36. Per formare un governo, che verrà eletto dalle Camere riunite, serviranno 376 voti. Il Senato di 250 membri è però interamente nominato dall’esercito, e il Move Forward ha sempre dichiarato di non voler mai scendere a patti con i militari e i partiti che hanno sostenuto il generale Prayuth dopo il golpe del 2014.

La notte elettorale – Lo spoglio ha certificato un iniziale testa a testa tra il Puea Thai dell’ex premier Thaksin Shinawatra, forte dei suoi tradizionali feudi nelle campagne nel nord, e il progressista Move Forward, che ha fatto breccia tra i giovani e va verso un quasi cappotto nei 33 seggi in palio nella capitale Bangkok. Nei 400 seggi della Camera assegnati col metodo maggioritario, i due partiti erano in virtuale pareggio con circa il 23% a testa; ma nel voto di lista, con cui si assegneranno i rimanenti 100 seggi, il Move Forward è in clamoroso vantaggio, con oltre il 31% delle preferenze.

Per la coalizione del governo uscente si è profilata invece una disfatta. Il terzo partito è il Bhumjaithai, che di quella alleanza faceva parte; il polo conservatore Palang Pracharat ha pagato cara la divisione tra il premier Prayuth, il cui nuovo partito è solo quinto nel conteggio, e il vicepremier uscente Prawit Wongsuwon, al momento quarto. Se dovessero accordarsi, e hanno già lanciato segnali di dialogo, il Move Forward e il Puea Thai riuscirebbero probabilmente a mettere insieme una maggioranza alla Camera. Ma per i risultati ufficiali bisognerà attendere giorni. Soprattutto, si prevedono settimane di negoziazioni dietro le quinte per i voti dei 250 senatori nominati dall’esercito, imprescindibili per arrivare all’elezione del premier a Camere riunite. Già nel 2019 quei voti consentirono a Prayuth di costruire una coalizione con svariati partiti minori escludendo il Puea Thai, all’epoca primo partito.

La volontà di riforme della popolazione è però ora talmente maggioritaria che escludere i due partiti più popolari sarebbe un clamoroso schiaffo alla democrazia, anche in un Paese dove disuguaglianze e soprusi dell’establishment sono tradizionalmente accolti con passività. Non va però sottovalutata la volontà di rimanere influente a ogni costo dell’élite monarchica abituata a comandare, che vede l’emergere del Move Forward come una minaccia esistenziale: il partito chiede infatti di limitare l’influenza dell’esercito e persino di riformare la legge di lesa maestà, usata per punire gli attivisti democratici in un Paese in cui il re è considerato semi-divino.

Per uscire da questa contrapposizione tra due campi, potrebbe emergere anche un governo di coalizione ibrido. Già in campagna elettorale si ventilava l’ipotesi di un accordo tra Thaksin e importanti esponenti del governo uscente (in particolare l’ex generale Prawit, grande manovratore del Senato), che permetterebbe all’ex premier di rientrare dall’auto-esilio senza passare dal carcere per scontare una condanna risalente al 2008. Per vent’anni è stato lui la nemesi dei conservatori, timorosi di essere rimpiazzati dal suo campo negli apparati di potere. Ma il fatto che tra le nuove generazioni e nella capitale spopoli il Move Forward, con le sue richieste radicali, potrebbe convincere l’élite che il 73enne Thaksin, tra i due, sia ormai il male minore.