“È scattata una surreale celebrazione funebre in vita a cui onestamente non mi sento ancora di partecipare”. Dopo aver rivelato di essere malata di cancro, lo ha fatto poche settimane fa in una lunga intervista al Corriere della Sera, Michela Murgia è tornata a parlare – o meglio a scrivere – della sua malattia e ciò che la notizia ha innescato. E lo fa con il suo stile sarcastico, ma al tempo stesso molto profondo, con un pezzo pubblicato su La Stampa in cui spiega come stanno le cose e perché non vuole che la malattia la eroda. “Mi è successa una cosa buffa: sono diventata il gatto di Schrödinger, quello contemporaneamente vivo e morto. Annunciare una malattia e il suo decorso di ormai un anno e mezzo ha fatto scattare una surreale celebrazione funebre in vita a cui onestamente non mi sento ancora di partecipare con lo slancio ammirevole che ho notato in alcuni commentatori”, scrive oggi la Murgia.
“Mi interessa invece che la mia malattia, che erode il mio tempo, non eroda anche il mio senso e quello delle cose che ho fatto negli ultimi mesi, una delle quali è stato scrivere un libro che no, mi dispiace deludere i cacciatori di morbosità, non è sul mio cancro. Non leggo libri sul cancro altrui, meno che mai ne scriverei”, precisa la scrittrice spiegando com’è nato Tre Ciotole, il suo ultimo romanzo, e di cosa parla. “Il cancro in sé è un tema solo se si è oncologi a un congresso specialistico. Il romanzo che ho scritto parla invece di crisi ineluttabili e di come a volte la migliore soluzione per uscirne sia restarci dentro. La madre di tutte le crisi in questi ultimi tre anni è stata la stessa per tutti: la pandemia, ma per la maggior parte delle persone che conosco la pandemia non è mai esistita. Non che non la ricordino, semplicemente non vogliono più sentirne parlare”.
Nel frattempo, attraverso una serie di post sul suo profilo Instagram, la Murgia continua a parlare della sua famiglia queer non tradizionale e poche ore fa ha rivelato di condividere da molti anni la maternità con Claudia, una architetta, con cui forma una coppia omogenitoriale. “Da dodici anni condividiamo un figlio, Raphael”, scrive riferendosi a un ragazzo che appare spesso nelle foto con lei. Proprio Raphael, quando aveva nove anni, ha preso per mano la Murgia e le ha detto: “Non voglio che te ne vai mai più”. È iniziata a quel punto una maternità condivisa, non riconosciuta delle leggi e non tradizionale, visto che nel frattempo la Murgia ha divorziato e Claudia si è sposata. “Abbiamo vissuto tante cose insieme, ma una cosa non è mai cambiata: siamo rimaste le madri di Raphael”, rivela. “È stato facile? Sì e no. La parte facile l’ha fatta lui, che ha un’intelligenza emotiva che noi neanche dopo una vita di analisi. La parte difficile l’hanno fatta gli altri. Parentado biologico diffidente, quando non ostile. Compagni giudicanti. Conoscenti morbosi. Mille spiegazioni”, prosegue, ammettendo che le preoccupazioni continuano a non mancare. “C’è la paura che a una dogana qualcuno ti chieda perché viaggi all’estero con un minorenne che non è tuo figlio. La certezza che non puoi andarlo a prendere a scuola, perché non sei nessuno. La preoccupazione che a lei succeda qualcosa e tu non possa dire: ci sono anche io. O che succeda qualcosa a te e lui non possa dire: era mia madre. Ci siamo nascoste per anni, madri in casa, amiche fuori, per far stare tranquillo il mondo. Poi un anno e mezzo fa mi sono ammalata ed è cambiato tutto”.