Né passi avanti, né passi indietro. È questo il verdetto sulla sostenibilità ambientale dell’Italia. Oggi cade il nostro Country Overshoot Day, cioè il giorno che segna il virtuale esaurimento delle risorse a nostra disposizione per il 2023. La data coincide con quella del 2022 e cade ben 230 giorni prima della fine dell’anno. Nonostante non ci sia un peggioramento, il nostro debito ecologico rimane comunque altissimo, soprattutto se confrontato a quello di Paesi meno abbienti o più virtuosi come la Jamaica, Cuba o l’Ecuador. Se tutta l’umanità sfruttasse il Pianeta in questo modo, avrebbe bisogno di quasi 3 Terre e di almeno 5 Italie.

A rendere noto il calendario della vergogna dal 2006 è il thank tank Global Footprint Network. Anche nel 2023, il primo Paese a superare la soglia critica è stato il Qatar, il 10 febbraio. Anche l’anno scorso Doha aveva tagliato il traguardo dello sfruttamento per primo, a causa della contestata organizzazione del Mondiale di calcio Nonostante l’abbondanza di beni naturali, enormemente superiore a quella del piccolo Stato desertico, Stati Uniti, Belgio, Canada, Australia e Danimarca hanno finito le loro quote già a marzo. Mentre hanno anticipato di qualche giorno l’Italia, la Germania (4 maggio) e la Francia (5 maggio). La più vicina alla scadenza naturale è la Jamaica (20 dicembre 2023), anche se ci sono popolazioni che non raggiungono l’Overshoot e che, anche se in misura limitata, contribuiscono a riequilibrare la bilancia terrestre.

Il calcolo si basa sulle statistiche raccolte dalle Nazioni Unite nel National Footprint and Biocapacity Accounts, su diverse attività: dall’agricoltura, all’edilizia, alla produzione di energia, alle emissioni di gas serra, fino alla gestione di ambienti urbani e delle foreste. Queste però comprendono solo il periodo tra il 1961 e il 2018. Quindi non risentono, spiega il Network, delle conseguenze della guerra in Ucraina e della pandemia di Covid-19. Per riempire i buchi nella rendicontazione, si utilizzano anche i database del Global Carbon Project e l’International Energy Agency. Da essi gli esperti traggono due misure fondamentali: quella della biocapacità, cioè la percentuale di risorse naturali che gli ecosistemi di un Paese sono in grado di generare, incluse le emissioni che riescono ad assorbire; l’impronta ecologica (carbon footprint), in altre parole, i consumi delle azioni umane, come l’alimentazione o l’occupazione del suolo. Quando la domanda supera l’offerta, si crea una situazione di deficit ecologico, la stessa nella quale si trova anche l’Italia. La nostra biocapacità pro capite ammonta infatti a 0,8 Gha (ettari globali), ma ne usiamo ben 4,3 a testa, cioè 3,5 in più di quelli che dovremmo.

Il debito del nostro Paese è cresciuto nel corso del tempo. Nel 1961, quando è stato eseguito il primo monitoraggio, la carbon footprint per persona era di 2,4 Gha, a fronte di una biocapacità di 1 Gha. La forbice ha toccato la sua massima ampiezza nel 2006, quando abbiamo sfruttato 5,8 ettari globai, con conseguenze visibili. Dopo il 2010 sono gradualmente diminuiti i beni ecosistemici a nostra disposizione. Nonostante i consumi pro capite siano diminuiti, con il nostro ritmo attuale, se non potessimo contare sulle importazioni di materie prime dagli altri Stati, avremmo bisogno di 5,2 Italie (Ultimi dati disponibili: 2022). Fa peggio solo il Giappone, che per soddisfare la sua spesa ambientale necessiterebbe di 8 Stati. I prossimi Paesi sul calendario del Global Footprint Network sono Regno Unito (19 maggio) e Cina (1 giugno 2023). Il prossimo 5 giugno invece, in occasione della Giornata internazionale dell’ambiente, sarà annunciato l’Earth Overshoot day. Nel 2022 è caduta il 28 luglio, ma le notizie disponibili sull’erosione delle coste, la desertificazione del suolo, la deforestazione e la ridotta produttività dei terreni agricoli non lasciano prevedere un esito migliore. Si tratterà probabilmente del 27 luglio, a questo ritmo, consumiamo 1,7 pianeti in più di quello che abbiamo a disposizione.

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