Musica

Bono al San Carlo di Napoli: evento storico. Ma l’icona rock in veste di predicatore non convince tutti

Napoli, campione di rock. La trilogia ministro/sindaco/prefetto (Manfredi/Sangiuliano/Palomba) funziona alla grande. Siamo campioni anche di ordine pubblico. E di file. Il Teatro San Carlo rivestito di nuova luce conferisce una magia particolare ai racconti di vita di Bono. Gli arrangiamenti delle canzoni sono perfetti per le atmosfere del più bel teatro lirico del mondo. Canta le sue hit più famose rilette in chiava acustica (Sunday bloody Sunday, Desire, Beautiful day…) e parla tanto. Della sua battaglia contro la povertà: “Non è un male naturale, è creata dall’uomo…”. La formula è quella del reading musicale per promuovere la sua ricca autobiografia “Stories of Surrender”.

Ma non piace a tutti. Per i rockettari più sfegatati è come andare allo stadio per vedere il goleador Osimhen e invece te lo ritrovi in campo a giocare a biliardino. Magari è un fuoriclasse anche nel calciobalilla, ma non vai allo stadio per quello.

La macchina marketing ha funzionato, al netto di quattro ore di fila. Ma quanto siamo stati bravi noi napoletani: la prima ora abbondante se ne va in mattinata per ritirare il biglietto (pagatissimo 253 euro, 300 in platea) e ti consegnano anche il braccialetto anti imbucamento, alle 18 la coda parte da Palazzo Reale per avere accesso al teatro e farsi sigillare il telefonino per impedire di infastidire lo show con squilli, selfie, video… Ancora 45 minuti di fila per una bollicina di prosecco, solo 3 camerieri a servire. Ce ne volevano almeno 15. Bisognava pure ammazzare il tempo, privati della nostra terza mano, il cellulare, ho visto visi smarriti: e adesso cosa ci diciamo? Mancanza di spunti di conversazioni. E coda per accaparrarsi l’ultimo gadget di Bono, t-shirt e libro. Raggiungo finalmente la mia postazione, sono stragrata alla mia beniamina, lei non poteva sapere che il “sistema” mi avrebbe assegnato la terza fila del quarto palco, vista sulla spalla di chi era seduto davanti a me.

Entra in scena Bono e gli bastano 40 secondi per mandare il pubblico in fibrillazione. L’inizio è uno sballo, poi tra un Vertigo e un With or without you, una dichiarazione d’amore alla moglie seduta in platea, un grazie a Luciano Pavarotti che l’ha voluto a “Pavarotti & Friends” e il padre, dilettante tenore, non ci poteva credere. Ma per chi invece voleva ascoltare le sue memoires solo una piccola parte era tradotta in italiano in sovrimpressione, per chi l’inglese lo masticava poco rimaneva la potenza della voce che incanta anche se recita l’elenco del telefono.

Una modesta considerazione: se per grazia ricevuta, Bono mio, ti danno il San Carlo, mai prima di te lo avevano concesso per un concerto rock, approfitta, approfitta dell’acustica perfetta da tempio della lirica. E canta, canta. Come si dice avaro in inglese? Anche dei bis sei stato avaro.

Piccolo siparietto: mi avvicino al palco reale per un saluto alle Istituzioni in conversazione con il Direttore Generale Emmanuela Spedaliere e lancio un sassolino nello stagno. Concerto di Elton John a Londra, formidabile. Io e mia figlia, unite dal Crocodile Rock. Visto che abbiamo imboccato la strada del beat, perché non invitarlo al Massimo napoletano? Uno sguardo, un sorriso, perché no?