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“Non riuscivo a muovere il mouse, poi la diagnosi choc a 29 anni: ho il Parkinson e 30 viti in titanio nella colonna vertebrale”: la storia di Emma

“Penso che ci sia un'idea sbagliata che il Parkinson colpisca solo gli uomini più anziani e che ti distrugga la vita. Sono la prova che questo stereotipo non potrebbe essere più sbagliato”

di Ennio Battista

Tutto comincia in modo apparentemente banale, quando avverte difficoltà a muovere bene il mouse mentre esegue dei lavori come graphic designer. Per Emma Lawton, che in quel momento ha solo 29 anni, è il primo segnale di quello che diverrà un percorso drammatico e doloroso. Che ha un nome preciso, anche se inaspettato per la sua giovane età: Parkinson. Una storia che inizia nel 2013: “Una delle mie colleghe aveva la sindrome del tunnel carpale al polso, a quel punto ho pensato che probabilmente ce l’avevo anch’io. Quindi non mi sono molto preoccupata”, scrive Emma su Metro.uk. Come spesso accade, chi tende invece a prendere le cose sul serio sono i genitori a cui la ragazza promette “di prenotare un appuntamento dal dottore”. Il quale noterà alcuni sintomi che richiedono un approfondimento. Per esempio, il braccio di Emma non oscilla regolarmente mentre cammina, da qui la necessità di sentire il parere di un neurologico in ospedale. Le scansioni al cervello mostrano che la ragazza si trova alle prime fasi del Parkinson, una patologia generalmente diagnosticata dopo i 60 anni. “La mia vita non sarebbe più stata come avevo sempre pensato che sarebbe stata. Sposarsi, avere figli, avere una carriera di successo”, racconta Emma. Che si sente devastata: “Era qualcosa che pensavo avessero i nonni delle persone. Ma in realtà ci sono più di 40 possibili sintomi del morbo di Parkinson e chiunque può contrarlo, giovane o vecchio”.

Un intervento per migliorare l’esistenza
Da quel momento, la malattia è progredita fino a rendere fortemente invalidante la vita di Emma. I muscoli del collo hanno ormai ceduto e non le consentono di sollevare la testa. Solo recentemente, grazie a un intervento chirurgico “rivoluzionario”, Emma è tornata in grado di sollevare la testa e rafforzare la colonna vertebrale. “È stata un’operazione lunga in cui sono state utilizzate 30 viti in titanio per sostenere la colonna vertebrale così da sollevare la testa”, continua il suo racconto. “Sono poi stati inseriti dei cunei nella parte anteriore del collo per sostenere il peso della testa. Dopo l’intervento, ho dovuto imparare di nuovo a camminare perché il mio equilibrio e il controllo muscolare erano completamente sbagliati”. Emma oggi può continuare a sfilare per “Catwalk To A Cure”, eventi di beneficenza in aiuto del Parkinson nel Regno Unito. “Non vedo l’ora di vedere i volti di tutti e guardarli negli occhi per la prima volta dal palco”, ha dichiarato con rinnovata speranza Emma. “Penso che ci sia un’idea sbagliata che il Parkinson colpisca solo gli uomini più anziani e che ti distrugga la vita. Sono la prova che questo stereotipo non potrebbe essere più sbagliato”.

L’opinione dell’esperto
Uno degli elementi più insoliti di questa vicenda è l’insorgenza della malattia di “Parkinson giovanile”, una definizione che viene data “Quando questa patologia compare prima dei 40 anni”, spiega al FattoQuotidiano.it Paolo Calabresi, Professore Ordinario di Neurologia all’Università Cattolica Sacro Cuore di Roma e Direttore dell’Unità Complessa di Neurologia del Policlinico Gemelli, Roma. “Fortunatamente è una malattia piuttosto rara. Le forme giovanili della malattia di Parkinson hanno una base genetica per cui è fondamentale svolgere un’indagine precisa per scoprire quale tipo di mutazione genetica si è verificata e per valutare anche una maggiore o minore vulnerabilità ai problemi motori e cognitivi della persona. Successivamente, possiamo passare a terapie specifiche in base al quadro clinico delineato che in alcuni casi è molto simile a quello che definiamo ‘malattia di Parkinson sporadica’, tipica dell’età avanzata”.

I sintomi e le cause
Quali sono i principali sintomi?
“Quelli motori sono tre: la rigidità muscolare, la riduzione della velocità nei movimenti e il tremore a riposo; tanto è vero che molto spesso i pazienti affetti da Parkinson si rivolgono prima all’ortopedico perché pensano di avere problemi articolari. Successivamente vengono orientati alla visita dal neurologo”.

Oltre alla base genetica, ci sono altri fattori di rischio?
“Da diversi studi epidemiologici, è emerso che in alcune zone, per esempio rurali, in cui si usano pesticidi ed erbicidi, ci sono più casi di Parkinson. Purtroppo siamo esposti a numerose sostanze tossiche presenti nell’ambiente che possono interagire con il nostro organismo e di cui non conosciamo tutti gli effetti che possono provocare alla nostra salute. Altro fattore di rischio è l’età: più questa avanza, più aumenta la possibilità che insorga la patologia”.

Cure attuali e future
Per le terapie, a cosa ci si può affidare?
“Un elemento che può migliorare la qualità della vita del paziente, in associazione a farmaci sintomatici (stiamo aspettando che siano messi a punto farmaci che possano ritardare la progressione della malattia) è l’attività fisica. È importante camminare, almeno 30 minuti o 5-6 km al giorno, in modo aerobico, ossia avvertendo un po’ di fatica nel cammino. Ma anche pratiche sportive come il Tai-Chi o il ballo, il tango argentino – che spinge ad avere interazioni sociali – si sono rivelati supporti importanti per la salute dei pazienti. Sono allo studio anche farmaci per le forme genetiche con i quali si cercherà di andare a modificare un determinato elemento turbato dalla mutazione genetica, puntando quindi a terapie personalizzate”.

Quali altre possibilità ci sono di migliorare il quadro clinico della persona?
“Innanzitutto, riuscire a fare una diagnosi precoce perché questa ci permette di prenderci subito cura del paziente e dei suoi bisogni globali. Che significa non solo ricorrere ai farmaci sintomatici, ma anche usufruire di un supporto psicologico, di un efficace approccio neuro-riabilitativo e seguire una dieta equilibrata”.

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