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Sudan, dopo un mese di guerra il paese è nel caos, la popolazione allo stremo e le fazioni vengono manovrate dall’ estero

A un mese dallo scoppio della guerra civile in Sudan, Khartoum è una desolata zona di guerra dove famiglie terrorizzate si stringono nelle loro case mentre fuori gli scontri a fuoco infuriano nelle strade polverose e deserte. Nella capitale, i vivi rimangono barricati, sperando di schivare proiettili vaganti e sopportando una disperata carenza di cibo e rifornimenti di base come l’acqua. I morti giacciono nelle strade, in terra, lì dove sono stati falciati. Ci sono interruzioni di corrente, tagli nelle comunicazioni mentre i prezzi crescono a un ritmo spasmodico, con la velocità di una sparatoria. Quelli del cibo sono quadruplicati e la benzina adesso costa 20 volte il prezzo di marzo. La città di cinque milioni di abitanti sul Nilo è un guscio vuoto. Aerei carbonizzati giacciono sulla pista dell’aeroporto, le ambasciate straniere sono chiuse e ospedali, banche, negozi e silos di grano sono stati sventrati dalle bombe o saccheggiati da predoni, sciacalli, miliziani sbandati.

Le battaglie hanno ufficialmente causato più di 800 vittime tra i civili, solo a Khartoum. Nel Darfur dove si combatte aspramente il bilancio è il doppio. La stima è per difetto, potrebbero essere migliaia. Altre migliaia sono i feriti e quasi un milione di sfollati, con lunghi convogli di rifugiati diretti in Egitto, Etiopia, Ciad e Sud Sudan. I combattimenti hanno aggravato la crisi umanitaria, in Sudan una persona su tre faceva affidamento sull’assistenza umanitaria già prima della guerra. In sei mesi, fino a 19 milioni di persone potrebbero essere in condizioni di insicurezza alimentare, avverte l’Onu, e cercare scampo nei Paesi vicini, verso i porosi confini a nord con Ciad, Libia e Egitto. Molteplici accordi di tregua sono stati concordati e rapidamente violati. Entrambe le parti rompono il cessate il fuoco con una regolarità che dimostra un senso di impunità senza precedenti anche per gli standard di un conflitto civile in Africa.

Nonostante tutti i proiettili, i bombardamenti aerei e il fuoco antiaereo nessuna delle due parti – il capo dell’esercito Abdel Fattah al-Burhan e il suo ex vice Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti, che guida le forze paramilitari di supporto rapido (Rsf) – è stata in grado di cogliere il vantaggio sul campo di battaglia. L’esercito, sostenuto dall‘Egitto, ha il vantaggio teorico della potenza aerea mentre Dagalo è sostenuto dagli Emirati Arabi Uniti e dai mercenari stranieri. Comanda truppe che derivano dalla famigerata milizia Janjaweed, accusata di atrocità nella guerra del Darfur di vent’anni fa. I mercenari russi di Wagner non stanno combattendo con lui, si limitano a fare i “consiglieri tecnici”. I tanti attori del Paese – primi tra tutti i due “generali” in guerra – sono diventati pedine in una competizione più ampia per esercitare influenza nel Corno d’Africa, strategicamente importante. Nessun paese ha giocato a questo gioco in modo più assertivo degli Emirati Arabi Uniti, che hanno curato e orchestrato una rete diversificata di reti in tutta la regione.

Sebbene Abu Dhabi probabilmente non sia interessata all’attuale escalation e destabilizzazione del Sudan – un diplomatico occidentale ha persino suggerito che gli Emirati abbiano adesso “il rimorso dell’acquirente ” – la sua politica incentrata sulla rete sembra aver creato una complessa maglia di interdipendenze e concorrenza che è ora incapace di controllare. La storia degli Emirati Arabi Uniti in Sudan è la storia di una monarchia relativamente piccola, con base tribale, che cerca di esercitare un’influenza ben oltre il suo peso geo-strategico. Sfidando i tradizionali limiti dell’arte di governo, un ramo della famiglia reale di Abu Dhabi ha delegato in modo innovativo l’arte di governo a surrogati come privati, società, banche, commercianti, milizie e mercenari. Il rapporto con il signore della guerra sudanese Hemeti , in particolare, rivela una rete di connessioni e attività apparentemente casuali che si legano tutte, direttamente o indirettamente, ad Abu Dhabi. La rete che alimenta l’uomo che ha tentato un golpe in Sudan è un intricato carosello di capitali, armi, oro e mercenari istituito da Abu Dhabi già all’indomani della primavera araba. Per questo è lecito affermare che chiunque – compresi gli Stati Uniti – voglia porre fine ai combattimenti in Sudan deve chiamare lo 00971, perché qualsiasi strada per arrivare a Hemeti passa inevitabilmente attraverso gli Emirati.