Come di consueto, dopo ogni elezione ci si interroga sui risultati ottenuti dai diversi partiti. Non ci sono dubbi sul fatto che la sinistra in Italia attraversi un periodo difficile, tanto da essere quasi irriconoscibile. Il M5S nelle elezioni amministrative scompare e il Pd naviga intorno al 20% o poco più; dove vince, è essenziale il supporto delle liste civiche. La destra invece, nonostante i suoi evidenti difetti, se la cava abbastanza bene. Un’analisi di Luca Ricolfi (La mutazione: come le idee di sinistra sono migrate a destra) propone uno spunto di riflessione interessante: dicotomie politiche diverse si sovrappongono alla dicotomia tra destra e sinistra e vengono confuse con questa, soprattutto dall’elettorato di sinistra.

La principale dicotomia citata da Ricolfi è quella tra sovranismo e globalismo. I sovranisti vorrebbero uno stato chiuso ai migranti e alle influenze internazionali, che possibilmente si ritirasse dalla Ue e dalla Nato; i globalisti invece considerano gli organismi sovranazionali come necessari e utili e la globalizzazione come inevitabile. In Italia i partiti sovranisti sono posizionati soprattutto a destra: Lega e FdI; però ha posizioni confusamente sovraniste anche il M5S ed esiste una sinistra estremamente minoritaria che adotta posizioni antieuropeiste e sovraniste, il cui principale ideologo in Italia è Diego Fusaro. Le posizioni globaliste, pro-Eu, sono adottate a sinistra dal Pd e a destra, con qualche tentennamento, da Fi. Una tesi di Ricolfi è che nella scelta del voto la dicotomia tra sovranismo e globalismo pesi di più di quella tra destra e sinistra; io non so se questo sia vero, ma sembra abbastanza evidente che questa dicotomia divide l’elettorato di sinistra: molti rimproverano al Pd la posizione globalista, ritenendo che un partito di sinistra dovrebbe essere sovranista e proteggere gli italiani, ricalcando gli slogan di Salvini.

Il successo elettorale di Giorgia Meloni tra le categorie meno abbienti, come quello di Orban in Ungheria o di Duda in Polonia, sarebbe essenzialmente legato alle loro posizioni sovraniste. Ciò che Ricolfi sembra sottovalutare è che il sovranismo è sostanzialmente un imbroglio: l’autarchia non è sostenibile e uscire dalle organizzazioni internazionali è economicamente e politicamente svantaggioso. Tutti i governi europei che professano il sovranismo rimangono europeisti nei fatti, non foss’altro per convenienza; e la Brexit della Gran Bretagna si è rivelata fallimentare.

Ci sono però altre dicotomie simili, poco analizzate da Ricolfi; ad esempio quella tra rigore economico e aumento della spesa pubblica. La finanza creativa di Berlusconi e Tremonti, ma anche di Giuseppe Conte erano esempi di aumento spensierato della spesa pubblica, le scelte economiche di Prodi erano invece rigoriste. Anche in questo caso la dicotomia divide soprattutto l’elettorato di sinistra che spesso considera “di sinistra” l’aumento della spesa pubblica e vive il rigore come una imposizione esterna insopportabile. Ovviamente, i fautori della finanza creativa mancano di riconoscere che sul medio termine la scelta è insostenibile: dopo un Berlusconi ci vuole un Monti e dopo un Conte ci vuole un Draghi.

Una terza dicotomia è quella che divide favorevoli e contrari sul sostegno all’Ucraina; anche questa dicotomia è divisiva soprattutto per l’elettorato di sinistra, una frazione del quale ritiene che il sostegno all’Ucraina sia un segno di sudditanza agli Usa e alla Nato, anziché il supporto alla legittima difesa del paese invaso e del diritto internazionale (e su questo punto il benaltrismo si spreca e l’analisi della guerra in Ucraina affoga in una sterile ricerca di precedenti estremamente dubbi, dalla crisi del Donbass alle guerre in Iraq o in Afghanistan).

Gli elettori e i commentatori tendono a considerare queste possibilità di scelta come totalmente collegate tra loro: ad esempio Fusaro pensa che una vera sinistra non possa essere altro che sovranista e contraria all’invio di armi all’Ucraina e finisce per ritrovarsi più vicino alla Lega che al Pd. Invece il collegamento tra le diverse opzioni è alquanto labile: la sinistra è prevalentemente globalista e rigorista e la destra prevalentemente sovranista e spendacciona, ma le associazioni tra diverse prospettive sono tutt’altro che assolute. Se chiedessimo agli elettori, ad esempio, se l’accoglienza dei migranti sia “di sinistra”, certamente otterremmo risposte molto diversificate, persino opposte.

I partiti di destra e il M5S, né di destra né di sinistra, hanno in linea di massima tratto beneficio dalla confusione: a destra perché le diverse posizioni sono rappresentate in partiti diversi che però non hanno difficoltà ad allearsi tra loro; nel M5S perché posizioni opposte coesistono, apparentemente ignorandosi a vicenda.

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