La controffensiva di Kiev? “Deve ancora cominciare e colpirà i russi in profondità”, con attacchi massicci e ravvicinati sul fronte ma “dove non se lo aspettano, sfruttando al massimo quel che non hanno: una moderna concezione di come si conducono le operazioni”. Passa per essere il più noto esponente del ‘partito unico bellicista’ e non delude Vittorio Emanuele Parsi, ordinario di relazioni internazionali cui abbiamo chiesto un giudizio a 360 gradi sulla guerra in Ucraina, dalla situazione sul campo ai tavoli “apparecchiati” per la pace ma sostanzialmente vuoti; dalla visita a Roma di Zelensky (“dall’Italia ha ricevuto solo pacche sulle spalle”) alle contraddizioni del governo Meloni, “stretto tra il consenso interno e quello internazionale”. E poi sugli italiani contrari alla guerra, quelli che “vogliono essere lasciati in pace, e fanno quasi una colpa a Zelenski e agli ucraini di essere ancora lì a combattere” e la dicotomia tra pace e guerra che sarebbe “un falso”: perché il contrario della guerra non è la pace, è “la resistenza all’aggressore”.
Professor Parsi, come vede la situazione sul campo?
Mi sembra evidente che i russi siano in difficoltà più di quanto si pensasse. La vicenda di Bakhmut è esemplificativa: sono tre mesi che dicono di volerla prendere “domani” ma sono stati non solo respinti, ma arretrano vistosamente. Di fatto Mosca è sulla difensiva. L’avanzamento cui assistiamo è semplicemente il cambiamento dell’inerzia: per prendere la città i russi hanno perso molte truppe, molti materiali, hanno sfilacciato le loro linee di rifornimento e a questo punto sono attaccati dalla difesa Ucraina che li spinge un po’ indietro. Ma non parlerei ancora della “controffensiva”.
Se non è ancora iniziata, come immagina sarà?
Quando ci sarà vedrà coinvolti in maniera concentrata la gran parte dei materiali di rifornimento che sono arrivati fino a questo momento: carri armati, sistemi missilistici, aerei e droni insieme a pezzi d’artiglieria e munizionamento. Dato che non si può sorprendere il nemico su un quadrante piuttosto vasto, perché i russi sono trincerati un po’ dappertutto, ci sarà a mio avviso una “sorpresa” nella conduzione delle operazioni: operazioni di altissimo coordinamento tra artiglieria, lanciamissili, droni, mezzi corazzati, fanteria, truppe speciali; quindi attacchi in profondità, in punti in cui il nemico non se l’aspetta, sostenuti poi da rapidi e massicci attacchi sul fronte in cui le unità combattono in maniera molto ravvicinata e molto concentrata, in modo da non dare al nemico la possibilità di intrappolarlo tra le due linee difensive russe.
Vuol dire che Kiev ha raggiunto una superiorità netta sul campo?
Voglio dire che ora può sfruttare non solo o tanto i materiali, ma l’addestramento, proprio quello che i russi non hanno. Perché han continuato a mandare i wagneriani, che sono delinquenti di strada, e coscritti senza un addestramento particolare. Adesso iniziano a trovarsi contro quelle decine e decine di migliaia di truppe ucraine che sono state addestrate in questi mesi in Europa, in America, in Nuova Zelanda o in Corea.
Un esempio della differenza?
Se tu sai che tra 500 metri c’è un campo minato, puoi contare sulla professionalità degli sminatori che effettivamente nel tempo che tu arrivi ti hanno liberato la strada davanti. E contemporaneamente l’artiglieria sarà talmente efficace, perché ben addestrata, che coprirà l’avanzata delle truppe a una distanza molto ravvicinata, minimizzando però il rischio del fuoco amico. Mi spiego? Ma tutto questo si fa solo se tu prendi le persone e le addestri per settimane, per mesi, come è successo a combattenti di plotone, di compagnia, di battaglione di grandi unità. E’ quello che aveva già dato il vantaggio all’inizio agli ucraini che si muovevano molto di più e molto più coordinati rispetto alla staticità e la prevedibilità dei russi. Ricordiamo tutti la fantomatica “carovana” alle porte di Kiev. Ora l’esercito ucraino si ritrova a fare quel che le truppe sapevano fare prima, ma moltiplicato per tre, quattro. È quello “l’elemento sorpresa”, fare cose che il nemico non si aspetta che tu faccia perché sottovaluti il suo addestramento.
E’ sicuro di non sottovalutare invece le riserve e la preparazione dei russi?
Oltre a quel che si vede sul terreno, vorranno dire qualcosa i continui moniti da Mosca sul “rischio nucleare” no? Il potenziale offensivo delle forze russe è inficiato da livelli di corruzione devastanti. La corruzione fa sì che ci sia molta meno “roba sul terreno”, è una questione di “incultura strategica”. E infatti in questi mesi abbiamo visto immagini di convogli militari russi sulle ferrovie che portavano al fronte carri e camion degli anni ‘40, roba che non sta né in cielo né in terra. E noi italiani dovremmo ben sapere cosa significa tutto questo.
Cosa significa?
Ce lo ricordiamo o no che quando entrammo in guerra? La corruzione dei gerarchi, degli alti gradi militari e degli industriali uniti alla retorica di regime trasformarono gli iscritti alla Gioventù italiana del Littorio in “8 milioni di baionette” per combattere, che non c’erano. Avevamo carri e arei che facevano schifo, navi anche importanti ma senza radar, senza sistemi a distanza. Perché tutti abbiamo detto “sì, sì, siamo fortissimi”. Ma è qualcosa che non filtra al di fuori, perché è tipico della corruzione che chi sta a monte non dica nulla, perché deve prendersi la sua parte. Resta giusto il giovane soldato, senza la sua baionetta in mano.
Senta, ma lei è proprio sicuro che stiamo andando dritti alla vittoria?
Sul fronte dell’alleanza, l’arretramento di Mosca e la prospettiva di una controffensiva motivano a sostenere l’aggredito in maniera ancora più determinata man mano che tramonta l’idea che Putin possa arrivare a più miti consigli. Mi pare che questa situazione rafforzi il convincimento che si possa arrivare alla fine della guerra non cessando le ostilità ma respingendo l’invasore. Ecco, le trasferte in Europa di Zelensky hanno proprio questo obiettivo, anche perché la diplomazia della pace è sostanzialmente ferma.
Come vede le mediazioni tentate dal Vaticano o dalla Cina?
Non mettono in campo nessuna proposta strategica. Nel primo caso riguardano l’impegno alla liberazione dei prigionieri e al rintraccio di molte migliaia di bambini rapiti. Anche i cinesi non ce l’hanno, salvo quattro chiacchiere tra XI Jinping e Zalensky, a mio avviso più un segnale che XI Jinping dà a Putin per dire: “Siamo amici, ti sostengo, ma a tutto c’è un limite”.
Cosa pensa del roadshow di Zelensky per l’Europa?
In Francia, Germania, Inghilterra e nelle altre tre capitali ha raccolto non solo pacche sulle spalle ma anche 2 miliardi di euro in più e 40 carri da parte dei tedeschi, sistemi missilistici dagli inglesi, nuovi carri armati dai francesi, l’addestramento per gli F-16 per i piloti ucraini dagli inglesi: da noi niente. Dalla visita a Roma ha ricevuto solo pacche sulle spalle, l’Italia non è certo nel top ranking di quelli che danno aiuti militari. E questo succede anche se siamo pieni di materiale obsoleto ma utile come obici semoventi, Leopard1 o gli M113 che stan lì a marcire e non costerebbe nulla dare a Kiev, anche perché sono già patrimonio dismesso della Difesa e dunque fuori dal bilancio dello Stato.
E le professioni di fede della Meloni per un “sostegno incondizionato” ?
E’ un fatto non siano arrivate armi ma solo un segnale politico di sostegno, come dire: “noi comunque siamo da questa parte, senza se e senza ma”. Ma si capisce: da una parte Meloni ha Salvini come alleato, che per usare un eufemismo si muove “in sintonia” con le aspettative del Cremlino, per non dire di Berlusconi con le sue uscite. Dall’altra, ha i partner internazionali che temono, anche per le ragioni di cui sopra, che l’Italia sia il “ventre molle” di tutta questa faccenda. In mezzo, un’opinione pubblica preoccupata del punto in cui la guerra si può spingere e un’opposizione non tanto “politico-parlamentare” ma diffusa piuttosto forte.
Lei come si confronta con questa opposizione?
Passo ormai come il più noto esponente del “partito unico bellicista”, ma devo dire che vado dappertutto, faccio 2 o 3 conferenze a settimana e non mi tirano le uova. Noto che quando argomenti in maniera normale e pacata, come stiamo facendo qui, e non ti trinceri dietro la “complessità” l’interlocutore capisce che una spiegazione anche articolata ha più verità di tante semplificazioni.
Ad esempio?
Quando spiego che la guerra non è l’opposto della pace. La guerra distrugge la pace per conseguire un obiettivo politico, che è poi l’attacco a un modo di vivere delle istituzioni democratiche, perché questa guerra esattamente questo sta facendo. La guerra è qualcosa che l’aggressore semmai impone all’aggredito, per questo la sua antitesi non è la pace ma la resistenza. Se perdiamo di vista questo è finita. Le confesso che ho sofferto moltissimo nel sentire le dichiarazioni dei vertici dell’Anpi sul fatto che quella ucraina non è resistenza. Con quelle parole hanno tradito il senso del sacrificio di tutti quei ragazzi italiani di vent’anni che potevano starsene a casa e invece scesero in strada contro i tedeschi o salirono sui monti per combatterli e sono stati uccisi. Milano è piena di targhe che li ricordano. Ma il problema forse è proprio questo.
Ha letto i sondaggi sugli italiani e le armi a Kiev?
Li leggo, certo, ma non mi sorprendo. In Italia non ci sono comunisti, a parte qualche anziano. Non ci sono neanche tanti fascisti, in senso ideologico. Ma c’è molto “residuo” di una mentalità che è rimasta, anche una volta tramontate le due ideologie, che diffida dell’Occidente complessivamente preso. Che non ha mai fatto i conti con l’Occidente per un motivo storico: noi, quando si è costituito, eravamo dall’altra parte, coi nazifascisti, e quando poi il nazifascismo è stato sconfitto un pezzo importante di italiani era con un altro progetto totalitario, che era quello comunista. Quindi no, noi non siamo esattamente “come gli altri”. Non abbiamo neanche avuto una ‘rieducazione politica’ massiccia come i tedeschi. Ecco, penso che sia un po’ quello.
E dunque, che cosa vogliono gli italiani?
Vogliono essere “lasciati in pace”, e fanno quasi una colpa a Zelenski e agli ucraini di essere ancora lì a combattere. L’altro giorno ho letto un sondaggio commissionato dalla Difesa. Era interessante vedere come la percezione della minaccia alla sicurezza che hanno gli italiani è completamente “privatistica”. Cioè le mie cose, la mia famiglia, il mio entourage: è completamente ‘domestica’. Ci sono il terrorismo, le inondazioni, i terremoti, ma la guerra è in fondo. Ma sono 14-15 mesi che si continua a parlare di guerra. La sicurezza, intesa come difesa dalla guerra convenzionale tra Stati non c’è. Semmai c’è un po’ di paura della guerra atomica ma così, come spauracchio, come timore dell’armageddon.
E questo cosa comporta?
Gli italiani sono estremamente privatistici nella loro visione delle cose, e assolutamente poco internazionalizzati. Faticano a fare questo passaggio ed è un elemento di cui – secondo me – anche il Governo, in qualche modo, tiene conto. Perché appunto un po’ di mentalità postfascista ce l’ha dentro, un po di mentalità postcomunista è là fuori. Poi c’è la Lega che è l’inno al “not in my back yard“, non a spese mie, per cui chissenefrega degli altri… Capisce che non è facilissima la faccenda.