Cinema

Johnny Depp recita in francese e sorprende nei panni di Luigi XV nella brutta operetta sfarzosa che ha aperto il Festival di Cannes

di Anna Maria Pasetti

Sarebbe stato memorabile se il film d’apertura del 76° Festival di Cannes fosse stato all’altezza della cerimonia inaugurale. E invece il bingo è fallito: tanto emozionante è stato gustare sul palco il consesso generazionale fatto di figlie (Chiara Mastroianni) e figli (Michael Douglas, cui è tributata la Palma onoraria 2023) che celebrano i rispettivi iconici padri Marcello (la cui italianità la figliola ha evocato cantando Mi sono innamorato di te di Tenco) e Kirk (“che mi ha dato le fondamenta”), ma anche di madri divine, una fulgida Catherine Deneuve, già poster ufficiale di Cannes 2023, che raggiunge Chiara pronta a darle il microfono con dolcezza protettiva, quanto fastidioso si è rivelato assistere alla beatificazione della perfida e ambiziosa Jeanne Du Barry ad opera di Mäiwenn nell’omonima pellicola scelta ad aprire le danze del festival fuori concorso.

Un’operetta sfarzosa formato kolossal sentimentale, ispirata nei desiderata dell’attrice/regista francese da due fonti: la visione di Marie-Antoniette di Sofia Coppola del 2006 in cui Du Barry era interpretata da Asia Argento, e l’ammirazione incondizionata per Barry Lyndon di Stanley Kubrick, alle cui luci magistrali avrebbe fatto riferimento. Ovviamente nulla di anche lontanamente simile è riuscita a confezionare la 47enne ex moglie-bambina di Luc Besson: se il paragone col capolavoro di Kubrick è a dir poco imbarazzante, quello con il rock movie della Coppola suona inappropriato, essendo il film della talentosa figlia di Francis Ford forgiato da uno sguardo potente e originale.

Ma Mäiwenn, si sa, è una caparbia. E non a caso si è intestardita di interpretare (dietro e davanti alla macchina da presa) la Du Barry (“nessuno meglio di me conosceva il personaggio..”) traducendola in una sorta di Cenerentola femminista ante-litteram (“Non mi spoglio a comando, è il mio corpo…”) dentro a una favola romantica con tanto di voce narrante declinata in parabola discendente di un’eroina “figlia del popolo”, capace di diventare “la prima favorita di un re di Francia venuta dal nulla”. Nella Versailles regale e reale (il film è stato girato nella Reggia) spunta il sogno americano più folle, nonché forse l’unica trovata vincente del settimo lungometraggio di Mäiwenn: Luigi XV incarnato da Johnny Depp.

In un francese sorprendentemente vicino al nativo (almeno alle orecchie non madrelingua francesi), il divo hollywoodiano calza a pennello le vesti dell’ultimo monarca francese giocoso e libertino. Gli basta la presenza (imbolsita, ma ci sta) per mettere a tacere i sudditi, gli è sufficiente mostrarsi in un corpo ormai sfatto per diventare il simbolo dell’imminente decadenza dell’Ancien Régime, e – non per ultimo – impiega un amen per confermarsi osmotico all’arte della seduzione con quel suo viso un po’ plastificato, ma sempre governato dall’inconfondibile sguardo acceso ruba la scena alla “wild girl” di cui il personaggio storicamente s’innamorò all’istante e per sempre. Peccato il resto si mantenga in superficie nonostante le acrobazie della macchina da presa, peccato Mäiwenn non abbia sfruttato a pieno i sui ottimi attori (uno su tutti il magnifico Benjamin Lavernhe nei panni del fidato La Borde), peccato, in definitiva, si sia sentita “l’unica” legittimata a portare l’eredità della Contessa maîtresse che già altri cineasti avevano inquadrato, a partire da Ernst Lubitsch il cui film muto Madame du Barry con Pola Negri del 1919 ebbe un tale successo da permettere all’immenso regista di lasciare la Germania e stabilirsi definitivamente a Hollywood. Da stasera si avvia il concorso ufficiale, composto da 21 titoli di cui – è ben noto – tre italiani. A presiedere la Giuria il vivacissimo e caustico regista svedese Ruben Östlund, il cui anarchico carisma trascinerà auspicabilmente i colleghi giurati in un Palmares ricco di follia.

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