Da oggi 17 maggio in libreria per la Compagnia editoriale Aliberti il libro "Saman. Vita e morte di una ragazza italiana" scritto dai giornalisti del quotidiano "La Gazzetta di Reggio" Jacopo Della Porta ed Elisa Pederzoli. La prefazione è del collega Tiziano Soresina, la postfazione del mediatore interculturale Ahmad Ejaz
La ribellione di Saman Abbas, il suo anelito di libertà e il triste destino al quale è andata incontro, hanno scosso milioni di italiani. Il sacrificio della diciottenne non smette di interrogarci da quando, nel maggio 2021, la sua storia ha iniziato ad occupare le cronache dei quotidiani, i siti internet e le trasmissioni televisive. A Reggio Emilia si è aperto a febbraio, di fronte alla Corte d’Assise, il processo a carico dei genitori Shabbar Abbas (detenuto in Pakistan) e Nazia Shaheen (latitante), lo zio Danish Hasnain e i cugini Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq, accusati di sequestro di persona, omicidio e occultamente del cadavere. Il libro di Della Porta e Pederzoli, giornalisti che hanno seguito il caso fin dalle prime battute, si pone l’obiettivo di approfondire il contesto nel quale è maturata la tragedia. Descrive la realtà di Novellara, cittadina in provincia di Reggio Emilia da sempre impegnata sul fronte dell’integrazione, e sottolinea alcune criticità della comunità pakistana, in particolare quella relativa alla condizione delle donne. Sullo sfondo della tragedia di Saman si stagliano tematiche di più ampio respiro, quali il matrimonio combinato e forzato, e il delitto d’onore. Nel libro, che ricostruisce la vicenda in modo puntuale grazie agli atti del processo, si trovano anche testimonianze inedite, come quella di una compagna di classe delle medie o del titolare di un maneggio di Roma dove la ragazza e il fidanzato trascorsero alcuni giorni. Da quando questa vicenda è diventata di dominio pubblico, ci si è chiesti se sia stato fatto tutto il possibile per salvare la diciottenne. Gli autori non forniscono una risposta, ma non mancano di evidenziare alcuni aspetti critici, tra questi il fatto che Saman Abbas non sia potuta andare a scuola o non sia riuscita, una volta lasciato il casolare di via Cristoforo Colombo, a riottenere i suoi documenti che il padre teneva sottochiave. Quello che segue è un estratto dal testo “Saman. Vita e morte di una ragazza italiana”.
Saman arriva in Italia nei giorni in cui sta per compiere quattordici anni. Della sua vita fino ad allora ignoriamo quasi tutto. Sappiamo che parla correttamente urdu, la lingua nazionale che si insegna nelle scuole. La foto, che verrà diffusa dopo la sua sparizione, mostra una ragazzina con un sorriso timido, gli occhiali e un hijab nero che le copre i capelli.
Dal dicembre 2016 frequenta la terza media della scuola intitolata al pittore novellarese Lelio Orsi, un maestro del Manierismo. L’istituto si trova in via Novy Jicin, città della Repubblica Ceca gemellata con Novellara, e dista meno di due chilometri e mezzo da dove la famiglia Abbas si è stabilita.
La terza B frequentata per poco più di sei mesi, fino al diploma conseguito a giugno 2017, rappresenta il primo inserimento della ragazza nel tessuto sociale del paese. Purtroppo, sarà anche l’ultimo.
Non conosce ancora l’italiano e questo le impedisce di stringere amicizie forti. La compagna Clarissa Gozzi ricorda che se ne stava sulle sue, mentre tra le altre si formavano dei piccoli gruppi. Normali dinamiche tra ragazzi, nessuna volontà di escluderla. Semplicemente farsi capire con lei è difficile; all’inizio ci si riesce soltanto a gesti e i tentativi di coinvolgerla non mancano. Con un compagno di origini indiane scambia qualche chiacchiera in più grazie al fatto che nelle loro rispettive lingue riescono a intendersi.
La nuova arrivata non parla mai della famiglia. I compagni sanno soltanto che ha un fratello. Non ricordano come venisse a scuola, forse a piedi. Di certo non si recano mai nell’abitazione di via Cristoforo Colombo.
A testimoniare quella fase della sua vita c’è una foto di classe, fatta alla fine dell’anno, a maggio. Quattordici femmine e otto maschi si mettono in posa per uno scatto che lei sarà l’unica a non ritirare mai dal fotografo del paese. Saman compare in alto a sinistra, con l’hijab. È alle spalle della sua insegnante d’inglese, di cui è più alta. È defilata, come chiunque, a maggior ragione alla sua giovanissima età, arrivi in un gruppo già formato da tempo, una classe che lei conosce da cinque mesi con compagni che invece si frequentano da tre anni. Nuovi amici, una nuova lingua, un Paese sconosciuto. Il sorriso è appena abbozzato e ricorda quello della fototessera del passaporto.
Anche in una condizione dove le barriere non sono semplici da superare, Saman trova un modo per entrare in sintonia con le altre. Porta a scuola l’henné con il quale realizza delle decorazioni sul corpo, una tradizione della sua cultura d’origine che riscontra subito un grande apprezzamento. Diventa ricercatissima quando a scuola ci sono due ore di arte, le uniche nelle quali non esce dalla classe per studiare italiano. Le ragazze si mettono in fila per farsi fare un tatuaggio. Nel telefonino di una di loro resta una traccia di quei momenti: tre petali sul dorso di una mano destra, con alcuni eleganti ghirigori che proseguono sul dito medio. Anche questo è un frammento di lei, un brandello di memoria custodito in alcuni bytes.
Durante le lezioni di educazione fisica Saman non si cambia insieme alle compagne. Una volta una di loro le chiede di vedere i suoi capelli che sono sempre coperti dal velo. È una curiosità innocente, ma lei si ritrae e non acconsente a quella richiesta. Non si sente abbastanza in confidenza, anche se sono tutte ragazze, in uno spogliatoio chiuso.
L’insegnante d’inglese Claudia Verzelloni la ricorda come diligente, estremamente volenterosa e garbata, molto impegnata nell’apprendimento della lingua italiana. Nelle sue ore la studentessa esce proprio per concentrarsi su quel compito prioritario.