di Domenico Tambasco*
Il prossimo 15 luglio rappresenta una data importante, poiché segna l’entrata in vigore di una disciplina attesa da tempo: stiamo parlando del decreto legislativo con cui si è data attuazione alla Direttiva Ue 2019/1937, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni e illeciti appresi nello svolgimento delle proprie mansioni lavorative (cosiddetto whistleblowing).
Sebbene fuori tempo massimo (il termine di recepimento della direttiva era già scaduto dal 17 dicembre 2021), il decreto legislativo 10 marzo 2023, n. 24 si pone l’obiettivo di disciplinare in modo organico un fenomeno – di derivazione anglosassone – precedentemente regolato da una legislazione frammentaria (in particolare dalla L. 179/2017, che era intervenuta sull’art. 54-bis del d.lgs. 165/2001 per il pubblico impiego e sull’art. 6 del d.lgs. 231/2001 per l’impiego privato).
La logica della disciplina è ispirata all’unificazione normativa, senza più alcuna distinzione tra impiego pubblico e impiego privato. Si prevede, in particolare, che qualunque persona venga a conoscenza di violazioni del diritto comunitario o nazionale nell’ambito del proprio contesto lavorativo (art. 3, comma 3), abbia il diritto di segnalare tali illeciti attraverso quattro differenti canali:
– segnalazione interna agli organi aziendali deputati al ricevimento, sulla base del modello organizzativo interno (art. 4);
– segnalazione esterna all’autorità nazionale preposta alla ricezione, ovverosia all’Anac (art. 7), oppure alle istituzioni dell’Unione Europea (art. 16, ultimo comma);
– divulgazione pubblica alla stampa o attraverso mezzi elettronici o di diffusione di massa (art. 15);
– denuncia all’autorità giudiziaria o contabile (art. 16, primo comma).
In linea di massima i canali non sono alternativi, non sussistendo un facoltà di scelta da parte del segnalante, ma sono invece “graduati”, secondo un preciso ordine sequenziale dettato dal decreto attuativo: 1) segnalazione interna; 2) segnalazione esterna; 3) divulgazione pubblica. In questo contesto, la denuncia all’autorità giudiziaria o contabile sembra costituire un genus a sé stante.
Fondamentale è la garanzia della riservatezza tanto del segnalante quanto dell’oggetto della segnalazione, attuata anche attraverso l’affermazione dei principi di minimizzazione del trattamento dei dati e di limitazione della conservazione degli stessi per il periodo strettamente necessario (art.12-14). La chiave di volta del sistema è rappresentato dalle misure di protezione contro le ritorsioni previste a favore del whistleblower (art. 16-22), misure che hanno un importante impatto sul piano giuslavoristico. In particolare, alla sanzione della nullità generale di tutti gli atti, i comportamenti e i provvedimenti ritorsivi (art. 17, primo comma), anche solo tentati o minacciati (art. 2, comma 1, lett. m), si affiancano gli strumenti processuali della presunzione di ritorsività di tutti gli atti successivi alla segnalazione e della presunzione di danno ritorsivo (art. 17, comma 2 e 3), funzionali a superare le notevoli difficoltà probatorie emerse nella prassi giudiziale. In conformità alla normativa europea, inoltre, il decreto legislativo prevede una vera e propria black list di atti e comportamenti che, se realizzati successivamente alla segnalazione, si presumono ritorsivi: tra questi è possibile annoverare anche atti abitualmente “neutri” come le valutazione di rendimento “al ribasso”, i cambiamenti di orario lavorativo, il mutamento del luogo di lavoro, le mancate promozioni (art. 17, ultimo comma).
Sono previste misure di sostegno a favore dei segnalanti, garantite attraverso l’assistenza e la consulenza a titolo gratuito degli enti del terzo settore a ciò abilitati (art. 18), nonché l’estensione della tutela contro i licenziamenti discriminatori (art. 24, comma 3), l’innalzamento delle sanzioni amministrative irrogabili da Anac nel caso di ritorsioni, di violazione dell’obbligo di riservatezza o di ostacolo alla segnalazione (art. 21, comma 1 lett. a), la limitazione della responsabilità penale, civile o amministrativa del segnalante (art. 20) e infine l’irrinunciabilità dei diritti e delle tutele disciplinate dalla legge, salvo che in sede protetta (art. 22).
Di particolare rilievo, inoltre, è l’estensione della tutela contro le rappresaglie anche ai soggetti terzi rispetto al segnalante, quali i colleghi di lavoro e i parenti (art. 3, comma 5). Si tratta di una disposizione finalizzata a scalfire il “muro di omertà” che spesso rende molto difficoltosa la prova dei fatti denunciati dal wistleblower, evitando che possibili rappresaglie possano avere un effetto dissuasivo sulle segnalazioni e contribuendo, in questo modo, a dare effettività alle tutele garantite dalla legge.
Sebbene non esente da criticità per alcune discrasie nell’applicazione della normativa comunitaria (si veda, tra tutte, la mancata previsione della possibilità di ricorrere direttamente al canale esterno senza passare da quello interno, cfr. art. 10 Dir. Ue 2019/1937), la disciplina dettata dal decreto attuativo costituisce un’importante occasione per contribuire all’espansione di un istituto centrale nell’ordinamento democratico, volto a garantire il controllo diffuso e il rispetto – a tutti i livelli – del principio di legalità.
* Avvocato giuslavorista, da anni si occupa di conflittualità lavorativa anche come redattore di diversi ddl in materia presentati nella scorsa legislatura. Autore di pubblicazioni sul tema della violenza e delle molestie lavorative, tra cui “Il lavoro Molesto”, 2021, scritto in collaborazione con Harald Ege.